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‘’Emigrante l’hann’ chiamat’, tra miseria e voglia e fa’’

14.05.2014, Articolo di Ernesto Di Mauro ’94

Storie di persone normali che viaggiano verso posti sconosciuti con la paura, la valigia piena di speranze e la determinazione di chi ha poco da perdere. E poi l’arrivo, le prime esperienze di vita, la solidarietà tra italiani, il lavoro duro, la nostalgia per la patria natia, le foto da mandare alla famiglia, le lettere di chi sapeva scrivere, le rimesse per aiutare chi è rimasto, soldi che hanno fatto crescere l’Italia.

L’emigrazione italiana verso i paesi del Nord-Europa e delle Americhe si può dividere in tre fasi: dopo l’unità d’Italia, dal 1860/70 in poi, soprattutto verso le Americhe (Venezuela, Argentina, Stati uniti, Canada). La seconda e la terza fase riguardano i dopo-guerra, e in questi casi gli Stati che richiedevano più manodopera, Germania e Svizzera, erano le mete più ‘gettonate’. L’ultima fase dell’emigrazione ha visto coloro che si erano stabiliti nel cuore dell’Europa (Svizzera, Germania, Belgio), chiamare i loro parenti che vivevano ancora in Italia, per offrire anche a loro l’opportunità di un lavoro sicuro e un insieme di occasioni, delle quali in Italia, non avrebbero mai goduto.

Le cospicue emigrazioni del secondo dopoguerra si ebbero attorno agli anni 60’. Molti migranti erano poco istruiti, provenivano da contesti poveri, scappavano da una nazione che era stata messa in ginocchio da due conflitti mondiali. L’industrializzazione nel nostro Paese procedeva a rilento, l’agricoltura non permetteva più di vivere dignitosamente e a questi ragazzi non rimaneva altro che partire, per poter vivere una vita a testa alta. Gli uomini partivano da soli, e visto la temporaneità dei contratti, erano costretti ad effettuare diversi lavori, prima di trovare una situazione stabile che consentisse di poter avere il titolo di soggiorno, che serviva ad una permanenza continuativa sui vari territori europei.

Il fenomeno di emigrazione è dettato, nella maggior parte dei casi, dalla voglia di migliorare la propria situazione economica e, quindi, dare un futuro ai propri figli. La differenza tra i salari italiani e quelli esteri, e la mancanza di lavoro al centro-sud, negli anni 60/70’, quindi, sono stati i motivi principali della cospicua emigrazione. Ma chi erano gli emigrati di quel periodo? La ricostruzione post-guerra in Germania, e la grande richiesta di manodopera negli altri paesi europei, spinsero i manovali italiani, soprattutto del sud, a varcare le frontiere. Anche dai nostri paesi partirono contadini, manovali e, soprattutto, giovani alla ricerca di un futuro negato dall’arretratezza del sistema-lavoro nel sud-Italia.

Da Bagnoli verso la Svizzera, la Germania, da Montella verso il Belgio, la Francia. Il luogo simbolo di ritrovo degli emigranti all’estero era la stazione ferroviaria. Vien da sé chiedersi il perché. La stazione era sinonimo di partenza, e quindi di speranza. Vedere i treni diretti verso l’Italia e pensare: – Un giorno ritornerò! -. Parecchi sono tornati, altrettanti sono rimasti. Le condizioni in cui vivevano erano molto umili, ma essenziali per la loro vita in quel momento. I lavori svolti dagli immigrati, erano, per la maggiore, lavori semplici, ma faticosi e in alcuni casi rischiosi, che gli abitanti del posto a volte non classificavano nemmeno come tali, ma che all’emigrante bastavano per avere un salario più sostanzioso di quello italiano.

Anche oggi succede così, è la legge dell’emigrazione. L’immigrato non ruba il lavoro dell’abitante che non ce l’ha, ma svolge un lavoro che l’abitante del posto non classifica tale. Infatti, gli immigrati venivano visti, e questo succede ancora oggi, anche in Italia, come il gradino più basso della società. Ovvero coloro i quali dettati dalla miseria e della povertà si lanciano nell’avventura dell’emigrazione per necessità. Questa visione li ha quasi sempre emarginati dalla società, ove era molto difficile integrarsi. Se loro erano molto umili, dall’altro canto gli ospitanti erano molto titubanti nel stringere un rapporto con loro al di là di quello lavorativo. Da quelli che sono tornati, quando esplicitano i propri ricordi, si scorge quasi una sorta d’imbarazzo nel raccontare la propria storia. Un imbarazzo dettato dal fatto che lì loro erano ospiti, e ancora oggi, a distanza di anni, si sentono in debito con la nazione che ha garantito loro una vita sicuramente più felice.

La situazione può essere definita simile a quella che noi viviamo in Italia? Per alcuni aspetti si, per altri no. E, soprattutto, in quale chiave noi vediamo gli stranieri che vengono nel nostro Paese, ora che le parti si sono invertite? Ogni giorno sbarcano sulle coste siciliane, e non solo, persone che rischiano la propria vita per cercare di migliorare il proprio destino. Questa nuova ondata di emigrazione odierna è ancora molto più drammatica rispetto a quella italiana all’estero. Oltre agli uomini alla ricerca di lavoro, ci sono donne, vecchi e bambini che scappano da guerre, da situazioni di vita precarie e affrontano la grande forza, troppo spesso mortale, del Mare Nostrum. Queste persone attraccano in Italia, per rimanerci o solo per trampolino di lancio verso l’Europa. Oltretutto non sono tutelate da alcun accordo internazionale fra l’Italia e i paesi di provenienza.

Da poco non esiste più il reato di clandestinità, istituito nel 2009 dal governo di centro-destra, per cui non è possibile l’espulsione. Ogni uomo che nasce, bianco, nero, rosso o giallo che sia, ha il diritto di vivere, e noi dobbiamo tutelare in primis questo diritto. Ma poi con quale coraggio li faremmo ripartire, sapendo che le loro nazioni sono in pessime condizioni civili. Secondo i dati del ministero del 2013 in Italia sono risultati presenti 5,1 milioni di stranieri che hanno portato un beneficio di circa 1,4 miliardi di euro, somma molto superiore alla spesa pubblica che serve a gestire il flusso d’ingresso (fonte ‘Il Fatto Quotidiano’). Ma come al solito l’Italia non può essere definito un paese normale, e non lo è solo per un motivo: la criminalità organizzata ha più potere, a volte, dello Stato stesso. Ragion per cui è da valutare se questo flusso d’ingresso viene gestito interamente dallo Stato, oppure anche dalla criminalità organizzata. Purtroppo si, perché le prostitute sulle strade e i venditori ambulanti sulle spiagge non sono in regola (anche perché la prostituzione è reato). Va punito, con sanzioni pesanti, chi favorisce l’ingresso in Italia degli immigrati solo per sfruttarli e per fare loro macchine da lavoro a poco prezzo.

Non ci si capacita come possano esistere ancora Italiani razzisti, sapendo che anche per i nostri connazionali all’estero è stato molto difficile integrarsi nella società.

Concludendo, definirei ogni emigrato un eroe. Un eroe, mai riconosciuto, che ha il coraggio di sacrificare la propria vita per migliorare quella della propria famiglia.

                                                                                                       

1 Commento »

  • AlejandroDG scrive:

    Rettifico il mio pessimismo locale: un barlume di umanità, lucidità e razionalità alberga ancora in qualche bagnolese. Ernesto ne è un esempio, una piacevole eccezione al nulla e alla bieca e stolta presunzione dell’italianità e allo stupido e ottuso sciovinismo imperante.

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