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Crisi della castanicoltura: non solo cinipide

15.07.2015, Articolo di Federico Lenzi (da Fuori dalla Rete – Giugno 2015, Anno IX, n.4)

Quello della castagna in Italia è un settore che va incontro all’inesorabile declino delle attività agricole, a favore di una cementificazione selvaggia che sta distruggendo alcuni dei terreni agricoli più produttivi d’Europa e che ci spinge ad importare cibo dall’estero. Stando ai dati messi online da “agriregionieuropa” la superficie castanicola italiana copre il 7,5% di quella forestale e il 2,6% del suolo nazionale. Dal 1970 al 2007 (prima dell’arrivo del cinipide in Irpinia) è sparito il 51,3% delle imprese del settore e il 47,5% della superficie coltivata, rimanevano solo 34000 produttori su cui si è abbattuto il colpo di grazia finale con l’arrivo dell’insetto.

Questa moria d’aziende è stata determinata dalle piccole dimensioni e da una conduzione familiare, che molto spesso non è stata in grado di reggere alle sfide di un mercato dominato da produttori esteri organizzati in grandi ed efficienti imprese. E’ quindi necessaria una ripresa rispettosa della tradizione, ma che si apri a nuovi modelli di gestione aziendale e agraria dei fondi. Occorre uscire quest’emergenza sviluppando codesta prospettiva economica non alla giornata, ma con il ricorso a conoscenze, efficienza e innovazione. Al momento, nonostante deteniamo la seconda posizione per produzione mondiale, solo il 30/40% dei nostri raccolti riesce ad arrivare sui mercati internazionali.

Negli anni 90”, mentre l’Italia rimaneva legata ad un passato che non c’era più, la Cina riusciva con massicci investimenti a potenziare il settore aumentando la sua produzione: fino a coprire l’80% della produzione mondiale! L’Italia ha quindi perso terreno a causa del marketing aggressivo sui mercati esteri finanziato dal governo di Pechino e ha anche iniziato ad importare castagne dall’estero. Abbiamo mantenuto il primo posto al mondo unicamente per il valore dei prodotti esportati. La crisi castanicola è stata causata (ma ha anche determinato) dallo spopolamento di molte aree interne che si basavano su questa economia.

Al cinipide e ai problemi strutturali dell’impresa castanicola italiana, si sono aggiunti i cambiamenti climatici che hanno gravemente influito sul ciclo vitale di queste piante. Basta chiedere agli anziani, per constatare come a Bagnoli alcuni decenni fa i giorni d’innevamento erano molto più frequenti e duravano da novembre a marzo.

Nonostante la crisi attuale, la produzione mondiale proviene ancora in gran parte da Cina e Italia. Il 65% della produzione nazionale viene dalla Campania, con ben 13300 ettari. A livello regionale i castagneti migliori e meglio organizzati appartengono proprio all’avellinese, anche se prevale una coltura tradizionale estensiva e non una con nuove tecniche d’impianti ad alta concentrazione di produzione; che porterebbero al 40% di raccolto in più. La piccola dimensione delle produzioni e la diffusione di vari tipi di prodotto, è un problema per la sua commercializzazione alle imprese che si concentrano sulla produzione di castagne con predeterminate caratteristiche. Inoltre, in questo modo si creano inefficienze del settore che portano i piccoli produttori ad avere poco e i consumatori a pagare prezzi alti. Una filiera del genere qualche volta non riesce ad essere costante nella fornitura alle aziende, costringendole all’importazione dalla Spagna. Tuttavia in Campania abbiamo una produzione che rispetto al resto d’Italia raggiunge facilmente l’industria, ma a differenza di Liguria e Trentino la regione non ha promosso filiere tra i piccoli produttori per potenziare le attività di marketing e promozione. L’avellinese conta migliaia di produttori, dodici aziende di trasformatori e tre di surgelazione; queste imprese come la bagnolese “Cappetta” vengono ad essere tra i principali esportatori mondiali di castagne italiane.

A Bagnoli Irpino la castanicoltura continua a rimanere un’attività economica secondaria per le famiglie. La piccola estensione del fondo medio, non ha permesso quindi una riorganizzazione intensiva facendo continuare un sistema di coltura tradizionale; che si autosostiene con i forti prezzi a cui si è disposti a cedere i terreni (ingrossati più dal valore affettivo che reale). Essendo un’attività secondaria ha spesso spinto le giovani generazioni a concentrarsi specialmente nel periodo della raccolta, ritardando o non eseguendo sempre appieno tutte le attività di manutenzione che questa coltura necessita. Il cinipide ha drammaticamente peggiorato questa situazione portando ad abbandonare i fondi e facendo venir meno la manutenzione della montagna. Lo spopolamento della montagna favorisce il verificarsi d’eventi alluvionali come si verificò lo scorso anno in località “portena”. Le forti piogge estive trovano i canali di scolo otturati o addirittura assenti, mancanza di terrazzamenti, rinforzi e argini; in questo modo l’acqua porta giù terra, rami, recinzioni, baracche e qualsivoglia cosa travolga la sua furia. Nella nostra comunità i castagneti non erano solo una fonte economica, ma un modo di vivere la montagna e di prendersene cura che si trasmetteva di generazione in generazione.

Quello della castanicoltura è tutt’altro che un’industria morta, ma una miniera d’oro. Questa crisi data dal cinipide è l’occasione per una gran ristrutturazione del settore. Stiamo parlando di un settore che in presenza di forti investimenti potrebbe portare lavoro e ricchezza a queste terre. Eppure, molte volte la politica sembra non vedere questa opportunità, sembra non vedere quanto ha saputo fare la Cina e guardare solo al proprio orto! Al momento per l’Italia il castagneto viene ad essere addirittura qualificato come bosco e le castagne non rientrano tra la frutta da guscio, questo dimostra tutto l’interesse verso la castanicoltura… Senza un rinnovamento il lento declino di questo settore proseguirà ineluttabilmente, il crollo della produzione con il cinipide offre la possibilità d’incrementare l’estensione e riorganizzare la produzione a costi inferiori. In mancanza di una svolta simile, l’unica prospettiva futura sarà il successo delle nuove produzioni dell’est Europa e l’inesorabile scomparsa della nostra secolare realtà. L’industria della castagna è ormai cambiata, sta ora anche a Bagnoli adeguarsi ai tempi come ha già fatto nel corso dei secoli. Dopo la castanicoltura non ci saranno altre possibilità di grande sviluppo per le centinaia d’ettari di terreni impervi delle nostre montagne.

APPROFONDIMENTI TRATTI DA:

http://agriregionieuropa.univpm.it/content/article/31/24/situazione-e-prospettive-della-castanicoltura-da-frutto-italia

http://agriregionieuropa.univpm.it/content/article/31/22/luci-e-ombre-della-castanicoltura-italiana-nel-commercio-internazionale

http://www.montella.eu/rassegna-stampa/9-archivio-notizie/1409-la-castanicoltura-all-alba-del-terzo-millennio-di-antonio-iuliano

GRAFICI E TABELLE

                                                                                                       

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