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Le “opere d’arte” della tratta ferroviaria Avellino – Rocchetta

17.01.2015, Articolo di Carla Esposito (da Fuori dalla Rete – Gennaio 2015, Anno IX, n.1)

In un precedente articolo è stata presentato un’elaborazione artistica di una storia –cucita- intorno al tracciato ferroviario Avellino – Rocchetta. Oggi vogliamo raccontarvi di un documento che racconta e indaga “l’opera”, la costruzione, e la storia della tratta ferroviaria. A scrivere “Alle origini dell’ingegneria ferroviaria in Campania:la costruzione della linea Avellino-Ponte S. Venere (1888-1895) e gli attuali problemi di conservazione”, Andrea Pane, docente di Restauro del Dipartimento di Architettura Federico II. “Bisognava fare gli italiani” si diceva una volta unita l’Italia, ma il Paese mancava ancora dei mezzi attraverso i quali poter dimostrare questa unione.  In quel momento storico “il rapido incremento delle reti ferroviarie avviato subito dopo l’Unità, conduce, nell’arco di un solo decennio, a triplicare l’estensione delle “strade ferrate” esistenti negli Stati preunitari, aggiungendo i 6000 km di rete nazionale nel 1870. La complessità di questi compiti si accentua ulteriormente con le conseguenti difficoltà tecniche e l’insorgere di più accesi dibattiti sull’ andamento dei tracciati. E’  il caso, in Campania, della principale linea interna della regione, posta “al servizio di un’area vastissima”: la Avellino-Rocchetta, realizzata tra il 1888 e il 1895.

Continuiamo con una lettura del documento, cercando di estrapolare forse i punti da poter presentare facilmente.

La storia

Frutto di decenni di proposte e di dibatti, avviati fin dal 1868, la ferrovia Avellino-Ponte Santa Venere (dal nome della località posta ad ovest della stazione di Rocchetta Sant’Antonio) riceve un primo avallo in sede di Consiglio Provinciale di Principato Ultra nel 1872, per iniziativa del suo presidente Michele Capozzi. Segue un lungo e tormentato iter politico e burocratico, segnato anche dall’autorevole sostegno di Francesco De Sanctis, che condurrà dopo sette anni all’inclusione della linea, come tracciato di terza categoria, nella legge del 29 luglio 1879, relativa al completamento delle ferrovie italiane . Trascorrerà tuttavia oltre un decennio prima che i lavori abbiano inizio (…) Finalmente, a seguito di apposita convenzione sottoscritta il 21 giugno 1888, la costruzione della linea Avellino-Ponte Santa Venere è avviata nei primi mesi dell’anno successivo, su progetto esecutivo della Società per le Strade Ferrate del Mediterraneo, subentrata intanto alle Ferrovie Meridionali. Proprio nello stesso periodo, l’organico delle Ferrovie del Mediterraneo si arricchisce di grandi figure di ingegneri ferroviari, tra cui Cesare Bermani e Mattia Massa, entrambi provenienti da esperienze nelle ferrovie dell’Italia settentrionale, giunti alle Mediterranee nel 1885 e posti rispettivamente a capo della sezione lavori e della direzione generale della rete.

Inquadramento e Dati tecnici

Fulcro delle aspettative di rilancio economico del territorio dell’Irpinia, la ferrovia si sarebbe sviluppata, secondo il progetto esecutivo, lungo un tracciato di quasi 120 chilometri. A partire dalla stazione di Avellino, la linea avrebbe quindi toccato i paesi di Salza Irpina, Montefalcione, Montemiletto, Lapio, Taurasi, San Mango, Paternopoli, Castelfranci, Montemarano, Montella, Bagnoli Irpino, Nusco, Sant’Angelo dei Lombardi, Lioni, Morra, Conza, per poi proseguire lungo il confine tra Campania e Basilicata verso Calitri, Monticchio, Monteverde, fino a Rocchetta-Sant’Antonio. Attraversando le tre vallate dei fiumi Sabato, Calore e Ofanto, con alcune gallerie ed un gran numero di ponti e viadotti, il tracciato avrebbe affrontato notevoli asperità del territorio, seguendo un profilo altimetrico variabile dalla quota di 302 metri della stazione di Avellino, ai 672 metri dell’altipiano di Nusco, punto più elevato della linea, fino a ridiscendere lungo la valle dell’Ofanto verso la stazione di Rocchetta, posta alla quota di 217 metri.

La ferroviaAvellino-Rocchetta si sviluppa su terreni di natura prevalentemente argillo-scistosa, con sporadici affioramenti di calcari, marne e arenarie, mentre nella valle dell’Ofanto incontra frequentemente depositi alluvionali. L’elevato numero di opere d’arte richieste dal tracciato – dovuto alla complessa orografia ed alla necessità di attraversare più volte i fiumi Sabato, Calore e Ofanto – orienta in fase di   progetto le Ferrovie del Mediterraneo a realizzare ponti e viadotti prevalentemente in muratura. Tale scelta appare in linea con la sensibile riscoperta di questa tecnica sul finire del XIX secolo, diffusa soprattutto in ambito ferroviario per la maggiore stabilità della muratura nel caso di alti viadotti con pile snelle, ma anche per la duttilità di queste strutture nel seguire andamenti curvilinei. A ciò si aggiunge, già dalla metà dell’Ottocento, l’introduzione della malta di calce idraulica, che permette di contenere i tempi di realizzazione di un ponte da quattro ad un anno, consentendo inoltre di utilizzare, anche per luci notevoli, i laterizi in luogo delle più costose pietre da taglio.

Costruzione e economia

La costruzione della ferrovia mette in moto un timido sviluppo industriale nella provincia di Avellino, legato alla produzione di laterizi, che tuttavia non riesce a sopravvivere a lungo dopo l’inaugurazione della linea. Già nel primo periodo dei lavori, peraltro, il progetto subisce diverse varianti finalizzate al contenimento dei costi, tra cui emerge la sostituzione di molti viadotti in muratura con più economiche travate in acciaio, suscitando le critiche del grande meridionalista Giustino Fortunato, impegnato in quegli anni a sostegno delle ferrovie Ofantine, che scongiura l’esecuzione di “lavori menati innanzi con la lesina dell’avaro e, quel che è più, senza una grande preoccupazione dell’avvenire”. A parziale smentita di queste preoccupazioni, tuttavia, il tracciato compiuto presenta, su 58 ponti e viadotti di maggiore rilievo, oltre quindici strutture superiori ai 50 metri di lunghezza interamente realizzate in muratura. Tra queste, spicca il grande viadotto curvilineo sul fiume Sabato, di particolare valenza paesistica, posto immediatamente al di fuori della stazione di Avellino e caratterizzato da 16 campate di 11 metri di luce ciascuna, per una lunghezza complessiva di 225 metri. Di notevole interesse è anche il ponte obliquo sul fiume Calore presso San Mango (km 24+376) costituito da cinque arcate di 12 metri di luce, per una lunghezza complessiva di 104 metri. Caratterizzato per il suo andamento obliquo da un articolato apparecchio elicoidale delle volte, il ponte presenta fondazioni realizzate con cassoni ad aria compressa e pile particolarmente curate nei rostri, coronamenti e cappucci. Entrambe le strutture, infine, mostrano il ricorso ad una tipologia molto diffusa in ambito ferroviario, dove la scelta di adottare archi a tutto sesto con luci inferiori ai 15 metri trae origine dal problema della sollecitazione orizzontale generata alla sommità della pila, sia per effetto della frenatura del treno, sia quando il treno stesso carica solo una delle due volte impostate su ciascuna pila.

Opere in acciaio

Alle citate opere in muratura si accompagnano numerosi ponti in acciaio di grande rilievo, tra i quali spicca senza dubbio il cosiddetto Ponte principe sul fiume Calore presso Lapio, caratterizzato da tre travate reticolari di 95,40 metri di luce e 10 metri di altezza, per una lunghezza totale di 340 metri, oggetto in anni recenti di alcuni test dinamici. Degno di nota è anche il ponte obliquo sull’Ofanto (km 92+152), composto da tre travate ad arco in acciaio di 33,16 metri di luce, per una lunghezza complessiva di 134 metri.

Le gallerie

Tra le 19 gallerie che caratterizzano il tracciato, infine, si distinguono due opere maggiori, entrambe collocate nel tronco Avellino-Paternopoli e realizzate in laterizi con sezione ad arco rovescio tra il 1890 e il 1892: la galleria di Parolise, di 1,3 chilometri, ma soprattutto quella di Montefalcione, lunga 2,6 chilometri, compiuta con uno scavo fondato su sei attacchi (dai due imbocchi e da due pozzi) durato quasi due anni.

Le speranze del progresso e dell’economia

“L’Avellino-Santa Venere è una rivelazione del medio evo in mezzo al mondo moderno”, scriverà più tardi Giustino Fortunato, plaudendo all’ inaugurazione del primo tronco della ferrovia tra Avellino e Paternopoli nell’ Ottobre 1893.  Per la sua realizzazione, “da oltre ventotto mesi una vera battaglia si combatte laggiù, una battaglia, che la scienza vince, ma a prezzo di vite umane e di molti milioni”. Fugate dunque le iniziali incertezze sulla condotta dei lavori, Fortunato sembra interrogarsi sulle speranze di sviluppo del territorio riposte fin dal principio dei dibattiti nella ferrovia: “L’aura della Campania Felice discenderà per l’Ofanto insieme con la vaporiera, dando vita nuova a tanta parte della nostra Italia irredenta? Sarà l’Avellino- Santa Venere un beneficio economico e sociale, come certamente è un miracolo dell’arte umana?” La Avellino-Ponte Santa Venere, soffre fin dall’avvio dell’esercizio di uno scarso rendimento economico. Già tre anni dopo l’inaugurazione, infatti, la stessa Società rileva che, a fronte delle 27 stazioni e fermate, “ciò che invece fa difetto sono gli elementi del traffico e le vie di comunicazione fra le stazioni ed i paesi” . Avviata con una frequenza giornaliera di tre treni, per una percorrenza dell’intero tratto di cinque ore, la ferrovia non riuscirà mai ad andare oltre il servizio locale tra i comuni dell’Irpinia, nemmeno dopo il settembre 1933, quando sarà dotata di automotrici diesel – le celebri “littorine” – al fine di garantire tempi di percorrenza più veloci e maggiore comfort per i viaggiatori.

Periodo post bellico

A seguito delle azioni belliche condotte nel territorio avellinese dal 13 settembre al 2 ottobre 1943, la ferrovia riporta significativi danni, non molto gravi per l’armamento ma piuttosto estesi per le sue opere d’arte, tra cui spiccano almeno cinque ponti in muratura di maggiori dimensioni.

Gli anni ’50-’60

Dopo una breve stagione di incremento di viaggiatori, in buona parte legata all’ emigrazione degli anni ’50-’60, la linea subisce una lunga chiusura a seguito dei consistenti danni subiti in occasione del terremoto dell’Irpinia del novembre 1980, che conduce alla sostituzione dell’armamento e alla ricostruzione di gran parte delle stazioni. In analogia con altre ferrovie secondarie italiane, le attuali prospettive della Avellino-Rocchetta appaiono segnate da un concreto rischio di abbandono e chiusura definitiva della linea, ritenuta improduttiva dall’ amministrazione delle Ferrovie e servita oggi da non più di tre treni giornalieri, sospesi nei giorni festivi e in estate, con sole 13 fermate attive e la gran parte delle stazioni soppresse.

1995 ad oggi

Celebrata in occasione del centenario della linea nel novembre 1995, con il viaggio di un treno storico, la ferrovia sembra dunque destinata ad un progetto di conservazione e valorizzazione che ne possa garantire la sopravvivenza attraverso un riuso compatibile. Prendendo a modello i numerosi interventi conservativi realizzati su ferrovie storiche, avviati nella Val d’Orcia e recentemente diffusi soprattutto in Italia settentrionale, la linea potrebbe essere destinata a fini turistici , promuovendo itinerari a carattere ambientale e paesaggistico all’interno del territorio dell’alta Irpinia. Tali iniziative, avviate a livello sperimentale (..)con il progetto Treni d’Irpinia, appaiono preferibili alle possibili “riconversioni” della linea in percorsi pedonali o piste ciclabili, che finiscono per tutelarne esclusivamente il tracciato, cancellando definitivamente la sua integrità tecnologica e, di conseguenza, gran parte dei suoi stessi  valori storici.

Le ricerche e gli studi continuando ancora oggi. Prossimamente illustreremo uno dei lavori condotti all’Università Federico II, dove l’attenzione viene posta ed incentrata sul recupero del territorio, studiando un possibile recupero della tratta, a livello sociale, paesaggistico e soprattutto economico, dimostrando a chi di competenza quanto possa essere di vitale importanza investire sull’intera regione -utilizzando- i mezzi e gli elementi che lo stesso territorio concede.

Carla Esposito

Studentessa di Architettura, nata a Napoli, è appassionata d’arte e di storia. Attraverso i suoi studi e le passione per il disegno e la fotografia, proverà ad evidenziare le potenzialità e le criticità della propria “terra” e il “rispetto” dei luoghi che la accolgono, come l’Irpinia.

                                                                                                       

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