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Globalizzazione e democrazia

02.08.2017, Editoriale di Luciano Arciuolo

globalizzazione-democraziaLa polemica contro la globalizzazione, così com’è e come è andata affermandosi negli ultimi venti anni, non è solo tipica di nostalgici vetero-comunisti. Da sempre ritengo  importante parlarne, per evidenziare i pericoli che comporta l’affermarsi del liberismo più sfrenato.

Wolfgang Streeck è tra i più autorevoli studiosi della nostra società, essendo il direttore del dipartimento di Sociologia dell’Università di Colonia, in Germania; certamente non è un comunista. Ebbene, egli sostiene che nelle odierne società è venuto meno il patto sociale che aveva consentito, a partire dal secondo dopoguerra, al capitalismo e alla democrazia di far crescere il benessere diffuso e le libertà individuali. Con la rivoluzione neo-liberista della globalizzazione, di fatto, il capitalismo avanza verso la propria fine e la democrazia arretra. La crisi attuale, anzi, dimostra che “… il capitalismo sta morendo perché è diventato più capitalistico di quanto gli sia utile … Siamo di fronte a una dinamica endogena di autodistruzione, a una morte per overdose da se stesso … Il capitalismo globalizzato non può essere governato dalla democrazia nazionale. Al contrario, la evira. Dal momento che la democrazia globale è inconcepibile, ne risulta che la globalizzazione è incompatibile con la democrazia. Se vogliamo che il capitalismo sia governato, dobbiamo renderlo meno globale. Cosa c’è di pericoloso in questo? E’ molto più pericoloso lasciare indifesi individui, famiglie, economie regionali e nazionali rispetto ai capricci dei mercati internazionali, con il rischio che cerchino protezione nei Trump e nei Le Pen di turno … Ciò che rimane dell’Europa e della mission “europea” è, purtroppo, solo imporre le cosiddette “riforme strutturali” neo-liberiste ai vari paesi.”

Da questo ultimo punto di vista gli fanno eco gli studenti di economia della PCES (Post-Crash Economics Society) dell’ateneo inglese di Manchester, i quali osservano semplicemente che, nelle Università, la teoria economica insegnata è ormai soltanto la cosiddetta “neoclassica”, che prevede come dogmi quelli del neoliberismo sfrenato: dalla precarizzazione del lavoro alle privatizzazioni selvagge, dal ritiro dell’intervento pubblico in economia al mercato libero e privo di freni.

Queste “regole” la fanno ormai da padrone da decenni, nel mondo della teoria economica e della stessa politica economica dei vari Stati. Teorie portate avanti da professoroni che ogni giorno bacchettano chi la pensa diversamente e vuole porre limiti al liberismo selvaggio, il quale ha impoverito qualche miliardo di persone e accentrato le ricchezze nelle mani di pochi (come ho già ricordato in altra occasione, secondo i dati del World Economic Forum di Davos del febbraio 2017, summit dei capitalisti di tutto il mondo, una decina di persone posseggono la stessa ricchezza della metà dell’umanità, cioè di quattro miliardi di uomini).

Il fatto è che questi professoroni, con tutta la loro scienza, non sono stati capaci di prevedere la crisi attuale, iniziata nel 2008.

Nessuno di questi professoroni è stato capace di rispondere ad una domanda:”Ma perché nessuno ha visto arrivare questa crisi economica?”. La domanda non è banale e non è stata posta da un comunista. Fu rivolta, nel Novembre del 2008, ai super esperti della prestigiosissima London School of Economics nientemeno che dalla Regina Elisabetta (!). E ancora nessuno le ha saputo dare una risposta.

                                                                                                       

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