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VIVERLA TUTTA … L’incontro con il tumore, un racconto per sette voci

22.10.2011, La Repubblica

Sono migliaia le testimonianze inviate da malati e loro familiari al progetto Viverla tutta, la prima ricerca di medicina narrativa condotta via web attraverso Repubblica.it. In questo articolo sono riunite sette esperienze di malattia oncologica e i diversi stati d’animo con cui è stato affrontato l’incontro con il tumore.

Continuare a vivere – “Mi hanno diagnosticato il cancro alla tiroide dopo un intervento al collo in cui si credeva di trovare una grossa cisti, poi rivelatasi un linfonodo di 5 cm. A quell’intervento ne seguirono altri due, il tutto in 12 mesi. Tiroidectomia e svuotamento cervicale bilaterale e centrale e una radioterapia. Mi diagnosticarono la mutazione del gene b-raf e la non captazione allo iodio radioattivo delle cellule cancerogene. Tutto questo avvenne nel momento che avrebbe dovuto essere il più bello e il più sereno di tutta la mia vita: avevamo infatti deciso di sposarci da pochi mesi e la preparazione del matrimonio era appena iniziata. Il matrimonio sarebbe stato celebrato a 500 km di distanza. Ora le opzioni erano due: o ci fermiamo e ci concentriamo sulla malattia oppure continuiamo entrambe.

“Inutile dire che abbiamo scelto la seconda opzione. Le prime settimane furono le più intense, quelle vissute con le sensazioni più forti. Sono passato dal “re del mondo” al baratro più buio. Poi la scelta di “continuare a vivere” si è rivelata la più azzeccata. Il pensiero del matrimonio non mi abbandonò mai. Fu quello a farmi continuare. Fu mia moglie a darmi la forza e il coraggio, e tuttora continua a sostenermi. La lotta è appena iniziata. A suo tempo, non sapevo cosa fosse la tiroide, cosa fosse la “malattia”. Grazie a internet ci si riesce ad aggiornare e ci si riesce a mantenere informati; ma al prezzo di essere, spesso, spaventati. Ad ascoltare i dottori non si ha mai niente, ma a leggere su internet…. sei già spacciato! Nella malattia ho trovato degli amici. Entri in ospedale spaesato e spaventato, poi la permanenza forzata e ripetuta (oltre che prolungata) ti fa trovare persone magnifiche. Infermieri fantastici che sembra non vadano mai a casa. Così come i dottori più giovani che hanno sempre tempo di due chiacchiere nonostante lavorino 20 ore al giorno. Alla faccia di chi è detrattore del Ssn. Per ultimo rimane l’istinto di sopravvivenza. Il quale ti protegge dalla paura, facendoti abituare alle situazioni più disagevoli. È strano come ci si abitui alla paura, al dolore, e alla malattia. È davvero strano….”.

Davanti alla stanza dell’oncologo – “Mi è mancata troppo quando ero piccola, per essere già disposta a perderla!. Questo ho pensato quando a mia madre è stato diagnosticato un cancro del colon con metastasi al fegato, quando dopo aver finto un forzato ottimismo non riuscivo a salire le scale di casa mia e sono rimasta un’ora a piangere appoggiata al corrimano. Ed ho pensato a quando mia sorella ed io eravamo piccole e andavamo al mare con la mamma, la zia e tutti i cugini. Lo ricordo come il periodo più felice della mia vita, un momento in cui il mondo sembrava pieno solo di girandole, palette e secchielli colorati. La mia spiaggia si è svuotata rapidamente, i bambini sono invecchiati e l’inverno ha preso il posto del sole e del caldo. Il mare si è agitato, ha iniziato a urlare e ha mostrato tutta la sua forza e la sua pericolosità. Ma ci ha mostrato che come tutte le cose potenti, vive e misteriose sono anche piene di fascino e possono riservare grandi sorprese. Davanti alla stanza dell’oncologo si crea, con gli altri pazienti in attesa, un legame istantaneo e si inizia a sperare con sincerità che anche l’altro guarisca e che ci si ritrovi presto bambini in una spiaggia assolata. È un’esperienza umana pregna di significato. La mamma è ancora con me e sta bene e la mattina di Natale ho pensato: ‘Non credevo fosse possibile essere così felici con il cancro sotto l’albero'”.

Ma la sensualità sopravvive – “Soggetto della narrazione è una mia cara amica affetta da cancro alla cervice. Io ho realizzato una serie di foto che vogliono narrare come la bellezza e la sensualità sopravvivono alla vita ed alla malattia, è essenzialmente un percorso di “rinascita” dopo le fasi della malattia oncologica. Questo percorso dal titolo ‘Il Giardino di Anna’ è stato in mostra a Firenze, a Roma presso la Casa Internazionale delle Donne e a Brescia presso il Museo Nazionale di Fotografia e successivamente grazie alla Commissione Pari Opportunità del Comune di Brescia. Le immagini su www.paolacamiciottoli.blogspot.com”.

La mia malattia a teatro
– Sono un’attrice teatrale e sono guarita completamente dal tumore al seno quando sono riuscita a scrivere un testo di teatro di narrazione sulla mia esperienza. L’ho letto più volte sia in convegni medici sia in incontri di persone con malattie oncologiche e il silenzio denso che sempre ha accolto le mie parole mi ha dato la misura di quanto la restituzione di una storia di ‘ordinaria malattia’ possa essere terapeutica. Per guarire servono medicine e parole, farmaci e racconti, volontà e ascolto. Il mio mestiere è regalare parole. Il mio piacere ascoltare quelle degli altri”.

Psiche e corpo: le ragioni del male – A 29 anni mi fu diagnosticato un carcinoma embrionale al testicolo destro, con metastasi ai linfonodi retroperitoneali. Dopo l’asportazione del testicolo e 3 cicli di chemioterapia (in fascia rossa) sono guarito. Ora ho 46 anni. Ma credo proprio, e gli studi universitari in psicologia me lo confermano sempre più ogni giorno, che la guarigione sia dipesa da diversi fattori, oltre alle determinanti cure mediche e al tempestivo intervento. All’epoca, era il 1995, mi chiesi: ‘Perché mi sono ammalato?’; e ancora: ‘Cosa ha da dirmi questa malattia e che significato profondo ha?’. Ebbene, è stato grazie a un percorso personale che ho scoperto perché mi sono ammalato proprio in quella parte del corpo, e sono fermamente convinto che la psiche giochi un ruolo determinante nel mantenere buono il livello di salute o nel deteriorarlo.

“Una volta scoperto il motivo profondo della malattia avuta, e dopo aver fatto esami genetici approfonditi per verificare la presenza o meno di alterazioni nella catena del Dna, ad esempio (per inciso tali esami hanno dato esito negativo), ho raggiunto un buon grado di consapevolezza circa le cause scatenanti del cancro che mi ha colpito. Troppo spesso negli ospedali il paziente è trattato al pari di un insieme di organi e apparati, senza una storia personale e senza un vissuto psichico che a mio avviso può aver contribuito alla degenerazione cellulare. Non è un caso che la medicina abbia riconosciuto che per il tumore al fegato e alle ovaie non sia da escludere una implicazione di natura psichica. Non vedo perché per gli altri organi non potrebbe essere così.

“Abbiamo ancora molto da imparare sul concetto di malattia e di salute. E prima ancora dobbiamo imparare con molta umiltà – e senza la boria che spesso contraddistingue tanti medici – a riconoscere che l’essere umano è qualcosa di più articolato di un insieme di organi e fluidi. Ha una storia, delle emozioni, stati d’animo, abitudini (a volte nocive) ed esperienze che concorrono a generare una malattia come il cancro o altre patologie, oppure a far sì che resti in buona salute. Pensare che una malattia come il cancro sia spiegabile solo con un manipolo di cellule che degenerano esclusivamente per cause organiche mi pare pura follia e denuncia peraltro una visone molto riduttiva dell’essere umano. La mia storia dimostra il contrario. E, come la mia, quella di tante altre persone”.

Di protocollo si può anche morire
– Gennaio 2009. Mio marito, 66anni, scopre di avere un K prostatico con metastasi ossee e linfonodali. La nostra vita non c’è più. Vivo i primi mesi come su una nuvola, come se stessi vedendo dall’alto scorrere sotto la vita di un’altra persona. Poi sono scesa di nuovo per terra e, indossata l’armatura, ho affrontato la battaglia. Sono quasi tre anni, una bella vittoria, e Lui è ancora qui; stiamo combattendo e il nostro esercito cresce di giorno in giorno: amore, affetto, solidarietà, gioia di vivere ogni istante con la consapevolezza che stiamo rubando forza al tumore. Non vinceremo la guerra, perché l’avversario è una brutta bestia, ma abbiamo vinto tante battaglie e ne vinceremo ancora.

“Non combatto da sola; lui è il generale: il suo coraggio, la sua intelligenza, la sua cultura, il suo grande amore per la vita, per me, per i figli, le nuore e i nipotini sono le armi; i figli, gli amici, i parenti sono l’esercito. Purtroppo non posso dire lo stesso dell’assistenza sanitaria convenzionale. Per la medicina generale entri nel protocollo e di protocollo si muore, per cui se non sei morto entro il periodo stabilito dal protocollo diventi un fastidio per la comunità e allora se sei ben attrezzato per andare avanti con le tue forze, bene, altrimenti entri nel girone dell’inferno e cominci a desiderare di morire.

“Medici preparatissimi sul protocollo, aggiornatissimi sulle nuove sperimentazioni, professionalmente ineccepibili, ma convinti più di te che tanto il percorso è segnato. Farmaci costosissimi che sono, per protocollo e per convinzione degli addetti ai lavori, solo dei palliativi. Ma noi abbiamo avuto la fortuna di incontrare il medico di campagna, quello di una volta, che si siede e ti ascolta, che ti aiuta con la medicina naturale, che ti telefona per sapere come stai tu e come sta la tua famiglia, che tiene tutti per mano e ci accompagna lungo il cammino senza farti perdere mai la speranza. Perché tutto questo non avviene in ospedale? Perché lì ti senti malato senza speranza? Perché nei protocolli non viene inserito il concetto che prima di tutto c’è la persona? Nonostante i protocolli, mio marito è ancora qui e siamo sereni. Quando la malattia ci concede una tregua riusciamo ancora a sorridere ed a gioire delle piccole cose, che poi tanto piccole non sono perché abbiamo alle spalle un grande e gioioso amore”.

Di nuovo il calvario della chemioterapia
– “Cinque anni fa il primo intervento seguito da radioterapia. Poi una lunga pausa costellata di esami di controllo, sempre negativi. Da febbraio dolori lancinanti “curati” con antidolorifici senza alcun risultato. Poi a maggio la diagnosi. La malattia è ricomparsa. Lo stesso tumore di 5 anni fa, ma in forma molto più aggressiva. Inizia il calvario della chemio, tuttora in corso, pare con risultati incoraggianti. Ci vorrà ancora molto prima di ritornare alla normalità e comunque nulla sarà più come prima. Ora sappiamo di dover stare sempre in guardia. La speranza è la sola ancora di salvezza, la fiducia nei medici e nella ricerca è la sola arma a disposizione. Questa è una strada che non ammette cadute, crolli o cedimenti, né fisici né psicologici, né del paziente né di chi gli è accanto. Potrebbe essere molto difficile riprendersi. Andiamo avanti, sapendo di essere sempre sotto attacco, vulnerabili ma pronti a reagire”.

                                                                                                       

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