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Così la guerra in Irpinia, fatti e storie del 1943

05.01.2014, Pagine di storia (da “Il Corriere”)

Nel libro “Campania 1943” Pocock ricostruisce il ruolo centrale della provincia nel corso della guerra.

E’ un percorso che passa in rassegna le molteplici forme attraverso le quali la guerra si fece sentire con forza nel 1943 in Irpinia, a partire dalle incursioni aeree fino al passaggio di truppe tedesche e alleate, il terzo volume dedicato alla nostra provincia dell’opera di Simon Pocock “Campania 1943”, Two mice books edizioni.

Un’opera certamente ambiziosa che non risparmia nessuno dei comuni irpini, ricostruendo episodi, storie, fatti che sottolineano il ruolo centrale della provincia nel corso della guerra. Se è vero che il territorio di Caposele aveva ospitato un posto di avvistamento lontano, alle dipendenze della Difesa Contraerea Territoriale della diciannovesima edizione della Milizia fascista, sarà la caduta di un grosso aereo B 24 Liberator del 326° Bombardament Group dietro le montagne verso ovest, nel territorio di Acerno a svegliare la popolazione locale dal suo torpore. Il cadavere di un soldato, probabilmente alla guida del velivolo, sarà ritrovato in Contrada Pergola a Senerchia.

Il 10 settembre, intanto, Calabritto, come altri comuni irpini viene occupata da una sezione motorizzata tedesca. Una storia, quella dell’occupazione tedesca, puntellata di aneddoti come quello che raccontava di come Michele Mattia, detto Pampanella, avesse girato il cartello stradale al bivio sulla SS91, cosicchè i tedeschi oltrepassassero il paese senza fermarsi. E proprio il Monte Cervialto, ai confini tra Bagnoli e Calabritto, avrebbe presto costituito uno dei punti cardinali della linea tedesca, impegnata in ritirata dal salernitano. Inevitabile che la vallata del Sele fosse sottoposta a continue incursioni aeree, con l’obiettivo di bloccare il traffico veicolare tedesco, con numerose vittime tra i civili e i tedeschi.Il 22 settembre era ancora in corso il cannoneggiamento americano sulle posizioni tedesche lungo la linea Senerchia-Colliano.

Ma a prendere forma nel volume sono anche storie di solidarietà della comunità irpina ai soldati, fossero essi tedeschi o americani, come nel caso del capitano medico Carlos Alden, catturato dai tedeschi, a lui sarà chiesto, presso il convento di Materdomini, adibito ad ospedale da campo, di curare i pazienti, da lì Alden riuscirà a fuggire, ospitato da una famiglia di contadini italiani, probabilmente quella di Pasquale Della Fera, già calzolaio in New Jersey. Fino all’incontro con le pattuglie britanniche dell’VIII Armata di Montgomery. Pocock non nasconde le difficoltà di ritessere i fili della storia, come nel caso della vicenda dello stesso Alden, sul cui salvataggio le versioni divergono.

Furono gli stessi tedeschi a sottolineare come “la difesa tedesca della zona intorno ad Oliveto e Quaglietta era aspra ed accanita. Il nemico fu costretto a ritirarsi soltanto dopo l’utilizzo di tutto il peso del nostro potere superiore e manovre. Continuò a ritirarsi verso Nord, lasciando postazioni di armi automatiche che richiedevano il costante dispiego delle nostre forze”. Sfogliando le sue pagine scopriamo così che le incursioni aeree sull’Irpinia furono anche precedenti al settembre 1943, il 27 luglio veniva bombardato l’intero tratto della ferrovia Avellino Rocchetta S. Antonio con una formazione di 18 B7. Cinquanta le bombe sganciate sulla stazione con undici vittime tra cui un bambino.

Pocock ricostruisce con attenzione le storie dei caccia caduti, come quello schiantatosi a terra nei pressi del fiume Ofanto, a 500 metri dal ponte stradale, il pilota, un certo Ten. Robert Davis, si salvò lanciandosi col paracadute, atterrando non lontano dall’aereo, ancora una volta salvato dalla comunità locale, che gli consentì di cambiare il suo nascondiglio fino all’arrivo delle truppe alleate. Come risulta dalla cronaca del 79Fg “gli strumenti di bordo di Davis erano stati tutti frantumati dal fuoco di una mitragliatrice. Davis si lanciò per iniziare un’avventura dietro le linee nemiche che sarebbe durata sei giorni. Dopo essersi fratturato il braccio destro nel momento in cui venne incastrato nelle funicelle del paracadute, Davis atterrò a circa due km dalla mitragliatrice che lo aveva abbattuto. La prima persona che vide fu un vecchio contadino italiano che aveva già lavorato su una fattoria di prodotti caseari a New Jersey e che sapeva parlare un buon inglese.

Il contadino lo portò a casa sua, nelle vicinanze, in mezzo ad una folla di curiosi dove gli fu dato da mangiare un posto dove dormire. Il giorno dopo venne il comandante dei Carabinieri ad offrire il suo aiuto, tornando più tardi quella sera con un medico di Teora. Il medico voleva consegnare Davis ai tedeschi ma alla fine fu dissuaso dal comandante dei carabinieri e dal contadino stesso”. L’obiettivo privilegiato dei bombardieri alleati era dunque un triangolo comprendente il bivio di Sella, l’incrocio di Sant’Angelo ed il bivio di Bisaccia. Tra i bombardamenti che causarono più morti quello su S. Andrea che, trovandosi sulla Appia Ss. 7, era una tappa obbligata per le truppe tedesche in ritirata.

Oltre trenta i morti con le bombe che caddero in pieno centro storico, da San Domenico a Largo Solimene, con buona parte della popolazione costretta a rifugiarsi nelle grotte del paese. E fu proprio nel lasciare il territorio di Conza che i tedeschi scelsero di far saltare tutti i ponti tra Sella e Andretta mentre le prime truppe americane del 157 Infantry Regiment si avvicinavano alla zona di Sella nel tardo pomeriggio del 25 settembre, provenienti da Laviano, Castelnuovo e Santomenna. Inevitabile, poi, che l’arrivo degli americani causasse anche manifestazioni di protesta da parte della popolazione come accadde a Sant’Andrea quando davanti al Municipio si raccolsero oltre 500 persone, tra uomini, donne e bambini, chiedendo pane a gran voce. Una protesta che continuò con l’assalto alla casa comunale, da cui vennero portate via porte e finestre. Tanto che il maresciallo ordinò l’arresto dei responsabili.

E’ interessante notare come la presenza dei tedeschi nei comuni irpini non sia quasi mai ricordata con rancore, a Guardia, ad esempio, capitava spesso che alcuni contadini rubassero dal vicino accampamento tedesco alcune coperte. Poi, restituite solo dopo la minaccia di rappresaglie. Tantissime, invece, le testimonianze nel serinese legate all’arrivo dei paracadutisti americani. 40 grossi areotrasportatori C47 Douglas Dakota avrebbero dovuto sganciare oltre 400 paracadutisti con l’obiettivo di favorire il controllo di alcuni incroci stradali, a partire dalla Ss Appia 7 ad est di Avellino fino alla Ss 88 a sud della città. Pochi però raggiunsero destinazione a causa di cartine piuttosto imprecise ed alcuni aerei scambiarono la direttrice Solofra-Atripalda per quella di Montella-Castelfranci. Dieci aerei riuscirono a scaricare le loro truppe sulla zona di Santa Lucia ma dovettero fare i conti con la contraerea tedesca e la vita non fu certamente semplice per i paracadutisti.

Pocock ricostruisce le avventure del comandante Yardley, tra i primi a lanciarsi, oltre trenta i soldati che si raccolsero sotto il suo comando, pronti a dirigersi verso la linea ferroviaria di Avellino e l’acquedotto a Villa San Nicola, salutati a festa al loro passaggio a Santa Lucia ma costretti ad affrontare il fuoco tedesco. Lo stesso comandante Yardley fu fatto prigioniero e numerose furono le perdite per gli americani. Ben presto si ritrovarono soli il capitano doc Alden e il soldato Donald Kemmer.

Tanti, intanto, erano gli sfollati arrivati in provincia da Avellino dopo il tragico bombardamento , che si univano ai soldati italiani sbandati, che avevano scelto, per scappare, di seguire la linea ferroviaria Salerno-Avellino. I componenti della famiglia Di Paolo ricordano come nel pagliaio dove si erano rifugiati lungo la Sp3 ex Va Turci al confine tra Atripalda e Cesinali avessero presto notato la presenza di quelli che chiamava i tanti palloncini che scendevano dal cielo “La mattina, dopo – scrive l’autore – Sabino, intraprendente tredicenne, andò insieme al padre Gerardo a curiosare nel giardino di casa; trovò un paracadute bianco e verde ancora appeso all’albero di nocciole. Ma arrivò subito una pattuglia tedesca avvisandoli di non toccare niente e addirittura finchè Gerardo fece sapere di lavorare per le ferrovie dello stato, minacciandoli con la cattura”. Il 15 settembre un’altra incursione aerea colpiva il territorio del serinese.

Tanti gli episodi di piloti salvati dalla generosità degli irpini, come il pilota Rolf Daum, di uno dei Me 109 abbattuti, atterrato col paracadute tra Montella e Serino, soccorso dal dott. Riccardo Tedeschi, medico condotto di Serino prima di essere portato via dai compagni. Pocock si sofferma anche sui bombardamenti che colpirono la città di Avellino il 14 settembre, distruggendo strade e ponti per impedire l’afflusso di mezzi tedeschi verso il salernitano. Bombardamenti che erano stati preceduti da saccheggi e ruberie da parte dei tedeschi, appropriatisi di auto, cibo, beni di lusso e di denaro portato via, ad esempio, dalle sedi della Banca d’Italia lungo Corso Vittorio Emanuele e dal Banco di Napoli all’angolo di piazza Libertà. Secondo il cronista del 17Bg americano furono sganciati da 36 aerei 700 ordigni da 700 libre ciascuno, da una quota di 3500 metri. Le bombe cominciarono a cadere dalle 10.52 fino alle 10.56, ora a cui l’orologio all’angolo di via Matteotti si fermò. Limitata fu la risposta della contraerea tedesca dalla zona dell’istituto tecnico agrario e dal ponte della Ferriera. Secondo alcune fonti, spiega Pollock, altri aerei bombardarono la città nel corso della stessa giornata, alle 13.30, 14.30 e 16.00, ad essere colpite furono anche le zone di via Littorio e viale Regina Margherita, lo scalo ferroviario e lo stesso Corso Vittorio Emanuele.

Anche il Carcere fu bombardato consentendo l’evasione dei detenuti. Ma l’autore ricostruisce anche i soccorsi organizzati presso l’ospedale civico,alle spalle del Duomo, sotto la guida del tenente Laudicina di Trapani e delle Suore della Carità, dopo che buona parte del personale medico, a partire dal direttore dell’ospedale Francesco Paolucci, era fuggito. Lo stesso vescovo Bentivoglio fu ferito durante il crollo dell’edificio del seminario e salvato da alcuni uomini. Il podestà De Conciliis, il prefetto Zanframundo, il comandante dei carabinieri e il questore lasciarono la città. I cadaveri giacevano nei pressi della chiesa del Rosario, altri rimasero nella sala mortuaria dell’ospedale civico o ancora furono accatastati in una trincea scavata sul lato meridionale di piazza Libertà. Solo all’inizio di ottobre, furono affastellati in un grosso cratere nello spazio antistante la chiesa di Sant’Anna e bruciati per evitare epidemie. Terribili le ricostruzioni di alcuni sopravvissuti che riferiscono come alcuni aerei americani sui tetti del Corso avessero mitragliato anche la popolazione inerme. Intanto, facevano il loro ingresso nella città anche alcuni gruppi di paracadutisti americani atterrati nel serinese ma costretti a fare i conti con le truppe tedesche ancora presenti in città. E sono davvero tanti i racconti che si snodano tra le pagine, come a ribadire che nessun comune irpino fu risparmiato dall’ondata di terrore e morte della guerra.

A Pocock va il merito di aver messo insieme una vasta gamma di fonti, ricostruendo in maniera unitaria una pagine significativa della nostra storia.

                                                                                                       

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