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Gli occhi del potere

08.07.2011, Articolo di Alejandro Di Giovanni

Il dibattito sull’industria culturale mi si propose prepotente tempo fa, imbattendomi in un testo universitario che raccoglieva teorie varie sull’argomento: tra i tanti studiosi c’erano naturalmente gli apocalittici, gli ottimisti, e chi si collocava più o meno a metà strada. Il termine “industria culturale” fu coniato da due filosofi francofortesi,  Max Horkheimer e Theodor W. Adorno, fortemente critici verso il cinema, la tv, la radio, i settimanali … ossia verso quella fabbrica del consenso asservita al sistema capitalistico che tenta di omologare i pensieri e annullare qualsiasi tentativo di funzione critica. Merce, industria che produce arte come merce da imboccare a lettori e spettatori inermi.

Questa è la teoria più pessimistica, poi il dibattito ha coinvolto studiosi vari: Walter Benjamin ha individuato nel processo tecnologico e nei nuovi mezzi di comunicazione di massa una occasione per l’emancipazione delle masse e per lo sviluppo culturale, mentre Edgar Morin sosteneva una industria dell’immaginario, che creava aspettative, desideri e sogni collettivi che si traducevano in comportamenti inconsapevoli, dettati da una sorta di inconscio subdolamente inculcato: la cultura è prodotta dall’ industria ma non per questo è svuotata del suo valore artistico.

Gli studiosi in materia sono tanti e con le posizioni più diverse, indubbiamente però i mezzi di comunicazione hanno svolto e svolgono ( oggi più che mai ) un ruolo rilevante, anzi, indispensabile ( qualcuno li potrebbe tranquillamente inserire tra i beni primari! ).

La mia posizione attinge un po’ di qua e un po’ di là, prende aspetti positivi e negativi e li miscela. Pare fin troppo chiaro che i magnati proprietari di potenti mezzi di comunicazione hanno più potere di qualsiasi altro cittadino medio nel far prevalere una posizione e sedimentare valori e inculcare convinzioni. Media tradizionali come tv, radio e cinema si basano su un linguaggio unidirezionale nel quale lo spettatore ricopre un ruolo passivo di sola ricezione, anche se parecchi parlano di uno spettatore con una propria soggettività che partecipa alla produzione del testo, soprattutto nel cinema. Così trasmissioni radiofoniche e televisive di propaganda ( ma anche produzioni cinematografiche di regime ) si sono rivelate, negli anni, essenziali per costruire quel minimo di consenso popolare che garantisse una tranquilla governabilità e una accettazione del sistema vigente.

I media tradizionali, attraverso trasmissioni e pubblicità, hanno messo in piedi un modello che, col tempo, abbiamo assimilato a pieno: così la cultura è diventata una industria, pura merce, i media ci hanno educato e in qualche modo dettato una nuova morale, detto cioè in che modo vivere. Oggi sentir parlare una persona sconosciuta qualsiasi diviene dopo un po’ noioso, sembra cioè che quella persona non abbia nulla di nuovo da dire, sappiamo le stesse cose, diciamo le stesse cose, ci occupiamo delle stesse cose: sono i media che hanno trasformato uniformemente con la propria agenda delle cose da fare e dire gli spettatori, media colpevoli di questo processo di degenerazione culturale e ipocrisia morale. Parliamo oramai per bocca di questi pupazzi che escono dalla finestrina televisiva che raramente chiudiamo. Certo che non è così per tutti, ma il linguaggio di questi mezzi è stato concepito per il popolo, e questo linguaggio è ruffiano, e scadente come il popolo stesso, come del resto i contenuti proposti. Paradossalmente oggi, nell’apoteosi mediatica, l’avvento delle nuovissime tecnologie sembra mettere in discussione tutti questi discorsi.

L’avvento di internet ha sconvolto i vecchi paradigmi: non più una comunicazione unidirezionale, ma multi direzionale, costituita da miliardi di utenti che con gli stessi poteri sono liberi di dire qualsiasi cosa su qualsiasi argomento in qualsiasi momento senza censura e controllo, un mondo nuovo dove informarsi davvero confrontando le molteplici fonti, dove il potere economico è relativo. Internet sembra, a mio modo di vedere, aver contribuito in modo decisivo agli ultimi risultati elettorali del nostro paese: la gente ha avuto, grazie a questo mezzo, l’opportunità di capire e scoprire tante falsità messe in piedi dai media tradizionali in mano ai potenti governanti, una su tutte la tv che, attraverso telegiornali e programmi, rendeva una visione distorta della realtà per mezzo di squallidi giornalisti marionette. C’è vita nelle scatole craniche degli italiani, qualcosa si muove. Berlusconi ha fatto, come al solito, grande leva mediatica attraverso le sue molteplici televisioni, ma questa volta non è bastato. Lui, genio della comunicazione, è caduto sul suo campo, non sapendo cogliere il cambiamento: oggi ci avviamo (speriamo!) verso un declino di credibilità della televisione (era ora!), e il mondo che si affaccia, ossia il web, per sua sfortuna non è controllabile: sui siti, nei blog, emerge la vera condizione economica, sociale e culturale del paese, e internet denuncia gli affari sporchi dei nostri politici quasi in tempo reale. Per guadagnare qualcosa però, devi perderne altre. Internet è un’arma a doppio taglio, che trattiene per giornate intere utenti che rimangono coinvolti in mondi fittizi, dove ingannano innanzitutto se stessi, rendendo un’immagine che il popolo virtuale si aspetta di ricevere.

Indispensabile mezzo di informazione e comunicazione, internet non può, e non deve, essere il laboratorio dei veri sogni e delle autentiche emozioni. Il sorriso di un angelo di ragazza che ti sta di fronte vale più di ogni altra emotività virtuale, e anche più di ogni altra questione morale planetaria!

Tutto in fondo, cari studiosi sopra citati, è asservito a un sorriso e un paio di occhi.

                                                                                                       

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