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I cantastorie girovaghi per i mercati d’Irpinia

14.04.2014, Articolo di Aniello Russo

La figura del cantastorie, una sorta di cantore ambulante che divulgava i fatti di cronaca, è scomparsa con l’esplosione economica degli anni Sessanta. Aveva la funzione che oggi hanno certe trasmissioni televisive oppure i giornali che nelle pagine della cronaca nera raccontano gli avvenimenti accaduti in un grande centro o in una piccola comunità.

Nella Settimana Santa

All’occasione il cantastorie adattava il suo repertorio alle festività del calendario religioso. Nella Settimana Santa proponeva una storia recente che aveva attinenza con la Passione di Cristo, come  “Il giocatore e Gesù Cristo” (fonte: G. Ciletti di Bagnoli). È la vicenda di un uomo che dopo aver subito una grossa perdita al gioco, impreca contro Gesù; poi corre in chiesa, cerca un crocifisso e con un coltello gli infligge tre colpi al costato:

Nu cortieddu pigliavu,

a la ghiesia s’abbiàvu

e Gesù Cristu circavu.

Tre colpi li chiavàvu

e tre stizze r’ sangu

sùbbutu l’assèttere.

Pulisce il coltello con un fazzoletto e torna casa; la moglie nel vedere il fazzoletto insanguinato pensa che il marito abbia perduto sangue dal naso; sta per lavarlo, quando appare la Madonna che reclama il fazzoletto impregnato del sangue del Figlio.

Per campare la vita i cantastorie si esibivano nelle piazze. In Irpinia, invece, essi facevano la loro comparsa nei mercati settimanali: giovedì a Montella o Atripalda, sabato a Ponteromito, domenica a Nusco; oppure nelle fiere annuali, come quella di San Rocco (16 agosto) a Lioni. Mercati e fiere garantivano la presenza di una folla numerosa di contadini disposti nell’occasione a mettere più generosamente mano alla tasca.

Questi cantori girovaghi erano degli onesti lavoratori dall’animo romantico che, nel cantare le storie accadute, esaltavano gli aspetti più patetici. Molti di essi facevano quel mestiere per vocazione; al di là del guadagno in questi cantori c’era pure la ricerca del successo popolare, in quanto la loro era un’attività creativa. Il cantastorie non viaggiava mai da solo, di solito era coadiuvato da almeno una persona che gli faceva da spalla. Arrivava su un traino, su cui trasportava anche il lenzuolo o il cartellone con una diecina di riquadri dipinti su cui in sequenza erano rappresentate le scene della vicenda che si apprestava a cantare. Come dei fumetti, via.

Struttura e temi dei canti

Qualche cantastorie, imitando gli antichi poeti di corte, cominciava con una protasi, di solito accompagnata da un’invocazione al Padreterno o alla Madonna del Carmine perché gli illuminasse la mente. Così all’inizio del ‘900 un cantastorie diede inizio alla sua esibizione:

O Vergine del Carmine,

illùma la mia memoria

pe questa nova storia

che mò aggia cuntà!

Il canto, accompagnato dalla musica della fisarmonica e dalla visione del telone, costituiva un richiamo irresistibile per i paesani abituati alla vita monotona dei campi. Il piccolo gruppo che si formava all’inizio si andava presto ingrossando con altri curiosi catturati dalla storia intrigante; e si fermavano incantati e ansiosi di conoscere lo sviluppo della vicenda. Il cantastorie, una volta inchiodato attorno a sé un folto gruppo di ascoltatori, andava avanti sicuro ormai di poter contare sull’elemento emotivo.

I motivi musicali erano orecchiabili e sempre gli stessi, le storie invece non si ripetevano mai, perché la vita offriva esempi a profusione. La vicenda era narrata in versi ricchi di assonanze; la metrica non era rigorosa, tuttavia si prediligeva l’endecasillabo, come nel canto “Angelica” rilevato a Montecalvo da Angelo Siciliano:

La donna nunn’è fferma di parola.

Povur’a quell’uomu che s’adda accasà:

la morte se lu chiama ora p’ ora!

C’era pure chi adoperava il settenario per le storie brevi, come la “Storia di un padre assassino”:

Nu padre assassinu

che s’è firato re fa’?

Na mogli cu tre ffigli

vulètte ammazzà!

Le storie proposte dai cantastorie, attinte dalla cronaca, si imprimevano nella memoria collettiva al pari dei canti popolari della tradizione; una volta memorizzati questi canti andavano a far parte del patrimonio culturale delle classi incolte. Il contenuto dei canti erano le calamità pubbliche; ma oltre alle catastrofi naturali, i cantastorie cantavano storie d’amore, eventi miracolosi, vicende di cronaca; di preferenza i fatti di sangue, specie i delitti passionali, che anch’essi erano vissuti come eventi che coinvolgevano la intera comunità.

Nel “Contadino di Nusco” (fonte: Lorenzo Preziuso, n. 1910 a Bagnoli) si narra di un contadino ammogliato che, invaghitosi di una diciottenne che abitava nella masseria vicina, prese a maltrattare la moglie e a bastonarla. La donna temendo per la sua vita, sporse denunzia. Ma sulla strada del ritorno l’aspettava il marito: le si parò dinanzi minaccioso e con calci e pugni la colpì mortalmente. L’uomo fu preso e gettato in carcere. Quando uscì di prigione si diede a una vita di penitenza, confessando nei mercati tutte le sue nefandezze. E come spesso accadeva in simili storie, il canto aveva termine con una morale:

Ascoltate, uomini e donne,

questa ultima parola virtuosa:

chi maltratta così la sua sposa

non trova pace nell’altro mondo!

                                                                                                       

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