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Gli aiuti del Comune e Provincia di Venezia alle popolazioni terremotate

Il trentennale del terremoto dell’Irpinia

(23.11.1980 – 23.11.2010)

Ricordare e raccontare. Avere memoria di quei giorni e di quegli anni per non dimenticare la tragedia, il dolore, la speranza, le aspettative, il disincanto di un popolo. L’associazione culturale “Palazzo Tenta 39″,  nel commemorare il 30° anniversario del sisma che sconvolse l’Irpinia e la Basilicata, pubblica sul proprio sito web alcune testimonianze documentali di suoi concittadini. Il tutto al fine di  stimolare riflessioni analisi e confronto su ciò che è stato e ha rappresentato il terremoto del 1980 per le comunità del cratere.  Chiunque potrà intervenire, raccontare la propria storia, manifestare le proprie sensazioni,esprimere la propria opinione. 

La redazione

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Gli aiuti del Comune e Provincia di Venezia alle popolazioni terremotate

18.11.2010, Il racconto di Gennaro Cucciniello (Trentennale del terremoto dell’Irpinia)

PREMESSA – Nel 1980 Gennaro Cucciniello era Consigliere Comunale a Venezia e presidente della Commissione Consiliare Cultura e Pubblica Istruzione. Quando il Comune e la Provincia di Venezia organizzarono la spedizione di soccorso a favore delle popolazioni colpite, fu prescelto e delegato dal sindaco Mario Rigo a rappresentarlo nelle zone terremotate. Il ministro Zamberletti dirottò questa unità di soccorso nell’agro nocerino-sarnese. Le pubblicazioni a seguire, scritte dal  Cucciniello in quei giorni (dal 2 al 15 dicembre), rappresentano un’interessante testimonianza  delle iniziative intraprese e attività avviate in un’area  molto ampia e complessa, ad alta densità abitativa e caratterizzata da una  diffusa e radicata criminalità di tipo camorristico.

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Il racconto

(tratto dal sito del prof. Gennaro Cucciniello: www.gennarocucciniello.it)

Articolo pubblicato sul giornale “l’Unità”, pagina di Venezia, del 2 dicembre 1980

L’aiuto del Comune e dei cittadini veneziani

Sarà in una zona della provincia di Salerno, che fa capo a Nocera e comprende altri centri terremotati, dove confluiranno gli aiuti del Comune e della Provincia di Venezia.

Venerdì sera, 28 novembre, poco prima della riunione appositamente convocata del Consiglio comunale, il ponte radio ha cominciato a funzionare e la prima squadra del Comune ha fatto giungere direttamente a Cà Farsetti le drammatiche notizie da Sturno, un paese della provincia di Avellino, proprio mentre un’ennesima scossa di terremoto si abbatteva sulla zona. Poche parole dei tecnici del Comune sono bastate a delineare il quadro delle necessità: “I senza tetto sono 6700, ci sono 38 tende e 8 roulottes, i morti non li ha contati nessuno, si continua a scavare nel fango e nel freddo, c’è bisogno di tutto, non c’è traccia di mezzi di soccorso”. Per i superstiti iniziava la sesta notte all’addiaccio.

Il Consiglio comunale faceva pervenire alle autorità governative la richiesta di poter convogliare nella zona gli aiuti e provvedeva ad aumentare lo stanziamento portandolo alla ragguardevole cifra di 500 milioni, ai quali andranno aggiunti i denari raccolti dai cittadini. Serviranno ad attrezzare sei squadre specializzate tra costruttori e personale sanitario e a riempire di prefabbricati, roulottes, stufe, vestiario pesante e quanto altro è necessario la nave “Serenissima” che la società “Adriatica” ha messo a disposizione della Regione e che dovrebbe essere pronta a partire domani dal molo 16 del porto di Marghera. La nave dovrebbe giungere al più tardi mercoledì a Bari.

Il sindaco Mario Rigo ha delegato il prof. Gennaro Cucciniello, presidente della Commissione Consiliare Cultura e Pubblica Istruzione, a rappresentarlo nelle zone colpite.

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Articolo pubblicato sul giornale “l’Unità”, pagina di Venezia, del 13 dicembre 1980

La spedizione di soccorso del Comune di Venezia nelle zone terremotate

Ormai è chiaro: ci sono stati due terremoti in Campania e Lucania. Il primo, quello distruttivo ed atroce, ha spazzato via i paesi dell’Irpinia e del Potentino con tutto il suo carico di strage e di dolore e sta ora producendo effetti di desolazione spaventosa. Proprio l’altro ieri, otto dicembre, sono ritornato in quei posti per andare a recuperare un carico di legname e un prefabbricato –che facevano parte della spedizione del Comune di Venezia- e che erano finiti a Montella, un paese a poca distanza da Lioni. Montella, prima del terremoto, contava ottomila abitanti; il giovane e coraggioso sindaco, Salvatore Vestuto, mi diceva che ne erano rimasti solo la metà: gli altri s’erano rifugiati altrove. Ho rivisto Sant’Angelo, Teora: è un paesaggio quasi lunare. I due bravissimi vigili urbani che erano con me, Della Mora e Fasan, erano sconvolti. Ma al di là della comprensibilissima reazione umana il dato che se ne trae è che l’inverno laggiù sarà demolizione, spianamento, fatica, freddo, e un piano di ricostruzione da ideare, progettare e realizzare con comunità relativamente piccole.

L’altro terremoto, quello delle zone metropolitane di Potenza, Salerno, Avellino, Napoli è diversamente drammatico ma ancora più esplosivo. E ci riguarda direttamente ora che si è realizzato autorevolmente, con la presenza del sindaco Rigo, il gemellaggio tra le città di Venezia e di Angri. E’ già stato detto ma è bene ripeterlo: il comprensorio affidato dal ministro Zamberletti al Veneto è una fetta di demogeografia campana importante e complessa. Sono nove centri che contano complessivamente più di 200mila abitanti, con città come Angri e Nocera Inferiore che hanno 30mila e 50mila abitanti; c’è un’agricoltura intensiva e molto fertile, una sviluppata industria alimentare e conserviera, piccole industrie cotoniere e meccaniche, un ricco commercio orto-frutticolo e –a poca distanza- la splendida costa di Amalfi con le sue risorse turistiche. Ad essere stata colpita, quindi, è una zona di sviluppo intenso, con forti interessi e grandi margini di profitto. Ma questa è anche la zona della camorra. Ad Angri –a capo di un coordinamento di terremotati- ho conosciuto Pasquale Nocera, detto “Tempesta”, il più temuto boss camorrista dell’agro nocerino-sarnese, ed era tra i più combattivi nel chiedere aiuti ed elargizioni.

E non basta. Questi sono anche centri di frenetico sviluppo edilizio: non è un caso che ad Angri ad essere stati colpiti sono stati quasi esclusivamente i palazzi di sei-otto piani, tutti dissestati nelle strutture portanti –con lesioni più o meno gravi- e nei primi piani, mentre sono rimasti agibili dal quarto piano in su. Il sindaco di Angri, Mario Abate, ci diceva nella prima riunione di mercoledì 3 dicembre che, mentre avevano resistito le vecchie case, s’erano dissestati i nuovi edifici costruiti dopo il 1960. E l’ingegner Bernardini, sismologo dell’università di Padova, nella ricognizione fatta lunedì scorso mi faceva osservare che due palazzi –posti l’uno accanto all’altro-, il primo di otto e il secondo di cinque piani, presentavano danni di diversa entità, più gravi nel palazzo più alto, meno gravi nel più piccolo. Certamente potevano influire la qualità del materiale usato e la serietà dell’impresa di costruzione ma il buon senso della gente, che lì intorno osservava il lavoro dei tecnici, ripeteva che il palazzo di cinque piani aveva resistito perché appunto di cinque piani e non di otto; e Bernardini non smentiva questa impressione. Non è la prima volta che in questi giorni mi è capitato di constatare che il senso comune delle persone si trova a coincidere col parere degli esperti. Sono stati questi palazzoni inagibili, con più appartamenti per piano, a determinare il grandissimo numero dei senzatetto, e qui le cifre ballano: nella prima riunione un assessore presentò una scheda che rivelava quattromila senzatetto; nella riunione con Rigo, domenica scorsa, valutazioni ritenute più attendibili davano sette-ottomila senzacasa.

Gli effetti del terremoto, perciò, sono stati molteplici e hanno messo a nudo –soprattutto- il terremoto sociale ed economico che c’era prima della scossa del 23 novembre. Un esempio per tutti, e non dei più gravi: Nocera Superiore, paese di ventimila abitanti, era ed è senza fognature e con un acquedotto che per metà attinge all’acquedotto campano e per l’altra metà si rifornisce dai pozzi; e l’ufficiale sanitario e l’assessore alla Sanità, con tranquillità, ci dicevano nelle riunioni-assemblee che la situazione igienica era sotto controllo. Certo, si capiva che non volevano suscitare allarmismi nella popolazione già esasperata; ma poi gli analisti della nostra squadra di disinfestazione e i nostri acquedottisti hanno scoperto che non erano state fatte le necessarie e ripetute analisi sulla potabilizzazione dell’acqua. Il campo attrezzato che il Comune di Venezia ha allestito ad Angri e soprattutto il gemellaggio tra le due Amministrazioni sono fatti importanti. Vale la pena perciò raccontare la storia di questa esperienza che per me, come per tutti gli operai, i tecnici e i volontari della spedizione, è stata eccezionale sul piano umano e culturale.

Nella prima riunione del coordinamento dei sindaci del comprensorio del Nocerino, ed era presente l’assessore della regione Veneto Boldrin, il sindaco di Cava dei Tirreni, una città con più di 50mila abitanti e con una splendida medievale abbazia benedettina, per esprimere il senso di disorientamento e di vero sbandamento che aveva colpito la sua popolazione aveva detto in dialetto: “Nui c’eremo abituate a stà int’a la panza re la vacca”, cioè “eravamo abituati a stare nel ventre della vacca”, stare al sicuro, protetti, e l’efficace metafora alludeva a centri abitati storicamente non toccati dai terremoti, a popolazioni abituate a stare con i piedi saldi per terra. Storicamente questo non era per niente vero (oltre alla terribile eruzione del Vesuvio del 79 d.C., un altro forte terremoto aveva colpito quella zona nel XVII secolo) ma era vero nella memoria storica delle ultime generazioni: è difficilmente valutabile quanto e come inciderà sulle psicologie e sui comportamenti di massa, una massa così fittamente urbanizzata, questo trauma, soprattutto se le scosse dovessero continuare con questa intensità. Intanto però produce alcuni effetti evidenti: 1) la gente non vuole rientrare nei palazzi, neanche in quelli che i tecnici comunali ed altri esperti hanno finora dichiarato agibili; non si fidano dei tecnici locali; esigono perizie qualificate, fatte da tecnici di altre regioni, con attrezzature e strumentazioni qualificate. Quanto incide su questo la consapevolezza dell’opinione pubblica che alcuni professionisti del luogo non possano essere del tutto estranei allo sviluppo della speculazione edilizia? 2) ad Angri le scuole sono tutte occupate, come tutti gli edifici pubblici, e la gente non vuole saperne di andar via. Perciò l’attività scolastica è paralizzata: nel programma di intervento per il superamento dell’emergenza occorrerebbe dare uno spazio adeguato all’avvio di attività scolastiche e di animazione, magari predisponendo piani di rotazione e di turni. L’ingegner Ruggiero, il nostro capo-campo, mi diceva proprio ieri che si potevano impiantare quattro prefabbricati, due da 21 mq e due da 15 mq, se l’Amministrazione avesse assegnato subito gli spazi.

Intanto la chiusura delle scuole ha determinato un’altra conseguenza: tanti giovani studenti volontari che si sono offerti spontaneamente di collaborare con noi, ci hanno aiutato a scaricare il convoglio, ci hanno portato a vedere i posti di più abietta miseria ed emarginazione (trecento persone stipate nei vagoni merci allo scalo ferroviario, con un solo rubinetto e i due cessi della stazione a 200 m di distanza); una parte di essi fa riferimento ad un prete, don Luigi La Mura, baraccato tra i baraccati. Non avevano alcuna fiducia nel loro Ente locale; hanno dimostrato fiducia e speranza nel nostro Ente locale; chissà, sarà forse possibile, se si lavorerà bene e con continuità, dare un senso e una finalità concreta alla loro voglia di partecipare e di contare, stabilendo un legame con la nuova Amministrazione di solidarietà e unità democratica.

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Articolo pubblicato nel giornale “l’Unità”, pagina di Venezia, 14 dicembre 1980

L’opera e la vita del campo

La spedizione che il Comune di Venezia ha organizzato per aiutare le popolazioni terremotate era stata progettata per un intervento in zone distrutte dal sisma: il modello da ripetere era l’esperienza del Friuli. L’attrezzatura e la composizione del convoglio, la disponibilità psicologica dei volontari: tutto era dimensionato a un soccorso immediato, a un rimboccarsi le maniche e lavorare senza sosta. Il dover cambiare destinazione, addirittura durante il viaggio, ci ha posto dinanzi a problemi molto complicati: a) non abbiamo trovato macerie ma città che continuavano a vivere, in un caos frenetico di traffico e di vita quotidiana; b) i nostri operai e tecnici erano smaniosi di lavorare ma le loro prestazioni non venivano richieste né gli interventi precisati con immediatezza. S’era diffuso presto un clima di frustrazione, di delusione e smarrimento.

Alcuni gruppi volevano ritornare a casa subito. C’era un pericolo di smobilitazione. Ma in parte siamo stati fortunati. Avevamo organizzato per il pomeriggio di mercoledì 3 dicembre una prima riunione col Comitato politico-sindacale e con l’Amministrazione di Angri. L’assemblea si svolgeva nel capannone dell’”Olimpia Sport” –lo spazio sportivo requisito per attrezzare il nostro campo-. Il sindaco esprimeva la gratitudine della città; gli assessori e i tecnici del comune presentavano le prime rilevazioni dell’entità del disastro da cui emergeva la gravità e la complessità della situazione, soprattutto per il problema della casa e dei senza tetto e della paralisi delle attività produttive. Tutti i nostri lavoratori, partecipando all’assemblea, hanno cominciato a rendersi conto della situazione nuova in cui erano venuti a trovarsi. Ma immediata si rivelava una prima contraddizione: le richieste che l’Amministrazione ci faceva erano soprattutto: roulottes, prefabbricati, perizie qualificate per accertare la solidità e la staticità dei fabbricati e per certificarne autorevolmente –dinanzi allo scetticismo della gente- l’agibilità e quindi l’abitabilità. Ma intanto cosa far fare alle nostre squadre di pronto intervento? Nella prima riunione, fatta al campo la sera di mercoledì, il clima era teso. Abbiamo discusso a lungo, con serietà, franchezza e senso di responsabilità. Ci siamo convinti che il primo e più importante obiettivo da raggiungere era quello della perfetta efficienza ed operatività del campo. La spedizione era già divisa in squadre, si è eletto un responsabile per squadra, s’è creato un coordinamento dei tecnici capi-squadra guidato dall’ing. Ruggiero, il capo-campo. L’accordo era di fare, ogni sera, un bilancio operativo degli interventi fatti nella giornata e di predisporre, sulla base delle richieste pervenuteci, il quadro dei lavori del giorno successivo. Dovevamo garantire un’organizzazione disciplinata e democratica, efficiente sul piano tecnico e che consentisse sempre a tutti di partecipare e di decidere il da farsi. Un altro problema era quello della sicurezza del campo: avevamo intuito –e qualcuno di noi toccato con mano- che la nostra sola presenza, che non voleva significare una distribuzione a pioggia dei soccorsi, avrebbe creato in quella zona contraddizioni a più livelli, a quello camorristico-criminale e a quello politico-sociale. Abbiamo chiesto al sindaco la protezione del deposito dove avevamo stipato tutto il nostro considerevole carico, e insieme abbiamo organizzato un’accurata sorveglianza. Partecipazione, presa di coscienza, disciplina organizzata, operatività immediata: queste le coordinate prescelte.

Ma intanto il giorno dopo, giovedì 4 dicembre, si rischiava di stare con le mani in mano. Abbiamo deciso tutti insieme di andare a vedere la città e di individuarne noi i bisogni immediati. L’Amministrazione ci ha aiutato: noi chiedevamo di fare squadre miste composte da tecnici del comune di Angri, operai nostri e volontari qualificati per intervenire nelle situazioni più precarie e difficili. E le abbiamo trovate, e le ha visitate dopo anche il sindaco Rigo: situazioni di disperata sopravvivenza e promiscuità come ai carri ferroviari, famiglie alloggiate in autobus coi cartoni al posto dei vetri rotti, una mensa d’una fabbrica –la MCM- con centinaia di persone alloggiate in permanenza. In sintesi, per dar solo il dato quantitativo, in tre giorni i nostri disinfestatori, acquedottisti, elettricisti, carpentieri hanno fatto più di cento interventi, negli edifici pubblici occupati, per attrezzare la roulottopoli al campo sportivo, per transennare strade con edifici pericolanti. Pur di dare lavoro alle squadre avevamo chiesto al coordinamento tecnico della regione Veneto di far pervenire al campo di Angri anche le richieste di pronto intervento segnalate dai comuni vicini. Tecnici ed operai hanno lavorato al mercato ortofrutticolo di Pagani (in cui erano alloggiate un migliaio di persone), a Nocera Inferiore, a Siano, a Corbara, coprendo il vuoto determinato dalla mancata presenza delle altre province venete.

Infine un altro dato è parso evidente: a mano a mano che nel quadro politico di Angri si sviluppava la consapevolezza del significato della presenza dei volontari del comune di Venezia, con l’evolversi in senso democratico della situazione politica e con l’allargarsi al PCI della Giunta di governo (prima del terremoto c’era il centro-sinistra), con l’autorevolezza data dal gemellaggio tra le due città dalla presenza e dalle affermazioni del sindaco Rigo, col ribadito impegno del coraggioso sindaco di Angri, il democristiano Mario Abate, anche il dato meramente tecnico del nostro intervento si è definito con un ritmo più deciso e concreto. Ormai c’è una roulottopoli, dotata di elementari servizi, che può ospitare una cinquantina di famiglie e che può ancora allargarsi: al “fondo Ferraris”, un’area subito requisita e sulla quale in questi giorni si sta effettuando la colata di calcestruzzo per il basamento, può essere costruita una baraccopoli che nei prossimi giorni potrà dare un tetto ad altre 30 famiglie. L’immediato intervento del Comune di Venezia quindi darà –nel giro di pochi giorni- una soluzione provvisoria ma preziosa a quasi un centinaio di famiglie.

Si può fare un primo bilancio umano e tecnico di questa esperienza? Io penso di sì e in due direzioni: 1) nel campo hanno convissuto e lavorato uomini di fede diversa e di varia o nessuna ideologia e militanza politica, uniti tutti da un solo fine, quello di soccorrere la città colpita; 2) il Comune di Venezia ha dimostrato di possedere capacità di organizzazione, materiali, competenze, uomini in grado di costituire una struttura di protezione civile efficiente e di pronta operatività.

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Articolo pubblicato sul giornale “l’Unità”, pagina di Venezia, 15 dicembre 1980

“Se lavoriamo assieme possiamo farcela”

Ho saputo dell’assassinio del sindaco di Pagani giovedì mattina, 4 dicembre. Mi hanno telefonato da Angri verso le undici per dirmi dell’attentato camorristico. Al Comune di Nocera Inferiore un funzionario mi ha dato le prime sommarie spiegazioni: che il sindaco democristiano era una persona oneste e per bene, e che si intuivano ma non si dicevano le motivazioni dell’omicidio. Avevo avuto dei presentimenti, nei giorni precedenti, che il dopo-terremoto nella zona del Nocerino avrebbe subìto delle accelerazioni preoccupanti sia in senso criminale sia nell’intensificarsi dello scontro politico ma non pensavo che la situazione sarebbe arrivata così presto ad un tal punto di frizione. La camorra e i gruppi politici dominanti ad essa intrecciati uccidono un sindaco democristiano, onesto e indipendente, che due giorni prima aveva proposto di aprire la Giunta ai comunisti. Ho pensato subito al sindaco di Angri e ho tanto più apprezzato il suo riserbo, la sua dignità, la sua coraggiosa ostinazione. Me lo ricordo domenica mattina, 7 dicembre, mentre nel largo piazzale cementato del campo, si aspettava l’arrivo del sindaco Rigo; l’ho visto in un angolo, l’ho avvicinato e gli ho chiesto confidenzialmente cosa pensasse della situazione. Lui con un sorriso tirato mi ha detto: “Se lavoriamo insieme può andare bene, possiamo farcela”. Solo ora so apprezzare lo spessore e il coraggio di quelle frasi.

E per un curioso meccanismo psicologico (un corto circuito della memoria) rivedo la scena della riunione all’aeroporto di Venezia la sera di sabato 29 novembre tra il presidente della Giunta regionale Bernini e i rappresentanti degli Enti locali del Veneto. Bernini ci comunicò che l’area assegnata all’intervento del Veneto era l’agro Nocerino-Sarnese e ci dettò un lungo elenco di comuni. L’assessore Benzoni ed io esprimemmo le nostre perplessità che erano il frutto non solo delle letture dei quotidiani per quello che riguardava l’entità dei danni ma anche di conoscenze storico-geografiche e socio-economiche sulla zona. Era incongruo, anche dal punto di vista delle comunicazioni, affidare la zona di Sturno (Avellino) alla Sardegna, isola tirrenica, che avrebbe potuto facilmente sbarcare i suoi convogli nel porto di Salerno, molto vicino alla zona Nocerina; mentre il Veneto, regione adriatica, aveva facilità di comunicazioni con Bari e di lì raggiungere, in pochi chilometri di autostrada, la provincia di Avellino. Bernini sorvolò sull’osservazione: la decisione, disse, era stata presa dal ministro Zamberletti, in un piano evidentemente coordinato. Nei giorni successivi dovevamo constatare che il generale Antonelli, vice di Zamberletti per la provincia di Salerno, non aveva le idee molto chiare sulla configurazione del territorio e sulla diversa entità e qualità dei danni. Il dialogo fu più fitto con l’assessore regionale Boldrin: già all’aeroporto gli avevamo detto che la zona era troppo vasta e popolata, troppo complessa la situazione socio-politica, forti gli intrecci tra gestione politica e delinquenza organizzata, perché la regione Veneto –da sola- potesse farcela. E nella riunione di martedì pomeriggio a Nocera s’era avuto dai sindaci un quadro della particolare gravità delle conseguenze del terremoto. Nella riunione di martedì notte Boldrin era più preoccupato: anche perché erano presenti sul posto solo il Comune e la Provincia di Venezia. C’era un assessore del Comune di Verona ma il suo intervento era sostanzialmente garantito solo da una Azienda municipalizzata. Anche in relazione all’accordo definito in Consiglio regionale, con una suddivisione dell’area in sette scacchieri, questa constatazione ha suggerito a Boldrin di mobilitare con urgenza le province del tutto assenti, di coordinare gli sforzi e di controllare politicamente la delicata situazione, chiedendo nello stesso tempo a Zamberletti di far convergere sul Nocerino altre regioni. Informammo anche che i convogli nostri erano in arrivo, che si sarebbero insediati in campi attrezzati e che avremmo stabilito rapporti di amicizia e collaborazione con gli Enti locali assegnatici. Nella riunione di coordinamento regionale della notte seguente constatammo che Boldrin era tornato a Venezia, che le altre province continuavano ad essere assenti, che mancava una direzione politica del coordinamento regionale, e che l’ing. Chiappini –un tecnico- era costretto a prendere decisioni delicate di natura politica (faccio un esempio: i criteri di distribuzione delle 268 roulottes, inopinatamente sbarcate subito dalla nave sul molo di Salerno e che dovevano essere attribuite ai Comuni il più presto possibile, anche perché eravamo preoccupati di non avere un’adeguata protezione militare).

L’assessore Boldrin poi è tornato a Nocera sabato, ha visitato i nostri campi, ha parlato coi lavoratori, ha mangiato con noi in mensa; si è reso conto dell’efficienza logistica ed operativa, della qualità tecnica, del valore umano e politico della nostra presenza. In un’ennesima riunione notturna Boldrin ci informò che un accordo preciso era intervenuto tra i gruppi politici del Consiglio regionale sulla portata e qualità dell’intervento del Veneto, e che la zona era stata suddivisa assegnando –in simbolico gemellaggio- Angri al Comune di Venezia, Nocera Superiore alla Provincia di Venezia, Nocera Inferiore a Padova, Pagani a Rovigo, Cava dei Tirreni a Verona, Tramonti e S. Egidio a Treviso e a Belluno; mentre Vicenza restava ostinatamente a Teora (AV), chissà perché con la copertura di Zamberletti che proprio ieri ha nominato pro-sindaco di Teora il suo amico Giovanni Chiesa, sindaco di Vicenza. C’è da chiedersi perché il commissario Zamberletti ha consentito a Vicenza quello che ha negato a Venezia per la zona di Sturno e Frigento in Irpinia.

Quali prime conclusioni detta, comunque, questa esperienza? A me sembra di poterne ricavare due (ed è naturalmente un’opinione personale): 1) è apparsa evidente una tendenza della regione Veneto ad assicurare nel Nocerino una presenza solo formale, tesa a distribuire a pioggia una manciata di soccorsi, a non misurare adeguatamente la complessità e l’importanza del ruolo assegnatole; 2) il Comune e la Provincia di Venezia -al contrario- hanno operato per stabilire intese durevoli con le città colpite.

Per questo, concludendo questo mio racconto-riflessione, torno sulle esperienze culturali e politiche che tutti abbiamo fatto. Ora comprendiamo meglio che la sfasatura che si era determinata tra la nostra voglia di operare in soccorso delle popolazioni e le contraddizioni politiche aperte dal terremoto nella zona non era addossabile ad una relativa inerzia dei partiti democratici e della Amministrazione di Angri ma copriva un durissimo scontro per il governo politico del dopo-sisma, e che per ora ha avuto i suoi due estremi nell’assassinio del sindaco a Pagani e nell’intesa democratica ad Angri. Le energie sociali, sindacali, giovanili e democratiche di cui Angri è ricca devono trovare nel Comune di Venezia, nei suoi partiti e sindacati, nei suoi giovani, nelle associazioni  interlocutori pronti e attenti.


                                                                                                       

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