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Il Mezzogiorno che non c’è

Riportiamo il recente articolo di Giorgio Bocca che il prof. Fiorentino Vecchiarelli ha più volte citato e duramente contestato durante la conferenza «Storia del Mezzogiorno …»tenutasi a Bagnoli il 27 novembre scorso.

di GIORGIO BOCCA (L’Antitaliano – L’Espresso n.  48,  2 Dic. 2010)

Solo un meridionalismo onirico, alla Lombardo, può sostenere che un Sud fiorente sia stato sacrificato al Nord. Il Sud è povero da secoli e lo è ancora

Il lamento meridionalista si rinnova. Era il 1990 quando Rino Nicolosi, presidente della Regione Sicilia, disse: «Sappiamo in molti qui al Sud che siamo ormai vicini al punto del non ritorno posto dai nostri problemi irrisolti». Ribadito oggi dall’attuale presidente Raffaele Lombardo. Intanto presso Napoli i dimostranti contro i rifiuti nella discarica di Terzigno bruciano la bandiera nazionale.

Ritorna la vecchia storia del Nord ricco e industriale che sfrutta il Sud povero agricolo e lo depreda dal poco di benessere che aveva raggiunto. Facendo eco alla lunga campagna meridionalista durata per tutta l’Italia unita che, accanto a buoni e ragionevoli argomenti, allinea le lamentele di comodo e oggi di nuovo di moda. La Sicilia e il Sud ricchi depredati dai nordisti, come sostiene Lombardo, è in buona parte un’invenzione demagogica. Il Sud e la Sicilia del regno borbonico, liberati o conquistati da Garibaldi, ricchi e progrediti certamente non lo erano. Il Sud è povero da secoli e lo è ancora.

Due capitali popolatissime, Napoli e Palermo, e attorno migliaia di villaggi poveri, inospitali, dimenticati. Le differenze con il Nord nell’anno dell’unità enormi, a cominciare dalle strade: al Nord 67 mila chilometri, al Sud 15 mila. Quando il presidente Berlusconi annuncia in Parlamento che in breve risolverà il problema dell’autostrada Salerno- Reggio Calabria l’assemblea ride e rumoreggia, perché tutti sanno che è sempre in costruzione o riparazione. Il Sud viene definito “uno sfascio pendolo” in perenne frana. Ci sono paesi, si legge in una cronaca di fine Ottocento, dove una lettera messa alle poste a Castrovillari impiega ad arrivare due volte il tempo che da Londra o da Parigi. Neanche un chilometro di ferrovia sotto Salerno nell’anno dell’unità, il 90 percento di analfabeti in Sardegna, l’89 in Sicilia, l’86 in Calabria e in Campania. Egregio onorevole Lombardo, ci voleva un bel coraggio da parte di un Nord che lei definisce predone e oppressivo a prendere sulle braccia un simile fardello?

Quante volte il meridionalismo onirico ci ha raccontato come lei che l’industria del Sud era fiorente e che fu sacrificata al Nord. Le industrie tessili del Sud non vendevano una pezza sul mercato europeo, l’arsenale dei Borboni era certamente per l’epoca un grande complesso industriale, con più di mille operai che producevano navi, locomotive, cannoni e macchine, ma fuori mercato, destinato a fallire già nel 1870. Scrive lo storico Carlo De Cesare: «L’industria napoletana era armonica ma immobilista e senza prospettive. Le campagne separate dalla capitale con scarsissime comunicazioni, un livello culturale infimo, debolissime attrezzature civili».

Un altro luogo comune è che nel Sud la rivoluzione agraria fallì per colpa del capitalismo nordista. Ma a dire il vero le condizioni dell’agricoltura meridionale erano pessime e così ne scriveva in francese Fulchignon: «O il latifondo o contadini così poveri e ignoranti da non poter diventare imprenditori. Si accontentano di piantare qualche ulivo o qualche gelso e vivono in condizioni bestiali». I movimenti secessionisti meridionali che copiano quello leghista sono insensati. La crisi del mondo contemporaneo è altra, di essere senza governo, di affidare solo agli appetiti del capitalismo la programmazione della produzione e dei consumi, di non capire che questo andare verso il futuro in ordine sparso in affannosa caotica lotta per accaparrarsi i mercati nuovi abbandonando i vecchi porta soltanto al generale disastro.

                                                                                                       

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