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Cronaca di un viaggio (di Nicola Lazzaro)

14.03.2017, Il documento storico (da “Fuori dalla Rete” – Gennaio 2017, Anno XI, n.1)

 (da “Illustrazione Italiana” del 4/9/1881)

Riportiamo sulle nostre pagine un altro documento storico: la penna appassionata del Lazzaro che ci racconta con citazioni bibliche e una narrativa romanzesca uno spaccato di vita post unitario. Lo riportiamo perchè c’è bisogno oggi di Michele Lenzi, c’è bisogno oggi più che mai di ricordare i tempi che furono, c’è bisogno delle grandi gesta del passato per un presente di parole, c’è bisogno di quella Bagnoli che il Lazzaro ci racconta ed a tratti par quasi un presepe napoletano dove son tutti di cuore e non di denaro. Vi lasciamo allora a questa descrizione idillica di Bagnoli, a questo resoconto di viaggio esotico, d’altri tempi? Beh, si davvero d’altri tempi! Vi lasciamo al passato che fu e ai rimpianti del presente che è… Santa Nesta 1881: ovvero, quando si vuole le cose si fanno e anche bene, l’unico limite a noi stessi siamo noi e la nostra svogliatezza di vivere il presente. Ah, tenetevi forte… ma Michele Lenzi non ebbe profitto economico da quell’evento, anzi! Perchè lo fece? Beh, quando ci arriverete questo sarà un posto migliore..

Digitalizzato e ripubblicato da Federico Lenzi

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Michele-Lenzi-quadro-Rifugio-Santa-Nesta…La notte era venuta e traversavamo gli ultimi boschi, s’era per giungere alle falde del monte, ove giace il grazioso Bagnoli, quando l’oscurità del sito scompare al vivido chiarore di torce a vento ed il silenzio della campagna venne rotto dal suono d’un concerto musicale. Era la banda di Bagnoli, che accompagnata dai contadini, nelle cui mani stavano le torce, ci veniva incontro a darci il bene arrivato.

Giungere in un paese nuovo, ve si conosce nessuno, spesso è tristo; ma se si è attesi da amici che si amano, da una popolazione che vi stima, è cosa che piace e commuove. Non dico altro, perchè ritengo che noi scrittori dobbiamo lasciar la sensibilità degli affetti nel cuore; raccontarli ad altri che indifferenti o svogliati leggono è quasi una profanazione. Ciò che passa all’interno di un’individuo non è mai per il pubblico. Si sente, non si descrive.

Ed eccoci al giorno 6. Dalle prime ore del mattino allegri concerti rompono l’alto sonno dei dormienti. Per le vie è un buggerio, non un contadino che resti nel suo casolare, ad essi s’uniscono a migliaia quelli dei paesi vicini e tutti fan da scorta alla statua del Salvatore che dalla chiesa collegiale di Bagnoli è portata processionalmente al santuario sull’altopiano del Laceno. Tradizione vuole che il santuario odierno, posto a 1050 metri sul livello del mare, fosse l’antica dimora dei santi Guglielmo da Vercelli e Giovanni da Matera. A loro apparve il Salvatore, con ingiunzione di recarsi nei paesi vicini a predicar la fede di Cristo.

Di ciò e di quel che essi fecero io non rispondo; è certo però che il Salvatore ha un fervido culto in quelle popolazioni, e nel mente noi lo si festeggiava largamente sul Laceno, altre feste più modeste gli si facevano al vicino Montello, ove trovasi anche altro santuario a lui dedicato.

La processione si mise in moto in su le cinque del mattino e prese la bellissima strada or ora compiuta, opera dell’egregio ing. Provinciale di Avellino sig. Ottavio Rossi. Questa via si svolge a zig zag sul fianco del monte, è lunga 5200 metri, con una pendenza del 10% ed è costata al comune sole 70 mila lire. Una vera miseria a paragone dell’opera colossale.

Giunti sull’altopiano, è come uno spettacolo fantastico: nel mezzo il lago Laceno, tutt’intorno a migliaia pascolano le pecore e le vacche, dal cui latte si hanno quei burri e quei latti tanto rinomati; in prossimità le colline vestite d’albero d’alto e piccolo fusto; nel fondo il Cervialtp. Questo spettacolo, per se stesso bellissimo, divenne fantastico il giorno della festa. Le migliaia di contadini coi loro pittoreschi costumi popolavano quell’alpesto sito, ed I rividi e caldi colori dei vestiti delle contadine facevano un tutto armonioso coi verdi del prato e dei boschi. Là intorno al santurio dell’arte pendevano grossi cartelli, sui quali leggevasi un evviva ad ognuno dei principali invitatri. Poi una moltitudine di baracche fatte con rami e foglie. Il Lenzi aveva organizzato una festa campestre cui nulla mancava: corse di cavalli intorno al lago, fiera nel lago stesso, giuochi popolari ed una lotteria di beneficenza con circa 600 premi, fra I quali v’erano piatti dipinti a fuoco dal Lenzi, majoliche dipinte dal Martelli, terracotte del Belliazzi, ceramiche del Giustiniani, acquerelli e pitture ad olio d’ottimi artisti che il Lenzi aveva ottenuto dai suoi compagni nell’arte.

Ignoro come avvenisse; ma è certo che si giunse di buon ora sul Laceno e si ritornò a sera, senza che nessuno s’accorgesse come tante ore fossero passate. E sì che il banchetto non durò gran tempo. Le tavole erano imbadite sotto una vasta capanna di tronchi d’albero e frasche. Il servizio era venuto da Avellino, le vivande del luogo, come I vini d’Italia. Tutto respirava un’aria nazionale che faceva piacere. Eran due tavole semicircolari, ognuna per quaranta persona ed anche più se fosse stato necessario. Monsignor De Cesare sedeva al centrodi una fra l’onorevole Della Rocca ed il comm. Santangelo; il Lenzi teneva il mezzo dell’altra fra l’onor. Napodano, rappresentante il colleggio, e me.

Pareva ci conoscessimo da anni, eppure era da poche ore che ci vedevamo. Al vino di sciampagna, il Lenzi commosso ringraziò noi d’aver accettato l’invito, gli rispose l’onor. Napodano con una sequela di felici idee, bellamente espresse; parlò l’onor. Della Rocca in modo splendido e prendendo una lista del pranzo fra le mani, grazioso lavoro artistico del Martelli, si congratulò di veder un menù scritto in italiano. Parlarono altri, il Solimene ed io ancora. Tutti avemmo un gran pregio, la brevità.

Fatto ritorno a Bagnoli dalla piazza tutta illuminata vedemmo la processione scender giù dal monte. Tutte quelle frotte di contadini con fiaccole e lampioncini, che dall’alto venivano giù , parevano come una lingua di fuoco che scendesse giù serpeggiando. E poi fuochi d’artificio, scoppio di petardi, suon di campane e grida festose. La festa è finita e noi andiam a riposare per ritornar l’indomani a Napoli. Addio aria pura dei monti, addio temperatura moderata, addio sentimenti tranquilli che rialzan l’uomo in più vasti e migliori orizzonti. Addio! Noi si ritorna dove con la civiltà maggiore si ha maggiore il pervertimento. Gli intrighi, le basse insinuazioni, le calunnie, I pettegolezzi riprendono il loro dominio. Non si è più fra contadini e sui monti, si è fra cittadini e nella pianura.

Ma prima ch’io smetta, lasciate ch’io ricordi come Bagnoli fosse il paese artistico per eccellenza. In altri tempi e quando l’estinta famiglia Cavaniglia abitava il castello di Bagnoli, in quelle mura erano allegri festini. Sannazzaro ed altri illustri poeti e prosatori vi prendevano dimora. Il Certara ed il D’Asti con I loro pannelli levavano alto grido di loro, ed indi vennero Scipione Infante e Donato Vecchio, I cui magnifici intagli fanno che il coro della Collegiale di Bagnoli sia oggi una delle opere più monumentali dell’industria artistica del XVI secolo.

A che andare più oltre! Bagnoli è un angolo nascostp del paradiso, si amerebbe restarvi non ore e giorni, ma mesi ed anni. Allontanandomene, guardavo indietro e quando più non vidi il vetusto campanile, mi rincatucciai nella carrozza e non guardai altro.

                                                                                                       

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