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“K”: il mostro che è in noi …

09.11.2015, La recensione di Federico Lenzi (da “Fuori dalla Rete” – Novembre 2015, Anno IX, n. 6)

K-cortometraggio-di-martin-di-lucia2E’ online “K”, ultimo cortometraggio di Martin Di Lucia con la produzione di Adolfo Annecchiarico. Un cast di giovani esordienti composto da Cosimo Mainardi, Fiore Cozzolino, Regina Sacco e Modestino Barbieri; l’interpretazione degli attori, dalla cura delle espressioni all’intonazione, è andato in questo short-movie ad emulare un linguaggio quotidiano per rendere appieno la realtà. La sceneggiatura è figlia del racconto breve “K” del 2010, scritto dallo stesso regista. Con quest`ultimo lavoro continua la fase di sperimentazione del linguaggio cinematografico del Di Lucia, giunto a maturazione ne “La Provincia”. Gli standard qualitativi di “K” sono notevolmente superiori a quelli dei precedenti lavori: un buon risultato per una produzione indipendente che non si preclude la partecipazione ai concorsi internazionali di cortometraggi.

Si riparte dall`area industriale dove avevamo lasciaro “La provincia”. Quella di “K” è una provincia immune da campanilismi, pertanto si distacca polemicamente dai sofismi sull’Irpinia in voga di questi tempi. Mira a ricostruire una visione disincantata e nitida della provincia in sé: assunta quale entità in senso assoluto e intesa come sistema sociale comune nell’Italia moderna da Asti ad Agrigento. Una provincia col suo disagio sociale e le sue morbosità, tra luoghi comuni ed emulazione di un concetto post-industriale di modernità. Una provincia lontana dal geocentrismo di avellinese tradizione; che guarda a sé stessa senza filtri e senza elaborazioni… lasciando allo spettatore attento le dovute conclusioni a margine. Un cortometraggio a strati con varie sfumature d’interpretazione insiti in poliedriche metafore. Un occhio sulla provincia imparziale e asettico che lascia a ciascuno l’interpretazione dell’opera attraverso messaggi nascosti. “K” racconta più per quello che mostra in secondo piano che per i dialoghi dei personaggi. Anche in questo lavoro continua l’analisi antropologica da anni condotta (con basso profilo) dal regista, un’analisi che mira a restituire nuda e pura la realtà umana nella sua bruta semplicità.

Non esistono certezze e nessuno si salva nella concezione del mondo di “K”, il mostro potrebbe rivelarsi dai più profondi meandri della psiche di ognuno di noi. “K” non è una storia, è un trancio di storia, è uno spezzone che non sappiamo come sia iniziato e non sappiamo come andrà a finire. Sono tante le informazioni che mancano e i dubbi che assalgono lo spettatore in questa narrazione in media res: ciò stimola la curiosità spingendo a rispecchiarsi nella propria controparte della storia. Infatti, in “K” ci sono proprio tutti gli stereotipi del giovane provinciale e dei suoi costumi. Si tratta di una produzione impegnata che vuol portare alla luce, a chi è in grado di comprenderla, le contraddizioni della nostra realtà. E’ un tema dai contorni alquanto controversi quello affrontato in questo corto: si tratta di carne putrida per gli avvoltoi dei giornaletti, ma Di Lucia riesce a non scadere nel tipico barocco di perbenismo e moralismo che aleggia su queste tematiche. Come sempre è il dettaglio quello su cui tutto viene ad essere impostato; il regista va a dissotterrare incubi e fantasmi nei malinconici anfratti della realtà che sfuggono ai più. In un mondo dominato dall’ambizione e dalla frenesia, è il tempo lento della riflessione che fa sfoggio di sé in questo short-movie. Va in scena una provocazione all’intelligenza dello spettatore, non una fluida e banale produzione commerciale per generare facili introiti.

La camera del regista si leva alcuni sassolini dalla scarpa e mette a fuoco la gioventù provinciale. E’ un’analisi a 360° gradi della gioventù italiana, che nel suo mantenersi neutrale la lascia nuda e cruda agli occhi dello spettatore. Dietro l’obiettivo l’euforia e la smania di onnipotenza del momento vengono mostrate senza filtri e alterazioni, sfociando nel ridicolo: musica violenta, vestiti da rapper newyorkese in mezzo ai campi e la smania di apparire duri per celare le debolezze nel fumo di una sigaretta che apre il film rotolando giù dal distributore e viene a salvare i protagonisti in tutte le situazioni di disagio. Una sigaretta che è l’unica via di fuga dall’ansia del presente, in un mondo mobile dove tutte le certezze sono tramontate e si naviga a vista. A questo si accompagna ovviamente l’alcool, altro sedativo della realtà per fare delle debolezze una forza, per passare il tempo e annegare un disagio giovanile serpeggiante. “K” è la provincia delle occasioni mancate e delle opportunità negate, dove non c’è differenza tra i duri e gli sfigati: ognuno a suo modo sa già di essere un fallito, ma il branco da coraggio e travisa la realtà in un’illusione di grandezza. Questo mondo col tempo da assuefazione e si è perennemente alla ricerca di qualcosa che possa dare una scossa, ma la strada più facile è ovviamente quella verso il baratro. Ed è sempre più giù che il disagio accompagna per mano gli illusi protagonisti. Altro punto di forza di questo castello di sabbia sono le donne e il piacere della carne, compreso nel cocktail di un sabato sera omologato ai canoni di un rigido codice. Si va a divertirsi, o forse più onestamente, si va soltanto a far finta di divertirsi. Ultimo step di questo viaggio, quando il fumo e l’alcool sono divenuti il conformismo, è la droga che circola a fiumi tra i giovani della provincia italiana. Sballarsi per scappare dalla provincia, sballarsi per sfuggire ai propri mostri, sballarsi per poi diventare l’essenza stessa di quella che è la provincia. Tutta la frivolezza emerge nella cultura della strada, nella conoscenza di grandi segreti: ovvero uno tsunami di bufale per mascherare le proprie insicurezze dietro un velo di immaginarie esperienze. Un ego esasperato dalla solitudine delle buie e desolate strade provinciali percorse nel sabato sera, un ego portato al massimo nella disperata lotta per la sopravvivenza. L’egocentrismo è un figlio del mondo di “K”, questo fa delle amicizie semplici opportunità: allegria e confidenza sono esaltate nell’indifferenza di chi lotta quotidianamente per il proprio tornaconto. Una mentalità da branco si fa largo prepotentemente, per sentirsi più forti dinanzi al vuoto. Chi è contro il branco è una persona morta, chi non si sottopone ai riti comuni e non si getta nel baratro con la massa è oggetto della loro vendetta contro la vita. Amicizia è solamente un termine come un altro, è un passaggio in macchina il sabato sera. I lupi dell’incubo vengono ad essere proprio gli amici: coloro che alla fine non ci sono per davvero, se non col senno di poi. In quella visione nel capanno i veri animali sono gli umani in una spietata e selettiva lotta per la sopravvivenza.

L’intro di presentazione del film è il manifesto di “K” con i suoi spettacolari effetti, mentre nella scena del capanno ritorna la bravura della fotografia con una serie di dettagli stranianti e ricercati che delineano alla perfezione l’atmosfera. Tra duri e sfigati, mancava solamente un ultimo personaggio tipico locale: quello che alla vita periferica si è abituato ed abbandonato. L’uomo qualunque forte della sua conoscenza della vita quotidiana e intransigente in quella che per lui è cultura: un’ignoranza forte di sé stessa, dai lati brutali e istintivi. Un senso comune che dal pragmatismo viene ad incrementare la sua forza divenendo un mostro che non vuol sentire ragioni. Dove la legge finisce e dove la ragione è dormiente, “K” va in scena. Non ci sono vincitori e perdenti nel mondo di “K”, il mostro si nasconde dentro ognuno di noi sotto varie sfumature. Ognuno è parte di ciò che odia, perché in questo girone infernale non c’è scampo per nessuno. L’unica soluzione per evadere è uccidere la provincia, è abbandonarsi a sé stessa e convincersi che tutto è perduto. Non ci sono soluzioni, il tutto è un circolo vizioso e opprimente dove chi appare buono sta solo momentaneamente reprimendo la sua vera essenza. Il mondo di “K” non perdona, in fin dei conti tutto è normale. Alla fine cosa è davvero reale e cosa è davvero falso? Il buono, non è solamente un luogo comune? Come facciamo a definire il male? Nulla è davvero certo, non resta che sopravvivere al proprio incubo. Noi non siamo nessuno per giudicare, stiamo solamente servendovi la realtà senza artifizi preconcettuali.

Nella conclusione la violenza si compensa nella bellezza: questo finale vuol dar un senso di vertigine allo spettatore nello spettacolare volo su sconfinate campagne. Il tutto e il nulla nel finale tra finzione e realtà chiude il cortometraggio…. tra la terra e il cielo, sulla linea sottile tra il bene e il male, nessuno sa davvero com’è andata tutta la storia, ma su questi sconfinati panorami “K” ci lascia alle nostre riflessioni…

IL VIDEO

                                                                                                       

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