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Bertolaso lancia l’allarme su Ischia – “Un vulcano con il colpo in canna”

La Repubblica – 27.04.2010

Il capo della Protezione civile spiega che sull’isola la camera magmativa del monte Epomeo si sta caricando.  E per il rischio Vesuvio è necessario allargare la zona rossa e fare piani di evacuazione anche per Napoli

Non è il Vesuvio ma Ischia il vulcano che preoccupa di più gli scienziati. Lo ha rivelato il capo della Protezione Civile Guido Bertolaso nel corso di un incontro con la stampa estera per fare il punto della situazione sui vulcani italiani e sui rischi connessi ad un’eruzione. “Il vulcano che potenzialmente ha il colpo in canna peggiore di tutti – ha spiegato Bertolaso – è l’isola di Ischia, dove l’ultima eruzione si è registrata nel 1.300, ma il monte Epomeo è cresciuto in altezza di 300 metri – ha detto – Si sta caricando la camera magmatica che potrebbe in un futuro lontano provocare un’eruzione”. Bertolaso ha chiarito che “non vi sono al momento ragioni per temere che si risvegli, ma ciò può sempre avvenire e dunque va costantemente monitorato”.
Il capo della Protezione civile, comunque, non sottovaluta i rischi legati al Vesuvio e ha sottolineato che è  necessario allargare la zona rossa del vulcano di Napoli, di conseguenza, andranno rivisti i piani di evacuazione, che non riguarderanno più 500-600mila persone ma oltre un milione di cittadini. “Il Vesuvio – ha affermato Bertolaso – è il più grande problema di protezione civile che c’è in Italia, perché ci sono interi paesi costruiti nella zona del vulcano che sarebbe invasa da un’eruzione. Al momento il vulcano è tranquillo ma sappiamo bene che la situazione, il giorno in cui il Vesuvio si risveglierà, sarebbe assolutamente drammatica”. Tanto per far capire quello che potrebbe succedere, Bertolaso ha illustrato alcuni scenari prefigurati dagli scienziati, ricordando che l’eruzione sarebbe preceduta da terremoti con conseguenze “paragonabili a quello che è accaduto a L’Aquila il 6 aprile dell’anno scorso” e sottolineando che per l’evacuazione dei cittadini ci sarebbe al massimo una settimana di tempo, molto più probabilmente tre-quattro giorni.
“Nella fascia rossa ci sono attualmente 18 comuni abitati ufficialmente da 500mila cittadini, dunque diciamo almeno da 650-700mila – ha premesso il capo della Protezione Civile – Tutti questi sarebbero interessati da terremoti, colate piroclastiche, colate di cenere e fango che andrebbero ad interessare buona parte del territorio”. L’esplosione del vulcano, inoltre, “provocherebbe una colonna di fumo e lapilli alta fino a 20 chilometri e la caduta di cenere interesserebbe una zona compresa tra Salerno e quella al confine tra Lazio e Campania”. Infine, al suolo ricadrebbero due metri di cenere per ogni metro quadro, facendo di fatto collassare molti edifici. Per evitare inutili allarmismi, Bertolaso ripete che si tratta di “scenari che non vanno presi per oro colato”. Ed è per questo che “abbiamo chiesto alla commissione di rielaborarli, in modo da vedere se bisogna allargare la zona rossa e predisporre piani di evacuazione per almeno un milione di cittadini, tra cui molti di Napoli”.
La legge regionale della Campania con cui si garantiva il pagamento di una nuova abitazione per chi avesse lasciato spontaneamente la zona rossa, secondo il capo del Dipartimento della Protezione Civile, “è stata un fallimento”. “C’è gente che ha preso i soldi, si è costruita una nuova casa e poi ha affittato la vecchia sul Vesuvio”, ha spiegato. Ovviamente, ha detto, “non deve essere più permesso che si costruisca nessuna abitazione nella zona rossa, di questo parleremo anche con la Regione”.
Quanto a Stromboli Bertolaso ha precisato che “è alto quanto l’Etna ma i due terzi si trovano sottacqua”. Stromboli, dopo la lezione del 2002 è il vulcano “più controllato d’Europa”, ha aggiunto, “ci sono delle telecamere che ci permettono di controllarne il comportamento e di attivare quindi le misure di protezione”.

Il capo della Ptotezione civile ha poi annunciato il via alla campagna di indagine, verifica e monitoraggio dei vulcani sommersi nel mar Tirreno e nel canale di Sicilia. “Dobbiamo alzare il velo sui 13 vulcani sommersi nel mar Tirreno e nel canale di Sicilia, che nessuno ha mai studiato, e sentire il loro polso per capire attraverso la conoscenza della struttura geomorfologica quali sarebbero le conseguenze se riprendessero l’attività – ha detto Bertolaso – Scandagliando i fondali con un sonar potremmo calcolare eventuali tsunami”. Un lavoro del genere non è mai stato fatto in tutto il mondo, ha precisato. Agli studi prenderà parte anche una commissione internazionale di esperti di vulcanologia sottomarina.
Bertolaso ha sottolineato l’importanza di “lavorare per sviluppare la conoscenza”, precisando che oggi è stata firmata in proposito “un’ordinanza di Protezione Civile per intervenire con tecnologie ultramoderne”, tra cui “sommergibili con telecamere”. La spesa di questa campagna di indagini dovrebbe aggirarsi al di sotto dei 10 milioni di euro, ha spiegato Bertolaso sottolineando che “prevenire costa sempre meno che riparare il danno”.

Questi vulcani sommersi, ha spiegato, formano una linea continua dall’Etna alle Eolie e poi verso il Vesuvio. Tra questi ci sono la famosa isola Ferdinandea, che si trova nel canale di Sicilia, ora a 15 metri di profondità, il Marsili che si estende per 50 km di lunghezza per 20 km di larghezza e il Vavilov.
“Non è l’eruzione in sè di questi vulcani che preoccupa ma la possibilità che l’eruzione provochi il distacco di una parete, come accadde il 30 dicembre del 2002 a Stromboli, dove il distacco di una parete provocò uno tsunami”, ha aggiunto.

                                                                                                       

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