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Meditate che questo è stato

29.01.2017, Il Giorno della Memoria (Email di Ernesto Dell’Angelo ’66)

Munch-L-urloAvere memoria di quello che è stato è doveroso, meditare sul nostro presente con la memoria di quello che è stato è fondamentale.

Cadere nella solita e sterile retorica della sola celebrazione è un rischio che si corre anche con “Il giorno della memoria”, dove anche  un luogo come Auschwitz  può diventare: “un luogo nato in tempi tristi, dove dopo passano i turisti” (Guccini).

Meditate  dunque.

 Ma cos’è un lager?

“Sono mille e mille occhiaie vuote,

sono mani magre abbarbicate ai fili,

son baracche, uffici, orari, timbri e ruote,

son routine e risa dietro a dei fucili….”(Guccini)

Quelle mille occhiaie vuote ma piene di angoscia esistenziale, che solo Munch nel suo “L’urlo” ha saputo rappresentare in tutta la loro drammaticità, non possono essere forse quelle  delle masse di migranti (profughi o clandestini che siano), che fuggono dalla guerra, dalla fame, dalla miseria e dalla disperazione?

Quei fili spinati, baracche, uffici e timbri, non possono essere forse quei muri fatti di reticolati e burocrazia che si stanno erigendo in Europa (dopo aver salutato con enfasi la demolizione del muro di Berlino quale nuovo viatico verso una nuova libertà e democrazia), che intrappolano quelle “facce e mani scarne di esseri diversi scarsamente umani”, in una terra di mezzo, fatta da una realtà di orrori dalla quale fuggire e una speranza negata di salvezza da raggiungere?

I campi profughi di Ventimiglia, di Calais,  di Bapska, di Opatovac, non sono stati e sono forse i moderni lager?

Cos’è un lager?

Considerate se questa è una donna,

senza capelli e senza nome,

senza più forza di ricordare,

vuoti gli occhi e freddo il grembo, come una rana d’inverno. (Primo Levi)

L’ho vista quella donna, negli innumerevoli servizi giornalistici dei TG. Anonima tra anonimi,di colore  o di pelle chiara, sbarcata da qualche gommone di salvataggio o impalata nei campi di accoglienza al di là di quei muri di frontiera, come una pianta ormai secca dalla quale il figlio a lei avvinghiato avidamente si sforza di succhiarne l’ultima goccia di linfa. Per assurdo, qualcuno dice che la migrazione è una libera scelta dell’individuo, sorvolando sul fatto che il più delle volte però,  mai come in questo caso, è dettata dal non aver potuto scegliere il posto in cui nascere. La migrazione è una condizione che si subisce, proprio come quella di essere stato ebreo. Questo dipendere dalla sorte, ci riporta a scenari di darwiniana memoria, ove la natura con le sue spietate leggi di selezione naturale  decide il destino dell’umana gente (Favorendo in questo caso non i più forti e adatti all’ambiente,  ma solo i più fortunati).

Al diavolo quindi il Cristianesimo, Rousseau e tutto il pensiero illuminista, che hanno costituito il substrato culturale ideologico di quella grande  e sofferta conquista dell’umanità: “La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo”, ove all’individuo ancor prima dei suoi diritti civili e politici, gli si riconosce come sacrosanto ed imprescindibile il diritto alla vita ed il rispetto della  sua dignità.

Non oso affrontare il problema del dramma dei moderni esodi, almeno non da un punto di vista strutturale, non ne sono capace, così come non so dare soluzioni. Non posso però non destarmi da questo torpore di assuefazione nel quale siamo caduti, celebrando il ricordo di ciò che di nefasto è accaduto in quel primo Novecento, dimenticando invece ciò che di altrettanto nefasto sta accadendo oggi intorno a noi.

Cos’è un lager?

E’ una cosa stata, cosa che sarà, può essere in un ghetto, fabbrica città,

… uno ne finisce e uno sorgerà, sempre per il bene dell’umanità,

chi fra voi kapò, chi vittima sarà , in un lager.

                                                                                                       

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