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Florete flores, ovvero una terra, che vuole futuro

10.12.2017, La recensione di Paolo Saggese* (da “Fuori dalla Rete” – Novembre 2017, Anno XI, n.5)

Florete-Flores-Libro-Patrenti-Dell-Angelo-2017Abbiamo bisogno tutti di una boccata d’ossigeno, ovvero di vita, di speranza, di passione. Abbiamo bisogno tutti di credere che l’Irpinia possa avere un futuro, possa ritrovare una strada, che sembra essere accidentata e triste.

Anche un libro, dedicato alle tradizioni di una comunità, può rappresentare un filo prezioso, che vuole significare continuità di vita e di memoria. È questo, che ho pensato, nel leggere e rileggere il gradevole volume, elegante, stimolante, ricco di notizie, di Ermenegildo Parenti e Giuseppe Dell’Angelo (“Florete flores. Tradizioni e riti a Bagnoli Irpino”, Delta 3 edizioni, Grottaminarda, Av, 2017), un libro firmato da nipote e nonno, sèguito non solo ideale di una precedente opera a quattro mani, “Bagnoli Irpino e le sue radici cristiane. Vestigia e luoghi di culto” (2011). Un libro che si legge con la gradevolezza di un bel romanzo e con l’attenzione di un saggio di Le Goff.

Questi libri sono, innanzitutto, un simbolo, perché due generazioni si incontrano, si confrontano, lavorano insieme: uno, Giuseppe, il nonno, rappresenta la “memoria”, una sorta di “Musa”, figlia di “Mnemosyne”, la “Memoria” del mito greco, l’altro, Ermenegildo, il nipote, rappresenta il vate, l’aedo, il poeta, che riporta alla luce la memoria.

Mi immagino che il nipote, un po’ come Omero nell’“Iliade”, chieda al nonno “Cantami, o dea, l’ira funestra del pelide Achille …”, ovvero “Raccontami, o nonno, le storie della nostra piccola Firenze d’Irpinia …”.

In questo libro, diviso in cinque capitoli, gli autori compiono un ulteriore percorso nella tradizione religiosa di Bagnoli, realizzando al contempo una sintesi di storia sociale, culturale, economica, antropologica, folkloristica, letteraria, linguistica, popolare, di questo importante centro della Valle del Calore. Infatti, studiando le reliquie della “Sacra spina” e del “braccio di San Domenico”, la storia del rito di “Santanesta” e della processione della Madonna Addolorata, ricostruendo la genesi della “vacca di fuoco” e della festività di san Rocco, anche in relazione alla famosa testimonianza di Pietro Paolo Parzanese, oppure analizzando l’origine del detto della “capisciola di sant’Onorio” e il poemetto di Tommaso De Rogatis dedicato ad una tragedia verificatasi il 14 luglio del 1778 (“Storia del famoso caso accaduto nella terra di Bagnolo”), i due autori “raccontano” i vari aspetti di una storia locale, che diventa universale, in quanto esempio ed espressione di un mondo complesso, che presenta tratti comuni in tutte le propaggini dell’Appennino meridionale.

In questo quadro, un posto rilevante è assunto dalla figura di Ambrogio Salvio, vescovo domenicano celebre per essere stato consigliere e amico di Papa Pio V e confessore dell’Imperatore Carlo V.

Le vicende del passato remoto si confondono, poi, con quelle del presente, ad esempio con l’impegno di don Stefano Dell’Angelo di tenere vivo il culto della “Sacra Spina”, attraverso anche la testimonianza del “rosseggiamento” del 25 marzo 2016.

Florete-Flores-libro-Parenti-Dell-AngeloIl libro non vuole essere una rappresentazione oleografica di queste storie e cronache passate: il volumetto è anche storia di carestie, di incendi, di epidemie, di tragedie, che si intrecciano con riti religiosi e salvifici, che sembrano miracolosamente garantire la vittoria della vita sulla morte. Tra superstizione e fede, tra miracoli e tragedie, la vita si rinnovava, con forza e determinazione, attraverso quello stoicismo proprio della civiltà contadina, capace di metabolizzare e superare tutti i piccoli o grandi dolori dell’esistenza.

Il libro trae titolo da una delle ultime scoperte storiche, l’iscrizione con pitture floreali presente nel convento di San Domenico fotografata dal geologo Rocco Dell’Osso, tratta dal libro dell’“Ecclesiastico”: “Florete flores quasi lilium date odorem et frondete in gratiam et conlaudate canticum”.

Proprio questi versetti possono essere simbolo di un’Irpinia, che dovrebbe rifiorire e dare ai propri giovani la possibilità di un nuovo futuro.

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* Centro di Documentazione sulla Poesia del Sud

                                                                                                       

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