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Sannazzaro e il gusto del tartufo

28.10.2012, Articolo di Aniello Russo (da “Il Corriere”)

A fare menzione del rinomato prodotto agli albori del Cinquecento anche i poeti dell’Accademia Pontaniana nelle loro egloghe latine e nei carmi conviviali. Ma è nell’Ottocento che prende realmente piede.

Il tartufo come cibo prelibato è più antico di quello che credevamo. Come antica è anche la convinzione che esso sia un alimento afrodisiaco. Fanno menzione del tartufo anche i poeti dell’Accademia Pontaniana nelle loro egloghe latine e nei carmi conviviali. All’Accademia appartenevano tra gli altri i poeti umanisti napoletani Jacopo Sannazzaro e Giano Anisio, i quali pare che abbiano gustato il tartufo a tavola del conte Cavaniglia nel Castello di Bagnoli agli albori del Cinquecento. In un epulario in esametri latini di un poeta anonimo c’è la ricetta minuziosa del cappone farcito su cui, al termine della cottura, veniva spalmato una crema di tartufo. Ma è nell’Ottocento che il tartufo prende piede. Esso compare, come antipasto, nel menù preparato per un banchetto che si tenne a Laceno il 6 agosto 1881 in occasione della festa del SS. Salvatore. La festa fu più solenne degli altri anni, perché la cappella che sovrastava il lago era stata da poco ristrutturata dal sindaco Michele Lenzi. All’inaugurazione il pittore garibaldino aveva invitato l’artista calabrese Achille Martelli, l’Abate di Montevergine e i deputati del Regio Parlamento, componenti della Commissione d’Inchiesta sul Brigantaggio, fra i quali l’on. Nicola Lazzaro, giornalista che in seguito sulla “Illustrazione italiana” farà un lungo resoconto della giornata. A ragion veduta si può definire Bagnoli non solo luogo di tale cultura da essere detta La piccola Firenze dell’Irpinia, ma anche sede della buona tavola, delle pietanze che hanno conservato la genuinità dei secoli passati. Lo testimoniano non solo i poeti dell’Accademian Pontaniana e nel secolo successivo il poeta Giulio Acciano (A Bagnoli voi troverete frutti / da far che un morto torni ancora vivo), ma negli anni più recenti pure il poeta di Ariano, P. P. Parzanese; e poi ancora il meridionalista Giustino Fortunato, che fu a Bagnoli nel 1878. Forse è maturato il tempo di approfondire pure l’aspetto gastronomico della nostra terra, e mettere in risalto, accanto alla cultura dello spirito, pure la cultura a ristoro del corpo. E un primo tentativo ci viene da un opuscolo di Grazia Russo, che esce proprio in occasione della sagra del tartufo che si tiene a Bagnoli Irpino e che si conclude oggi 28 ottobre.

L’opuscolo di Grazia Russo

Con Il tartufo e la castagna di Bagnoli l’autrice ha inteso ricostruire l’ambiente umano dei due frutti: le qualità del tartufo, il tempo della cavata e il suo habitat; ma ci parla anche della castagna usata come amuleto apotropaico, del rito delle “castagne dei poveri”. Nell’opuscoletto anche le ricette per degustare la castagna e il tartufo. Afferma Grazia Russo: “Me lo raccontava nonno Michele, commerciante di castagne all’ingrosso. Nei primi anni Cinquanta venne nel nostro paese il titolare della Motta, la nota ditta dolciaria di Milano, con alcuni agronomi; e fu lui in persona a dare a mio nonno l’incombenza di rifornire il suo stabilimento di una quantità di castagne, prodotte in terra di Bagnoli, pari a mille quintali all’anno. Durante il pranzo a base di tartufo, che si tenne in casa del nonno, gli agronomi spiegavano che dalle analisi effettuate sulle castagne prodotte in Italia, era risultata la più buona per confezionare i marrons-glacés la castagna irpina, in particolare quella prodotta sui monti Picentini (Serino, Volturara, Montella, Cassano, Bagnoli); ma la regina di tutte – dissero – era ed è senza dubbio la castagna dei boschi di Bagnoli.” Non tanto allo scopo di esaltare il frutto dei nostri boschi l’autrice ha voluto pubblicare, nella ricorrenza della sagra, questo libricino, quanto per rilevarne gli aspetti culturali. Né il suo lavoro ha alcuna pretesa scientifica. Tra l’altro ricorda i vari modi di cuocere il frutto (vàllini, ballotte; lesse, bollite; varòle, caldarroste; nfurnàte, al forno), e infine il modo di conservare il frutto fino ad aprile. Ma non oltre, perché “a maggiu, quannu canta lu cucùlu, re castagne te re ficchi nculu!” Infatti le castagne, sia secche sia verdi, si mantengono inalterate fino Pasqua; ma dopo cominciano a prendere un sapore amaro, al punto da non essere più commestibili. Non mancano nell’opuscoletto le indicazioni per conservare a lungo il tartufo: una maniera in vigore nell’antica Roma (tramandata da Apicio) e alcune altre in uso nei tempi nostri. Oltre alle ricette per degustare la castagna e il tartufo (tra cui, una inedita: spaghetti al tartufo), vi troverai: proverbi e leggende, che sono stati ispirati dai due prodotti tipici della nostra terra, e pure indovinelli, come questo: Janca so’, nera me fazzu, caru nterra e nu’ me scafàzzu; caru nterra p’ murì e pàtrumu se la rire. Bianca sono, nera mi faccio, cado a terra e non mi spiaccico; finisco al suolo per morire, mentre mio padre, il riccio, spalanca la bocca e pare che se la ride.

Le varietà del tartufo di Bagnoli

L’opuscolo contiene anche la distinzione delle qualità del tubero. L’uncinato, il più pregiato, che ha la buccia granulosa; il moscato che per il suo odore delicato è un tartufo molto raffinato; il bianchetto, che ha la buccia tendente al rossiccio; il fenico, il più ricco di acido, che ha un profumo prepotente; lo scorzone, dall’odore poco marcato. Ecco il resoconto di una lunga intervista a uno dei più esperti cavatori di Bagnoli, Rocco Branca, cinquantenne. Oltre alle varietà del tartufo, il cercatore di tartufi ha parlato del tempo della cavata, dell’ambiente e del clima che favorisce la produzione del tartufo; e in ultimo della razza canina più idonea alla cerca del tubero. Il tempo della cavata del tartufo uncinato e di quello fenico va all’incirca dal mese di ottobre al mese di aprile; mentre il bianchetto e lo scorzone si trovano dal mese di giugno al mese di agosto. L’uncinato, infine, è anche’esso un tartufo estivo; ma la cavata si protrae di un mese, e cioè fino a settembre. Il tartufo agostano marcisce presto. L’ambiente in cui attecchisce il tartufo varia a seconda della qualità. L’uncinato e il fenico crescono nelle macchie di pino e nei boschi di faggio, da 1200 metri di altitudine ad andare su, fino alla vetta del Cervialto. Il bianchetto preferisce i terreni in cui vegeta il carpino. Lo scorzone ha il suo habitat nei querceti e nei noccioleti, specie lungo i piccoli corsi d’acqua. Il moscato vive in stretta simbiosi con le querce delle zone basse. Il clima più favorevole al tartufo. Le piogge abbondanti nel periodo estivo, soprattutto tra luglio e agosto, favoriscono la produzione del tartufo invernale, l’uncinato e il fenico. Invece, il tartufo estivo, come lo scorzone, fruttifica in abbondanza nella stagione secca. Il cavatore ne riceve il segno dall’erba arida dei prati.

I cani tartufai e gli attrezzi del cavatore

Tra le tante razze di cane, il cavatore ritiene dotato di fiuto migliore per estrarre il tartufo il cane da penna o il bastardino. Il cane si addestra da cucciolo, cioè da quando ha l’età di tre mesi. Gli si dà un tartufo perché ci giochi; così facendo il cucciolo familiarizza con il profumo del tartufo. Dopo due settimane si sotterra un tartufo nell’orto o in campagna (in casa si può nascondere sotto uno straccio o in una scarpa) e poi si porta il cucciolo per verificare se riesce a fiutare la presenza del tartufo. Se punta dritto sul luogo dove è stato interrato il tartufo e prende a scavare il terreno per estrarlo, vuol dire che il cucciolo ha superato la prova. Più di un cavatore sostiene che la femmina si mostra più lesta nell’apprendimento e più brava nello scovare il posto in cui si trova il tartufo. Quanto all’abbigliamento, il cavatore si infila calzettoni di lana e scarpe da montagna; indossa calzoni pesanti e una giacca imbottita. Porta il tascapane di tela o di stoffa (mai di plastica!) per deporvi i tartufi e una zappetta per aiutare il cane a scavare, soprattutto in inverno quando il terreno è duro a causa del gelo. Oltre al cane, sono ghiotti di tartufo anche i cinghiali che ne consumano una grande quantità. Pure le volpi fiutano il tartufo; ma in genere, dopo averlo estratto, lo abbandonano. Il peso dei tartufi è molto vario, va da qualche grammo a diversi etti. Il nostro amico cavatore Rocco Branca, mostrandoci con orgoglio una foto del 1978, afferma di aver estratto quell’anno un tartufo di ben 760 grammi!


                                                                                                       

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