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La domanda sorge spontanea …

28.08.2012, Articolo di Pasquale Sturchio (da “Fuori dalla Rete” – Agosto 2012 – Anno VI, n.3)

Annibale, Caronte, Minosse … nell’attesa di Lucifero sto seduto sui freschi, secolari gradini della scalinata interna condominiale (una “traccia” storica di un centro storico che, come scrive l’amico Giulio Tammaro, di “storico” ha ormai solo il nome!) quasi a riprodurre la sensazione di refrigerio del castagneto – località Cannelicchie / Vallone d’Acero – e, per tenere lontano la noia “taedium vitae” rileggo il giornalino di PalazzoTenta39 che, purtroppo, stenta nella pubblicazione nonostante il potenziale espresso del pensiero scritto dei bagnolesi: articoli, foto, racconti, documenti storici, aneddoti, riflessioni.

Il “Giornalino”   è ancora vivo, alla faccia dei detrattori e/o dei non detrattori che – come scrive il geologo Dell’Osso, “preferiscono restare in disparte per leggere ed eventualmente sparlare, magari sedere sullo scranno e giudicare.”

La mia attenzione si sofferma su di un titolo: “Lu castagnitu faci la casa, la casa nun faci lu castagnitu” un vecchio proverbio bagnolese, pietra miliare della civiltà contadina, dimenticato o, peggio, sconosciuto alle nuove generazioni nate e cresciute nella civiltà supertecnologica del consumismo (U.S.A. e getta!) dell’avere, dell’apparire, del denaro, dell’egoismo, dell’effimero, del superfluo in sintesi dell’immondizia non solo in senso materiale ma, soprattutto, culturale e morale.

“Lu castagnitu – scrive il dott. Rocco Dell’Osso – in senso metaforico e l’attività produttiva che da lavoro e reddito per il proprio sostentamento e per quello dei propri familiari, ci dà la possibilità di vivere dignitosamente consentendoci di accantonare risorse economiche e, alla distanza, disponiamo di mezzi finanziari per costruirci “la casa” per noi, per i nostri figli, in sintesi “lu castagnitu faci la casa”. La casa al contrario, pur garantendoci un tetto sopra le teste non produce reddito, non da lavoro e non produce altra ricchezza per chi la possiede, anzi, spesso comporta costi significativi, è causa di spese continue per manutenzioni, ristrutturazioni, tasse e spese varie; in sintesi “la casa nun faci lu castagnitu”.

La domanda sorge spontanea: Ma chi faci lu castagnitu?

“Na vota ngera … (raccontavano un tempo i nonni) un vecchio contadino che scavava dei fossi per piantare “li uscigli”. Un giovane vagabondo gli chiese “nonno perché ti affatichi tanto, campassi cient’anni, se non vedrai mai i frutti?” Il vecchio rispose: “Un giorno i miei discendenti diranno: il nonno ci ha voluto bene, anche senza conoscerci, perché per noi ha piantato lu castagnitu!”

Oggi chi faci “lu castagnitu” è il “merito!”

Oggi, la fruizione assidua di ritrovati della tecnica, non controbilanciata dalla cultura, riduce la visione della vita e del mondo nell’angusto limite di un gretto utilitarismo che, sul piano economico, si riflette nella ricerca di un egoistico benessere concepito secondo il criterio del “tutto e subito!”

L’uomo, oggi, non ha orizzonte, è immerso nella quotidianità regolata dal cellulare, dall’automobile, dal televisore, dal computer …

Il potere mass-mediatico con i suoi messaggi stimola desideri, determina tendenze, impone costumi, orienta gusti in funzione del dio mercato: produzione- consumo … immondizia!

L’accumulo di rifiuti non è solo una questione di emergenza igienico-sanitaria, è, soprattutto un’emergenza socio-culturale. È una realtà di cui bisogna prendere atto. Ma la presa d’atto non ci esime dalla riflessione che un ordine sociale, fondato su una visione (consumismo) del genere, nega l’Uomo! L’uomo deve ritrovare se stesso ovvero acquistare consapevolezza della sua vera ragione d’essere e cioè la sua dimensione autentica che sta nella sua interiorità e non nel possesso delle cose.

“Se venisse meno l’oggetto _ grida il filosofo Ermete Gabrieli – l’uomo non saprebbe reinventarsi un diverso modo di gestire la propria vita: resterebbe nudo!”

Questo è il risvolto inquietante della tecnica quando da oggetto diventa soggetto, da strumento diventa abito mentale.

Qual è l’antidoto? È la cultura la cui funzione è quella di correttivo delle tendenze degenerative sia individuali che sociali, è sintesi armonica di conoscenza e sensibilità che consente all’uomo di proiettarsi oltre i limiti dell’angusta visione egoistica della vita. La cultura, così intesa, rende l’uomo capace di contenere la propensione al possesso smodato e di scoprire il dovere, la solidarietà, la dedizione: valori sui quali si fonda un sano ordine sociale.

«C’è sempre un tempo per ogni cosa, ora è il tempo del “grazie” a quanti non hanno mai chiesto nulla ma solo dato molto, hanno offerto agli altri il proprio entusiasmo, la parte migliore di se stessi. Per sostenere la fiducia nelle possibilità di rendere la vita degna di essere vissuta. E allora, ragazzi osate! Provate il brivido della ricerca, coltivate la passione per la libertà, alimentate il culto della verità, praticate il metodo del dubbio, assaporate l’emozione della scoperta … e non vi mancheranno la gioia ed il piacere della vita!».

                                                                                                       

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