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San Francesco a Folloni: storia o leggenda?

08.05.2017, Articolo di Vincenzo Garofalo (da “Fuori dalla Rete” – Aprile 2017, Anno XI, n.2)

san-francesco-a-folloniSan Francesco è uno dei protagonisti del cattolicesimo, tra i più noti al mondo. Dotato di un cuore particolarmente buono, capace di parlare con il mondo animale e di privarsi di tutto per gli altri, ha dato vita, come tanti suoi santi colleghi, a culti importanti. Di lui, infatti, si parla un po’ ovunque e chiese, monasteri, altarini votivi sorsero numerosi a testimonianza del suo passaggio.

Godendo dei dubbi leciti che posson sorgere, eccoci a raccontare brevemente di quest’uomo unico anche su Terre del Lupo. Perché, si chiederà qualcuno, ma la risposta arriva immediata: San Francesco a Folloni. Sarà leggenda, credenza, fede, o storia, ma la devozione per il santo di Assisi, a Montella, in zona Folloni trova testimonianza in uno degli angoli più belli della provincia.

Abbandoniamoci a testimonianze del 1800 e cerchiamo di scoprire, almeno un po’, come veniva raccontata la venuta di San Francesco in Irpinia.

La tradizione, scritta ed orale – anche se probabilmente le due si mescolano -, vuole che il santo in persona abbia posto la prima pietra per la nascita del monastero francescano che, oggi, lungo la strada che conduce a Bagnoli Irpino, si presenta come un’oasi di quiete.

Si narra che Francesco, uomo pio, fosse diretto in viaggio verso la Puglia e che, durante il suo peregrinare giunse nei pressi di Montella dove chiese riparo per la notte alla congregazione benedettina del luogo che, però, prontamente rifiutò di accoglierlo. Fu così che l’uomo, stanco e assonnato, si diresse verso il bosco di Folloni, ignorando le storie su belve feroci e personaggi pericolosi che vivevano nel fitto della flora. Per tanti quel luogo sarebbe stato impossibile da vivere, neppure per una sola notte, ma per San Francesco, che volutamente aveva scelto di vivere una vita parca e di stenti, invece, dovette essere un vero e proprio piacere: “una notte di voluttà, di delizie”.

Ambiziosi narratori pretendono di conoscere perfino dove il sant’uomo si accampò per trascorrere la notte. Vi era un leccio li dove oggi, invece, si trova lo spazio tra il coro e la Cappella del Crocefisso. Un certo Salvatore Bosco, nel 1656, notò come ancora il ceppo di quella pianta benedetta germogliasse ancora, con nuove foglie di anno in anno. Purtroppo quando la chissà crollò i frati non si curarono di apporre lapide o segno alcuno in quel luogo “miracoloso”. La pianta, però, dice un altro narratore fu sempre curata con amore e dedizione dalla comunità monastica di Folloni, fino a quando uno dei frati, avendo notato che la pianta ostruiva il panorama e la vista sulla città decise di reciderla. La leggenda vuole che pochi giorni dopo aver reciso la pianta, il fato recidesse la sua vita.

Quando, durante la notte di riposo sotto l’albero, San Francesco si appisolò (e qui le fonti dicono, ma solo alcune, che fosse accompagnato da altri frati) iniziò una fitta nevicata. Nevicata che, però, ricoprì col suo gelido manto bianco tutto il territorio circostante, ad esclusione del solo terreno su cui il santo e i suoi compagni di viaggio giacettero. Il popolo cittadino, di Montella, trovandosi a passare in zona notò l’incredibile prodigio e non ci volle molto che la notizia si diffondesse. I nobili di Montella si decisero quindi a raggiungere il pio uomo per condurlo in processione al paese. Fu allora che fu fatta espressa richiesta al sant’uomo di erigere, proprio li dove si era manifestato tale prodigio di natura, un monastero. Alcune versioni contrastano, però, sulla presenza o meno del Santo durante i lavori di costruzione. Fatto certo è, almeno nelle antiche storie, che da quel giorno esatto iniziò un vero e proprio culto di San Francesco in quella zona d’Irpinia.

Storie diverse parlano di miracoli avvenuti anche in momenti successivi. Alcuni, poi, divenuti tanto radicati nella tradizione da essere ancora oggi narrati divenendo, perfino, azioni della vita quotidiana (ormai purtroppo, ma vedremo poi, impossibili da compiersi!).

Uno dei miracoli successivi all’edificazione del monastero accadde quando uno dei lavoratori, affaticato e assetato si recò alle rive del Calore che scorre a pochi metri di distanza. Fu allora che l’uomo, raggiunta l’acqua, rimase stupido da quanto, per via delle piogge e del maltempo, fosse diventata torbida e imbevibile. Fu allora che Francesco toccò il tronco di un albero le cui radici finivano in acqua ed essa, improvvisamente, tornò limpida e buonissima. L’albero, poi, ovviamente divenne reliquia capace di curare una serie incredibile di malanni che affliggevano il popolino!

Si ritiene che nel 1664 alcuni uomini, guidati da un caporale, durante la caccia ai ladri nel bosco di Folloni, decidessero di sradicare il tronco, lasciandolo cadere in acqua. Li fu trovato tempo dopo galleggiante. Fu raccolto e conservato nel “Tesoro” da un certo Fra Luca Branca. Col ceppo, però, scomparve anche l’acqua. Essa tornò, miracolosamente, solo quando esso fu ripiantato li dove un tempo sorgeva.

Nel 1719, tra l’altro, un intelligente frate, decise di incanalare l’acqua per portarla direttamente al monastero! Il ceppo così fu piantato, parzialmente, anche nei pressi del canale dove l’acqua doveva scorrere. Pochi giorni dopo i lavori, infatti, essa si interrò, e solo quando il ceppo fu piantato (una parte di esso) nei pressi del monastero essa da li sgorgò pulita e saporita, tanto che non ci volle molto a costruire una bella vasca di pietra a contenerla. Oggi quella fontana dovrebbe chiamarsi Fontana del miracolo, e non è più all’aria aperta, ma circondata da un meraviglioso e fresco porticato.

Altri eventi straordinari si compirono in nome del santo di Assisi. Fu infatti durante un inverno gelido che i frati rimasero bloccati al convento e privi di vettovaglie! Era l’anno 1224 e i poveri e stremati uomini di chiesa pregarono a lungo affinché la situazione migliorasse. La preghiera da Dio giunse a Francesco che, nonostante fosse in Francia, l’ascoltò e si prodigò: chiese al Re di Francia un po’ di cibo e lo infilò in un sacco ricamato con il giglio reale. Fu allora che una mano invisibile lo porto fino a Montella! Fu così che i frati poterono sfamarsi e affrontare il rigido inverno. Quel sacco divenne, poi, reliquia.

Quando un bandito entrò, di corsa e in fuga, nella chiesa di San Francesco a Folloni, ecco che qualcosa cambiò il corso della storia. Coi panni lerci e strappati, non trovando altro per rammendarli, raccolse il sacco e ne strappò un pezzo, usandolo per i suoi scopi sartoriali. Esso ben presto diede prova di poteri soprannaturali. Quando i soldati lo raggiunsero, sparandogli, non riuscirono a ferirlo in alcun modo. Quando poi fu arrestato, interrogato, ammise di non aver altro che quel pezzo di sacco e così, dopo poco, la fama miracolosa della stoffa si diffuse un po’ ovunque nei dintorni.

Briganti (abbiamo affrontato ormai tempo addietro il tema brigantaggio) come Crocco, Caruso, Cianci, Saulino, Carbone, Mammone, piuttosto che Fra Diavolo ben presto vollero beneficiare della protezione della reliquia. Purtroppo o per fortuna “Iddio fa sorgere il suo bel Sole sul buono, e sul malefico, e mercè le piogge irriga il campo del giusto, e dell’ingiusto, né perciò parliamo del Sole, e delle piogge, quindi potrebbe giovare all’onesto e al tristo“.

Nel tempo la fama protettrice della reliquia non cedette all’oblio e durante le varie guerre che martoriarono l’Italia intera, dal Mezzogiorno ai confini nazionali, pian piano pezzettini del sacco furono strappati e donati ai soldati in partenza, ed oggi, di quella santa stoffa non resta che il ricordo ed i racconti.

                                                                                                       

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