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Smettiamola di piangerci addosso

24.08.2017, Articolo di Mimmo Nigro  (da “Fuori dalla Rete” – Agosto 2017, Anno XI, n.4)

Anarco-individualismo, vittimismo e subalternità alla politica i nodi da sciogliere per gli imprenditori locali.

Vignetta-Non-piangiamoci-addossoGli operatori economici di questo paese, non tutti per la verità, hanno qualche remora a confrontarsi a viso aperto. Ne è conferma la tiepida adesione, per usare un eufemismo, al questionario di 7 domande predisposto dall’associazione PT39 su alcuni dei temi a loro più cari. In privato i titolari di partita iva sono molto più spigliati, prodighi di buoni consigli e di proposte illuminanti. Sono, sempre de visu, degli ottimi oratori e navigati affabulatori; di contro, però, si mostrano un po’ logorroici, supponenti e per nulla (pre)disposti all’autocritica, sempre pronti a puntare il dito inquisitorio verso gli altri (tanto più appagante se colleghi).

I nostri imprenditori sono abituati, per indole, a piangersi addosso, ad autocommiserarsi. Se le cose non sono andate bene e se continuano ad andare male la colpa va ricercata fuori dal perimetro della propria azienda: Stato, Regione, Comune, competitor e perfino clienti si rivelano ai loro occhi degli incompetenti, incapaci di sostenerli (gli enti) o di apprezzare la qualità del loro prodotto, della loro offerta (i consumatori). Un atteggiamento di cronico vittimismo e di cecità imprenditoriale dal quale occorre rinsavire al più presto per provare a risalire la china in un mercato, quello turistico, sempre più competitivo ed esigente. Occorre provare a riprendere quel virtuoso percorso di crescita iniziato negli anni 60-70, proseguito tra tante difficoltà negli anni del dopoterremoto e (in)spiegabilmente interrotto negli ultimi tempi.

Oggi appare fortemente a rischio il brand di quello che una volta veniva chiamata “La Gemma dell’Irpinia”, la “Firenze del Sud”. Sembra infrangersi il sogno al quale avevano riposto ogni speranza diverse generazioni di bagnolesi. Riscontriamo da qualche tempo grandi difficoltà ad entrare, da protagonisti, nelle principali guide di rilevazione dei luoghi di interesse turistico provinciale e regionale, non siamo mai entrati nei radar (e nelle grazie) dei tour operator nazionali ed internazionali e cosa più grave, stiamo inesorabilmente retrocedendo in fondo alle scelte e alle preferenze dei turisti fai da te, perfino degli avventori pendolari provinciali e regionali.

La situazione che oggi si presenta ai nostri occhi è molto grave: seggiovie chiuse, sigilli ad alcune attività, ordinanze di demolizioni e/o rimozione di strutture abusive (per anni tollerate, ahinoi), negozi chiusi, patrimonio abitativo in svendita, degrado e incuria di parti del territorio comunale. Eccezion fatta per l’evento SAGRA, che dura soltanto una settimana, flussi turistici significativi sia per Bagnoli che per Laceno non vengono più segnalati da molti anni a questa parte. Si vive, come si dice, alla giornata. Ad appesantire il clima si è aggiunto anche il collasso del principale pilastro di sostentamento dell’economia locale: la castanicoltura. Conseguenza di questa prolungata congiuntura è il progressivo spopolamento ed invecchiamento della cittadinanza, il lento ma inesorabile declino di una comunità e di un territorio.

Il questionario che l’associazione PT39 ha fatto pervenire alla categoria (inviato via email a oltre 50 aziende operanti tra Bagnoli e Laceno), non risolve nessuno dei gravi problemi presenti sul tavolo, ci mancherebbe, ma avrebbe potuto smuovere le acque, in questo momento stagnanti e maleodoranti. Avrebbe forse potuto stimolare un serrato e serio confronto con tutti gli attori della contesa. Avrebbe potuto avvicinare e ricomporre, chissà, la (autolesionista) frattura tra competitor, avrebbe potuto aprire un dialogo, finora tra sordi, tra tutti gli stakeholder presenti sul territorio e favorire l’uscita dall’isolamento a cui si è stati spinti da una serie di circostanze.

È auspicabile in ultimo che, risolvendo rapidamente le pendenza ancora in essere (per chi ce l’ha) e operando TUTTI nella piena legalità, gli imprenditori locali possano finalmente «sciogliere le catene ai piedi» e liberarsi da quella atavica sudditanza psicologica (e non solo) verso la politica che in tutti questi anni non ha giovato né allo sviluppo della loro categoria, né alla crescita di una classe dirigente all’altezza del ruolo e della situazione, né di conseguenza al progresso economico e civile del paese.

                                                                                                       

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