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Remigio Maria Jandoli, Arciprete e modello esemplare di liturgista perfetto

di Giovanni Corso

(Articolo pubblicato sul sito di “Palazzo Tenta 39″ di Bagnoli Irpino il 14.07.2010)

Nel mese di Luglio, ricordiamo la scomparsa del carissimo e compianto nostro Arciprete Reverendo don Remigio Maria Jandoli.

A Bagnoli, siamo stati abituati a vedere il sacerdote sempre come un avversario, e lo stesso don Remigio ha subito spesso accuse sul suo profilo personale. È bene chiarire che chi si definisce “cattolico” deve risparmiare critiche nei confronti di un qualsiasi Sacerdote, che sicuramente è un essere umano come noi tutti, ma essendo un uomo consacrato riveste decisamente un ruolo differente, esemplare. Per chi non si definisce cattolico, agisca come meglio crede.

Il ruolo del sacerdote oggi più che mai riveste un aspetto fondamentale, e a mio avviso esclusivo, che si concentra sul suo ministero (e anche mistero profondo se vogliamo) perdurante per tutta la vita (Tu es Sacerdos in aeternum). Sicuramente, l’Arciprete, come spesso veniva chiamato don Remigio, ci ha comunicato molti messaggi fondamentali durante l’esercizio del suo ministero esercitato nel nostro paese.

Io non voglio soffermarmi sulla sua figura di uomo, poeta, artista, e quanto altro caratterizzò il suo ruolo molto centrale sullo scenario bagnolese per molti anni. Conosco ben poco questi aspetti della sua vita, non saprei neanche quale formazione accademica abbia ricevuto e non ho mai letto nessuna biografia; ma di don Remigio ricordo perfettamente la celebrazione della Santa Messa come un evento straordinario. Non esagero affatto dicendo che don Remigio esprimeva un misticismo altissimo durante la celebrazione eucaristica, con il giusto distacco, in particolar modo durante la transustanziazione.

Tre sono gli aspetti che ho revisionato e ricordato con piacere nelle celebrazioni di don Remigio: il silenzio, la concentrazione e i paramenti sacri.

Il silenzio di don Remigio cominciava ben prima dell’inizio della S. Messa, già in sagrestia si celava in un silenzio prospettico contemplativo meritevole di segnalazione. Tutto cominciava a partire dalla vestizione dei paramenti liturgici, in particolare dopo aver indossato l’amitto, don Remigio parlava ben poco se non in situazioni di necessità e sempre sottovoce. E questo stato di astensione lo accompagnava durante tutta la funzione liturgica, sino al rientro in sagrestia, vivendo la celebrazione della S. Messa con un doveroso e giusto distacco. Silenzio e distacco non volevano dire arroganza come si credeva, bensì proiezione del proprio stato personale verso una realtà veramente soprannaturale, e cancellando la condizione umana per diventare un alter Christus, ipse Christus. “Sostare in silenzio per capire una Presenza”, come disse Benedetto XVI, in occasione dell’inizio dell’Avvento dello scorso anno. La Messa e le funzioni liturgiche non sono spettacoli; ricordo bene e concordavo volentieri con i forti dissensi di don Remigio nell’applaudire durante talune manifestazioni religiose. Mi riferisco alle festività dell’Immacolata; ma è ben noto che si applaudiva più per dispetto che per diletto. Sarebbe necessario applaudire oggi e con maggior veemenza, visto che questa festa è caduta quasi in disuso. Realmente quel “canto” che viene effettuato in onore dell’Immacolata è una preghiera, niente di più. E come tale andrebbe vissuto; “Chi canta prega due volte” diceva sant’Agostino.

La sua concentrazione era un altro punto cardine durante la liturgia, corpo evidente della reale avvenuta transustanziazione. La sua voce osservava sempre un tono stabile, né monotono, né vivace, né alto, né basso, a dimostrare la perdita transitoria del suo essere umano. Mai uno sguardo altrove, sempre concentrato su quell’evento che nessuno può spiegare, eppure avviene ininterrottamente da secoli. E’ questa la prova della nostra fede, qui si gioca la nostra fedeltà a Cristo; non si vede, né si sente, né si tocca, eppure si verifica la Sua presenza, sempre.

Don Remigio viveva pienamente la Tradizione nell’uso di alcuni paramenti sacri, in particolare indossava nelle Solennità il piviale, ovvero quel mantello lungo (il pluvium era un mantello usato per ripararsi dalla pioggia; in questo caso il piviale in senso metaforico vuol rendersi simbolo di riparo dalle aggressioni esterne), e la berretta detta anche tricorno, ovvero quel copricapo nero a tre punte. Questi paramenti, tipicamente diffusi nella liturgia tridentina, rafforzavano la centralità del suo ruolo nel ministero sacerdotale. La vestizione dei paramenti sacri non è uno sfarzo di paillettes e lustrini, come lestofanti modernisti vogliono affermare, ma semplicemente un risvolto di simboli, che per chi ha la mente libera di comprendere, rimanda a Cristo ogni simbolo liturgico.

Alla luce di questi piccoli dettagli che forse sfuggono, ma che qualcuno avrà pur notato e conservato, vogliamo ricordare volentieri don Remigio, sacerdote vissuto nella vera povertà. Don Remigio è stato un sacerdote aperto a tutti, ma non tutti erano aperti a don Remigio.

Tutti abbiamo partecipato nella vita e personale e pubblica dell’Arciprete don Remigio, e spesso abbiamo dimenticato che lui era venuto a Bagnoli per fare il prete. È utile ricordarlo come un sacerdote che mai si è invischiato nelle politiche locali e che sempre (dico sempre) ha celebrato Messa… e che Messa!

Alcune foto di DON REMIGIO

                                                                                                       

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