Articoli

Raccolta di articoli, opinioni, commenti, denunce, aneddoti e racconti, rilevati da diverse fonti informative.

Avvisi e Notizie

Calendario degli avvenimenti; agenda delle attività; episodi di cronaca, notizie ed informazioni varie.

Galleria

Scatti “amatoriali” per ricordare gli eventi più significativi. In risalto volti, paesaggi, panorami e monumenti.

Iniziative

Le attività in campo sociale, culturale e ricreativo ideate e realizzate dal Circolo “Palazzo Tenta 39” (e non solo).

Rubrica Meteo

Previsioni del tempo, ultim’ora meteo, articoli di curiosità ed approfondimento (a cura di Michele Gatta)

Home » A me (non) piace - L'opinione ..., Articoli

Simm r’o Sud

05.09.2017, Articolo di Ernesto Dell’Angelo ’66 (da “Fuori dalla Rete” – Agosto 2017, Anno XI, n.4)

Sud , Sud
venimme r’o Sud e camminamme a pede,
ratece o tiempo r’arrivà
picchè venimme r’o Sud.

Ernesto-Dell-Angelo-66Questo l’ incipit di una canzoncina  napoletana riesumata e riadattata per l’occasione  da Arbore in un suo film , ove con l’ironia di sempre, lo showman pugliese naturalizzato napoletano, riproponendo un vecchio adagio meridionale, tra l’amara consapevolezza dell’arretratezza del Meridione e una buona dose di  compiaciuto vittimismo, sciorinava in chiave melodrammatica, una serie di luoghi comuni  sulla atavica difficoltà per il Sud di adeguarsi agli standard  di progresso economico e sociale del Nord-Italia.

Non è stato sempre così. C’è stato un tempo in cui, per usare una metafora calcistica,  l’asinello partenopeo faceva mangiare polvere al bolide (Ferrari) piemontese.

Il 1789 non è stato solo l’anno della Rivoluzione Francese.  Le idee illuministe che ne costituirono il substrato ideologico e culturale,  invise  alle monarchie d’Europa furono invece fonte di ispirazione per la  Casa Reale Borbonica, che proprio nel profondo Meridione d’Italia , all’epoca Regno delle Due Sicilie,   mutuando e spingendosi oltre le stesse teorie di Voltaire, volle sperimentare una sorta di comunità autarchica di ispirazione socialdemocratica. Correva l’anno 1789, quando il re Ferdinando IV di Borbone si apprestava a promulgare il cosiddetto “Codice Leuciano”; una raccolta di leggi e precetti, volti a regolamentare  l’organizzazione  politica ed amministrativa , le relazioni e lo stato sociale della Colonia Reale di San Leucio che lo stesso sovrano, aveva voluto istituire nel proprio possedimento di San Leucio, località a ridosso della più famosa e ridondante Reggia di Caserta.  Adibita prima a riserva di caccia, convertita in seguito ad opificio per la  lavorazione della seta, San Leucio divenne o almeno sarebbe dovuta diventare nel lungimirante progetto del sovrano illuminato, (neanche tanto, secondo alcuni detrattori, che individueranno il vero ispiratore di tutto nella consorte del re, la regina Maria Carolina D’Asburgo) una colonia di tipo cooperativistica e solidale, dotata, oltre che di innovative tecnologie per la coltivazione del baco e la  lavorazione della seta, anche di residenze e terreni per la dignitosa convivenza dei suoi componenti.

La comunità fondava la propria identità sul riconoscimento imprescindibile del diritto al lavoro per tutti, sulla  pari dignità che questo conferiva ai coloni, indipendentemente dalle funzioni che svolgevano. Erano previste otto ore di lavoro giornaliero, a fronte di disumani ritmi lavorativi cui erano sottoposti gli operai nella più “civile e liberale” Inghilterra. Per garantire una vita dignitosa ad ogni operaio e alla sua famiglia, era assegnata una casa dotata di acqua corrente e servizi igienici. Veniva riconosciuto il diritto-dovere per gli appartenenti la comunità di entrambi i sessi alla frequenza della prima scuola dell’obbligo e, sempre in  tema di parità sessuale, veniva riconosciuto alle donne la piena personalità giuridica nelle questioni ereditarie. I matrimoni dovevano essere il frutto di una libera scelta fra i nubendi, senza interferenza alcuna da parte dei genitori e con la completa abolizione della dote, elemento discriminatore che avrebbe potuto minare lo spirito egualitario della comunità. Ogni operaio contribuiva con il versamento di un obolo all’uscita della messa a rimpinguare la cassa comune ,istituita per garantire l’assistenza sanitaria ai comunitari. La vaccinazione contro il vaiolo, piaga dell’epoca, era obbligatoria e per le malattie più gravi era previsto il ricovero  presso la Casa Degli Infermi , una sorta di nosocomio, le cui spese di gestione gravavano esclusivamente sulle casse della  Real Corona. Il sistema mutualistico prevedeva l’istituzione di una cassa comune a carico di tutti per l’erogazione di sussidi ai più bisognosi, ed altresì quella del Monte degli Orfani, istituita ad esclusivo appannaggio dei bimbi orfani, ove confluivano i beni di quelle eredità giacenti, in caso di mancanza di successori ereditari. Il governo delle questioni politiche ed amministrative era affidato a persone elette da un consiglio di anziani.     

Tutto questo ed altro ancora, redatto, dettagliato e rendicontato in maniera quasi certosina è contenuto nello “Statuto Di San Leucio”, che con dovizia da solerte funzionario, tal Antonio Planelli ,accreditato come consigliere di Corte, consegnò nelle mani del re Ferdinando IV di Borbone, che di lì a poco si affrettò a promulgare.

Il progetto prese corpo, tanto che il sovrano, incoraggiato dai primi risultati, volendosi spingere oltre, immaginò una vera e propria città, che mutuasse dalla colonia la stessa struttura architettonica istituzionale e politica e che in suo onore avrebbe assunto il nome di Fernandopoli. Purtroppo ,oltre la fase iniziale e per oltre qualche decennio, non andò. La discesa di Napoleone in Italia prima, la Restaurazione dopo ed infine l’avvento dei Savoia , che nella loro avida azione di spoliazione e depredazione del Meridione la vendettero a privati,  fecero naufragare l’ambizioso e per certi versi utopistico progetto. L’esperimento della  Colonia Reale di San Leucio, ha purtroppo prestato il fianco a qualche speculazione postuma : per la sinistra,  il primo modello di società  socialista, al cui cospetto, la  Repubblica Romana del 1849 e dopo la Comune di Parigi del 1871 impallidirebbero; per i nostalgici della Casa Reale Borbonica, la dimostrazione di quanto il Regno delle Due Sicilie fosse più progredito e all’avanguardia del resto d’Italia (potendo così affiancare alla tanto declamata prima tratta ferroviaria d’Europa Napoli-Portici, considerato un altro prodigio del regno borbonico)  ed infine, per i più accaniti meridionalisti, l’ennesima conferma di quanto, ancora oggi la irrisolta questione meridionale sia da ricondurre ad una vera e propria invasione del Nord a scapito del Sud.

Non ho alcuna velleità nel contraddire questo o piuttosto quell’altro,  non mi appassiona e non aggiungerei niente di nuovo a ciò che studiosi e storici hanno già detto su questo straordinario, perchè di questo si tratta, modello di organizzazione economico politico e sociale. Posso dire tuttavia ,che da una veloce e superficiale lettura, quello che più ha colpito il mio immaginario si evidenzia  in  questo passo;  “ il solo merito forma distinzione tra gl’ individui di S. Leucio. Perfetta uguaglianza nel vestire. Assoluto divieto contra del lusso . La virtù, e l’eccellenza nell’arte, che si esercita, debbono essere la caratteristica dell’onore, e della singolarità; e questa, qual debba esser tra voi, sarà qui sotto prescritta. Nessun di voi pertanto, sia uomo, sia donna, presuma mai pretendere a contrassegni di distinzione, se non ha esemplarità di costume, ed eccellenza di mestiere.” 

Appunto, il merito. Quello che allora veniva sancito  nel 1789 come unico elemento di distinzione  tra gli individui e su cui si fondava l’ unica possibilità di mobilità sociale e di accesso alle alte cariche della comunità, resta oggi  un principio tanto propagandato quanto ignorato. In un contesto storico come quello della fine del Settecento, ove, sulla base di vecchi refusi feudali, il privilegio per nascita ed appartenenza era intangibile e dal quale non si poteva prescindere nella classificazione della persona, l’affermare che il merito  e non il privilegio costituiva l’unico criterio  legittimo, a discriminare gli individui, era di una dirompente modernità, una vera e propria mina che con effetto deflagrante, scuoteva dalle fondamenta istituzioni, ormai sclerotizzate nel corso dei secoli,  come il privilegio di casta, sul quale si erano erette società ingiuste e pregne di sopraffazione.  La figura di Ferdinando IV di Borbone, non certo il più illuminato tra i sovrani dell’epoca ,  per il semplice fatto di avervi apposto il proprio sigillo regio, promulgando e sancendo quel principio,   assurge  a quella di un  visionario per la sua modernità. Con la nascita, ci viene data in dote la  dignità  che ci rende ugualmente  membri di una comunità; l’operare o meno con virtù e valore ci rende  individui diversamente meritevoli. Egualitarismo e individualismo, socialdemocrazia e liberismo, dottrine sociali  che nel successivo Novecento, contrapponendosi, dilatandosi e degenerandosi daranno vita a sistemi di autoritarismo comunista o di crudele e selvaggio capitalismo, nella comunità leuciana invece , per una strana alchimia ,più di duecento anni fa, assicurarono benessere e prosperità.

Che magnifica  visione!

 

                                                                                                       

Lascia un commento!

Devi essere logged in per lasciare un commento.