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Tempi (ancora) moderni

31.08.2015, Articolo di Alejandro Di Giovanni (da “Fuori dalla Rete” – Agosto 2015, Anno IX, n. 5)

tempi-moderniLa condizione degli operai, classe sociale ed economica emarginata, aborrita e impotente, è stata più volte ripresa, affrontata e approfondita dal cinema, sviscerata nei suo ritmi incalzanti di lavoro e nel suo processo disumanizzante. La classe operaia entra nel cinema più di ogni altra classe, la sensibilità del grande regista è votata all’ afflizione dell’operaio, il più basso nella scala sociale ed economica delle società capitalistiche. Già i fratelli Lumiere, inventori del cinema, nella fase sperimentale ripresero gli operai in uscita dalle officine Lumiere. Poi, solo per citarne qualcuno, la rivolta di Marlon Brando in Fronte del Porto, la fatica del sudore tangibile di Gian Maria Volontè ne La classe operaia va in paradiso, e ancora prima Charlie Chaplin nei panni del buffo personaggio di nome Charlot, vagabondo buono dalle mille disavventure che entra in fabbrica nel 1936. Reietto e disagiato, Charlot attraversa i primi decenni del ‘900 con l’incoscienza genuina di un bambino incantato mai cresciuto, arrivando nei cosiddetti “Tempi moderni”: Charlot operaio di fabbrica ai tempi della Grande Depressione degli anni trenta, negli anni del taylorismo e dello stacanovismo sovietico, lavora alla catena di montaggio come avvitatore di bulloni.

Le sequenze in fabbrica possiedono un taglio quasi documentaristico in chiave tragi-comica. Alla catena di montaggio gli operai si muovono come un gregge, con coordinati movimenti ritmati; Charlot guida una sorta di balletto meccanico asfissiante e surrealista, dai ritmi sfrenati non troppo distanti dalla realtà del tempo e quindi dalla reale condizione di lavoro della classe operaia.

Impazzito a causa del ritmo accelerato della catena, finisce in manicomio. La parte iniziale del film ambientata in fabbrica alla catena di montaggio è una vera e propria denuncia che Chaplin rappresentò alla sua maniera con irriverenza, poetica, giovialità, malinconia. Della modernità critica la crescente disumanizzazione e alienazione imposta dal sistema industriale attraverso l’asservimento dell’operaio alle macchine: l’uomo non è più uomo, diventa operaio, ossia un misero ingranaggio di un macchinario, svuotato ed estraniato da se stesso e dagli altri (alla catena di montaggio, nelle scene del film, i rapporti umani diventano gag, nel senso che l’uomo è un mezzo senza anima impedito, con chiare difficoltà di autocoscienza).

L’operaio si consuma, usurato dai mezzi di produzione che lo adoperano (non è quindi l’operaio a utilizzarli, bensì l’inverso!): dal sistema di controllo rigido il capo della fabbrica compare su megaschermi per sorvegliarli, anche nella toilette dove Charlot cerca di fumare una sigaretta, una sorta di anticipazione del Grande Fratello; per poter utilizzare tutti gli attimi della giornata dell’ operaio, il capo aumenta continuamente i ritmi, la velocità di produzione, e viene sperimentata una macchina che ciba i lavoratori alla catena di montaggio mentre lavorano, con il tentativo di eliminare la pausa pranzo e quindi evitare tempi morti; dallo sforzo fisico che provoca spasmi prolungati, Charlot a fine turno continua ad avvitare bottoni e tutto ciò che assomigli a un bullone, un sistema, quello capitalistico, dove l’uomo è il risultato del proprio lavoro.

Charlot così viene colto da esaurimento e trasportato in manicomio, ma quando ne esce viene scambiato per un agitatore nel bel mezzo di uno sciopero, così finisce in prigione. Uscito di prigione conosce una ragazza nullatenente e con lei va a vivere in una catapecchia di legno.

Ricomincia a vagabondare in una società meschina basata sulla diseguaglianza e l’ingiustizia che calpesta continuamente la dignità umana: i corpi sembrano indistinti tra la folla, la società ingoia le individualità che dimenticano la loro natura umana per diventare bestie inferocite ed egoiste, ognuno pensa alla propria condizione, a migliorarla anche in condizioni di alto benessere, ma mai disposta a rendere un aiuto: l’umanità che marcia alla conquista della felicità incarnata dai prodotti dell’industria. L’unica alternativa a questo destino di sfruttamento e alienazione va ricercata nella fantasia e nella creatività, nel ballo coi pattini quando trova occupazione come guardiano di un centro commerciale (dove con la ragazza per una sera gode dei beni della modernità) e con la canzone al ristorante dove lavora come cameriere (siamo alla fine del film).

Attimi di gioia, ritagli di vita. Charlot si ritrova di nuovo senza lavoro, ha fallito sempre. Con un bagaglio di speranza e un pieno di sogni, senza soldi, una casa, un lavoro, tenendo per mano la ragazza (alla quale dice: “sorridi!”), si incammina fiducioso lungo una strada dritta che si perde all’orizzonte.
Chaplin, nella sua lunga carriera, ha avuto sempre un gran riguardo per i deboli, le classi sociali più disagiate, gli emarginati, i reietti (Charlot è proprio questo!). Il fatto di riportare e denunciare sul grande schermo la vita e la condizione degli operai diventa allora sintomatico. Una predisposizione pagata a caro prezzo in quell’ America che pure tanto gli aveva dato, e che l’avrebbe poi condannato per comunismo sovversivo e perseguitato attraverso il maccartismo e la caccia alle streghe. Tempi moderni è una rappresentazione artistica divertente e mesta (ma fedele!) del lavoratore operaio di fabbrica alienato e svuotato, una visione che è valsa a Chaplin l’appellativo di marxista nell’ ”America delle infinite libertà”. Il sistema, figlio della cultura occidentale capitalistica, perfetto e infallibile, non doveva mostrare falle, non poteva essere criticato, e Chaplin lo fece…

Dopo quasi ottanta anni, in Tempi (ancora più) moderni, il sistema ha confermato tutte le sue profonde e innumerevoli disfunzioni e crepe che generano le attuali spropositate iniquità sociali ed economiche. Oggi non sembrano migliorate di molto le condizioni di vita degli operai, il che restituisce maggior merito a questo capolavoro, che forse (speriamo di no!) non smetterà mai di essere moderno. Disoccupazione giovanile dilagante, condizioni di sfruttamento diffuse, disuguaglianze di sesso, di razza e di classe nell’accesso al mondo del lavoro e nelle condizioni lavorative: no, il ventunesimo secolo non ha estinto gli antichi irrisolti problemi di giustizia e dignità, piuttosto li ha acuiti. D’altronde immutabile ed eterna deve rimanere la speranza, e Chaplin magistralmente la rivela: la felicità non si compra, la può raggiungere chiunque, anche il più povero, è una mano che ci stringe, un cammino condiviso, un sorriso di ragazza che si apre per noi.

                                                                                                       

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