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Ci sono ancora

18.05.2013, da “La Stampa” (di Massimo Gramellini)

Buongiorno, mi chiamo Gabriele Francesco. Sono nato a Novara l’11 aprile 2013 e oggi avrei un mese, se fossi ancora vivo. Invece sono morto lo stesso giorno in cui sono nato. Adesso tutti starete pensando che mamma e papà non si sono comportati bene: in effetti mi hanno lasciato solo, sotto un cavalcavia, con indosso pochi stracci e senza un biberon nei paraggi. Ma io non mi permetto di giudicarli.

Certo è che noi neonati siamo indifesi: ci buttano dai ponti, ci fanno esplodere sotto le bombe, ci vendono per pochi soldi. Siamo carne da telegiornale. Prima di chiudere gli occhi, mi sono raggomitolato tra i rifiuti per cercare conforto e ho pensato: ma è davvero così brutto questo mondo che sto già per lasciare?

Poi mi sono sentito sollevare e sulla nuvola da cui vi scrivo ho visto che la bellezza c’è ancora. C’è bellezza nel camionista che mi ha trovato e nell’ispettore che mi ha messo questo nome meraviglioso: è importante avere un nome, significa che sei esistito davvero.C’è bellezza nei poliziotti che per il mio funerale hanno fatto una colletta a cui si sono uniti tutti, dai pompieri alle guardie forestali. E c’è, la bellezza, nella ditta di pompe funebri che ha detto «per il funerale non vogliamo un euro», così i soldi sono andati ai volontari che in ospedale aiutano i bimbi malati. Dove sono nato io, metteranno addirittura una targa. Allora non sono nato invano. Mi chiamo Gabriele Francesco, e ci sono ancora.

(Liberamente tratto dal testo inviatomi ieri, giorno del funerale di Gabriele Francesco, da un lettore di Novara che ha chiesto di restare anonimo. C’è tanta bellezza anche in lui).

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18.05.2013, La Stampa (di PierangeloSapegno)

Sepolto in una tomba di famiglia il bimbo abbandonato dai genitori

Il neonato era stato trovato senza vita l’11 aprile sotto un cavalcavia

Adesso che il vento sta portando via le nuvole, le ortensie e le rose hanno un fremito, quasi un inchino, sotto il suo nome: «Gabriele Francesco. 11 aprile 2013». Un giorno solo, per la pietà degli uomini. Gli hanno trovato un bel posto, in una tomba di famiglia – lui che non l’ha mai avuta -, accanto alla statua di una Madonna.

Una Madonna che guarda lontano, tutte quelle cose che lui non ha mai potuto vedere. Gli hanno trovato un posto pulito, con i fiori e le pietre di marmo, lui che era stato abbandonato tra i topi e gli escrementi, accanto a dei nomi così importanti, sotto «Tarantola Santino, 1921-2007», un grande impresario che era stato anche il presidente del Novara calcio, e di fianco a tutti i suoi parenti di famiglia, e a tutte quelle croci del Signore, di Enrico, Francesco, Barbara, Angelo, Modesta, Cesare, e gli hanno incorniciato anche una bella targa bianca. Vedi, gli stanno dicendo, di qua dalla vita, nessuno ti abbandona, perché siamo come in quella poesia di Totò: «Nuie simme serie. Appartenimmo a’ morte».

Però, nella vita, in questa strana vita che ha sofferto per un giorno solo, prima di essere trovato morto sulla provinciale 299 in località Agognate, sotto il cavalcavia dell’A4 vicino al casello di Novara Ovest, ha trovato un padre e una madre che l’hanno adottato e che neanche si conoscono fra di loro, e ha trovato una città intera che l’ha accolto come un figlio. Così Gabriele Francesco, il bimbo abbandonato fra i rifiuti di una discarica, ha avuto una signora che ha pianto e si è impietosita come facciamo noi ogni tanto per i morti, prima di aprirgli la tomba di famiglia. Claudio Tarantola, 45 anni, lo racconta con fatica: «È stata mia sorella Paola. Il giorno dopo mi ha chiamato piangendo: “Sai cos’è successo?”. Ho pensato subito a nostro padre: “No, quel neonato. Dobbiamo fare qualcosa per lui, deve avere una degna sepoltura, non voglio che finisca nel campo dei bambini”. Siamo stati subito tutti d’accordo. È stato un gesto fatto con il cuore». L’hanno messo nella tomba di famiglia, proprio sotto il patriarca, Santino. «Fino al funerale abbiamo pregato di mantenere massima discrezione. Dopo uno dei poliziotti che l’hanno trovato è venuto a conoscermi e mi ha detto: tanta gente ci chiama per sapere dov’è sepolto per portargli un fiore. Possiamo dirlo? Va bene, ho detto. Adesso sulla lapide metteremo una frase. La sceglieranno quegli agenti che hanno fatto tanto per lui».

Perché il padre che l’ha adottato è un ragazzo di occhi buoni, l’ispettore della Scientifica R. I., che ha raccontato emozionato al questore Giovanni Sarlo la sua storia di uomo che ha visto quel bambino nudo e sanguinante e che quando l’ha nascosto pietosamente con una coperta ha pensato a suo figlio e non è riuscito più a staccarsi. «È venuto da me», fa Sarlo. «Dottore, possiamo fare qualcosa? Certo, gli ho detto. Così, è partita una colletta e daremo quei soldi alla clinica pediatrica del Maggiore. Li stanno ancora raccogliendo. Il progetto si chiama Cameretta Mia: faranno una camera con il suo nome, a due letti, per tutti i bambini malati. Un bambino per altri bambini». Perché è strano, ma la vita di Gabriele Francesco è cominciata solo dopo, nel regno dei morti. E adesso, in quel posto di erba sporca, di stracci e pezze nere, che è l’unica cosa del mondo che ha potuto vedere, in quel campo rovesciato di topi e cornacchie, al di là del fossato ricolmo di rifiuti, anche qui metteranno un’altra lapide. Ci racconteranno solo una parte delle cose che conserva questa storia: «Gabriele Francesco. Bimbo per un giorno. Angelo per sempre».

Il resto sta nella tristezza della vita, in quel giorno, nello sguardo vuoto del camionista che stava facendo solo i suoi bisogni quando ha scoperto quel corpicino abbandonato come la carcassa di un animale, e nel dolore di chi cominciava a capire che era stato lasciato vivo, così, in mezzo ai rifiuti, come un rifiuto pure lui, e che di quel giorno solo quello della vita aveva conosciuto. Il resto sta in questa differenza, che dovrebbe interrogare anche noi ogni tanto, nella vita rimpianta solo al di là di questo esile confine, che c’è dovunque, anche sotto a quel cavalcavia di Novara Ovest, in mezzo a quei rifiuti. È dura dover guardare tutto questo e pensare che Gabriele Francesco in fondo sta meglio adesso, sta meglio di là. Sta meglio da morto.

                                                                                                       

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