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Il pesce di aprile, la giornata delle burle

01.04.2014, Articolo di Aniello Russo (da “Il Corriere”)

L’origne di questa usanza va collegata alle feste che cadono prima o dopo l’equinozio di marzo.

Il primo di aprile, fino a qualche tempo fa, era la giornata delle burle architettate a danno dei creduloni e dei sempliciotti. Ai tempi di oggi, tramontata quasi del tutto l’usanza, restano in pochi a ricordare il pesce di aprile e gli scherzi del primo giorno del mese che, come al tempo di carnevale, rompevano la monotonia del vivere quotidiano soprattutto nei piccoli paesi; in quell’epoca, dopo l’inverno la noia dominava nelle giornate che si facevano lunghe, quando non accadeva nulla di nuovo e il tempo pareva che non passasse mai.

Allora, dunque, si beffeggiavano le persone più ingenue mandandole in giro in cerca di oggetti introvabili. A questi poveretti si dava l’incarico di comprare cose assurde o inesistenti: l’acqua asciutta, il sale dolce, lo zucchero amaro, una sega priva di denti. E spesso i rivenditori, stando a gioco, li caricavano di pietre o di trucioli o di un bidone d’acqua oppure di un sacco di immondizia da portare ai loro committenti.

Una volta un burlone mandò un ragazzo in salumeria a comprare un panino imbottito di carne di vagina! Al mio paese un sensale buontempone amava turlupinare i ragazzini: chiamandone uno a sé, lo terrorizzava:

Che hai fatto, hai incendiato la fontana pubblica! I carabinieri ti cercano.

Il ragazzino abboccava: prima sbiancava, poi giurava di essere innocente e infine si gettava in una fuga precipitosa verso casa. Tra i ragazzi era diffusa quest’altra burla: uno preparava un pezzo di carta ritagliata a forma di pesce e lo attaccava con la colla sulla schiena di un coetaneo, e poi gli si gridava dietro:

Ciuco, ciuco valente,
porti il carico e non te lo senti;
ah, se tu lo sentissi, ciuco mio, quanto varresti!

Lettere burlesche

Gli adolescenti, nella ricorrenza si scambiavano lettere anonime, che rientravano nell’usanza del pesce d’aprile. Ecco una testimonianza raccolta a Bagnoli (Giulia, nata nel 1923): “Noi ragazze – asserisce la fonte -, scrivevamo una lettera indirizzata a un giovanotto o per illuderlo o per provocarlo. Le lettere, rigorosamente anonime, erano scritte per burla. Sulla prima pagina io disegnavo un pesce e sotto vi scrivevo: – Questo è il pesce che vive nell’acqua e nell’acqua muore, volgi il foglio e ci troverai il mio cuore -. Sul secondo foglio: – Sfoglia ancora e vi troverai il mio nome -. Sull’ultima pagina, invece del cuore, disegnavo un paio di corna, con accanto la scritta: – Curioso sei stato e un paio di corna hai trovato!

L’usanza era l’occasione per accendere avvisaglie d’amore. E c’era pure la fanciulla che ne approfittava per mandare un messaggio al ragazzo per il quale covava un amore segreto; nello scrivere la lettera badava a non scoprirsi apertamente. Le sue parole non tradivano i suoi connotati, tuttavia palesavano il tormento di un cuore che non poteva o non sapeva manifestare i suoi sentimenti. Sul secondo foglio disegnava davvero un cuore trafìtto accanto a queste parole:

Sanguina il mio cuore trappassato come il cuore dell’Addolorata.
Leggi il ternxzo foglio, per il bene che ti voglio.

Sul terzo foglio vi scriveva: “Non I dire che io sono una sfacciata /, il mio nome è nell’ultima facciata!” Ma a questo punto alla tenera innamorata mancava il coraggio, e la curiosità del giovane restava inappagata. Seguiva il commiato dell innamorata, che nutriva la speranza che il destinatario scoprisse dagli indizi che seminava nei versi, l’identità del mittente: Da casa tua non abito lontano, puoi toccarmi se allunghi la mano ..

Così scriveva la ragazza che abitava nello stesso quartiere del giovane amato. Chi faceva affidamento sul suo fisico sano e su una dote consistente, invece scriveva: Sono robusta e ho rosse le gote, tengo salute e una buona dote.

La fanciulla povera, priva pure del corredo, ma che vantava un aspetto grazioso, non potendo offrire altro che la sua illibatezza, si esprimeva all’incirca così:

E’ vero, io non ho niente, ma sono limpida e pura come acqua alla sorgente.

Non è dato di sapere quanti messaggi siano stati coronati da successo. Probabile che queste timide innamorate siano rimaste deluse; e non è restato loro che seguire, tra le lacrime, da dietro i vetri di una finestra la sfilata nuziale del loro amato.

Che sofferenza allora vedere l’oggetto del proprio amore segreto portare all’altare un’altra, magari un’amica o una parente stretta, di lei più fortunata o più intrepida! E quante ragazze incapaci di rivelarsi, saranno rimaste zitelle.

Origine dell’usanza

Non è chiara l’origine del pesce d’aprile. Si sono avanzate numerose supposizioni, alcune delle quali legano l’usanza all’origine dell’umanità, scomodando finanche la Bibbia: chi è risalito a Caino, che sarebbe nato appunto il primo aprile; e chi a Noè che in tale data avrebbe liberato una colomba perché cercasse un pezzo di terra emergente dalle acque. Altre ipotesi rinviano al mito greco: alla vicenda di Proserpina rapita da Plutone; oppure a una delle feste in onore di Venere che si celebrava proprio il primo aprile… A parer mio, l’usanza del pesce di aprile ha origine in epoca più recente e va collegata alle tante feste che cadono prima o dopo l’equinozio di marzo (come: laccensione dei falò, il rito della Candelora, i canti di questua di Segatavecchia… ), festività tutte tese a  propiziare il ritorno della primavera.

L’usanza di propinare scherzi nella giornata del primo aprile era già nota in tutto il territorio europeo, quando nell’Ottocento prese a diffondersi pure in Italia. Gli scherzi del primo aprile, però, non erano una pratica largamente diffusa nella comunità, non coinvolgevano tutti come il carnevale; praticavano l’usanza in particolare gli impiegati e gli artigiani, barbieri sarti falegnami fabbri musicanti, che si autodefìnivano “artisti”, cioè creativi, quasi a voler rimarcare la loro distanza da chi faceva un lavoro manuale: contadini, montanari, pastori, garzoni, facchini.

Non mancava in nessun paese una pattuglia di burloni che stazionava nella Piazza. E in questa giornata si prendevano gioco dei passanti: contadini che rientravano dalla campagna, donne che tornavano dalla fontana col barile sul capo, maestri che uscivano per la passeggiata serale.

Questi buontemponi ponevano in terra, in mezzo alla Piazza, un portafogli che legavano con un filo di nylon sottilissimo: quando l’ignaro passante si chinava per raccoglierlo, si tirava il filo con uno strappo deciso… e tutti gli sfaccendati della piazza giù a ridere alle spalle del malcapitato che si allontanava frettolosamente.

                                                                                                       

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