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Ritorno a Lafelia

05.03.2013, Articolo di Federico Lenzi (da “Fuori dalla Rete” – Febbraio 2013, Anno VII, n.1)

Rieccoci, dopo l’inatteso gradimento dell’articolo “C’era una volta a Lafelia…” ho deciso di continuarlo lì dove si era interrotto con l’aiuto di madre natura che ha ridotto notevolmente la vegetazione riportando alla luce gran parte delle rovine. Ritengo questo castello e la sua cinta muraria un simbolo della nostra storia che tutti dovrebbero conoscere e che bisognerebbe riportare alla luce con un buon restauro (se no è meglio conservarlo così sotto la vegetazione). Infatti, penso siano dannosi interventi superficiali o che stravolgono l’aspetto di questi vecchi edifici come accaduto sulla Giudecca. L’antico ha un suo fascino e molti paesi del centro Italia attirano turisti conservando intatte le loro cittadelle medioevali, come Gubbio la location del telefilm “Don Matteo” (è un esempio banale, ma spero renda bene l’idea).

I MASSI

Tornato dove tutto era incominciato: quelle scale che scendono giù dal parcheggio dietro la chiesa di San Giuseppe,  ho potuto notare con grande piacere come sia stata tagliata la vegetazione e sia stata ripulita la zona. Eliminato quel mare di rovi che mi divideva dalle rovine mi ci sono potuto avvicinare subito senza dover salire nel cortile dell’edificio sovrastante. Oltre al corpo centrale che descrissi nello scorso articolo, dal terreno affiorano piccoli muretti in pietra alti 70/50cm. Avvicinandomi alla struttura centrale ho subito scorto un grande ammasso di pietre bianche; speravo ci fosse un varco nei muri che mi avrebbe permesso di entrare nella struttura, invece sono intatti probabilmente sono precipitati dalla sommità del castello in seguito ai vari terremoti o essendo più pregiate rispetto a quelle delle mura formavano il portale d’ingresso (sono solo un’ipotesi). Questi massi sono molti grandi, alcuni sono lunghi due metri o poco più, e alcuni presentano segni di lavorazione come scalanature o forme incurvate. Ora si può notare benissimo come i muri del castello poggino su grandi massi e siano stati in parte integrati nella costruzione delle scale che salgono su. Presumibilmente le case adiacenti al castello (come l’affitta camere) erano parti della struttura riadibite ad usi civili nel corso dei secoli o costruite con le pietre della fortificazione.

LA CINTA MURARIA

Oltrepassati i massi bianchi si nota a malapena il solco di un sentiero, di qui si passa lungo la cinta muraria che cingeva la cittadella medioevale e si fa il giro della collina. Il cammino in un primo tratto è ostacolato dalla vegetazione, ma in seguito è addirittura delimitato da un muretto in cemento che ovviamente è stato costruito nel secolo scorso e delimita dalla scarpata sottostante. Nel terreno sotto un sasso si apre anche un tubo arancione, certamente uno scarico (si spera non fognario). Qui proprio nell’angolo troviamo un bastione alto quattro o cinque metri e largo almeno tre in ottime condizioni, come tutte le mura che si affacciano sulla collina verso Montella è in parte coperto dall’edera. Il panorama qui è a dir poco mozzafiato! Sfortunatamente per l’ennesima volta il percorso s’interrompe dopo pochi metri a causa dei rovi.

LA RISALITA DA SANTA MADDALENA

Tornato giù in zona Ospedale dove il percorso si era fermato presso un deposito di legname ho proseguito verso la chiesetta che dà il nome alla scarpata. Sul lato destro sul finire della ripidissima discesa, prima della piazzola, si apre subito dopo i rovi una piccola apertura. Da quest’apertura parte un vero e proprio sentiero che serpeggiando le pendici scoscese del colle lentamente risale su. Questo percorso conduce dal lato opposto a quello in cui mi ero fermato nel paragrafo precedente: dinanzi un bastione della mura del paese. Nel primo tratto i rovi hanno quasi chiuso il passaggio, ma in seguito si procede su della soffice erba. L’unico ostacolo è creato da del vecchio filo spinato prima della salita vera e propria. L’ascesa si presenta ripida e scoscesa, ma appoggiandosi alla roccia e ai pochi alberi il percorso non è molto difficile. Dal pendio si può ammirare la scarpata sottostante: un vero “monnezzaro”! La popolazione certamente da tantissimo tempo ha l’usanza di gettare rifiuti al di sotto: ci sono bianche distese di plastica che scendono giù, persino una cisterna di grandi dimensioni e numerosi oggetti completamente arrugginiti che credo stiano lì da tanto. Giunti sulla cima il panorama è ancora più bello di quello precedente: l’alta valle del Calore sembra incastrata, quasi incoronata, tra questo colle e quello di San Martino uniti all’orizzonte da tutti i monti della zona a partire dall’Apicella! Bagnoli in questo luogo si affaccia timidamente tra i due rilievi che in passato lo difendevano. Anche qui non ci si può avvicinare al contrafforte (delle stesse dimensioni del precedente) ed alle mura essendoci una fittissima vegetazione. Tuttavia lo si può ammirare nella sua maestosità e nel suo perfetto stato di conservazione.

LA VECCHIA FOTO

Guardando alcune vecchie foto del bisnonno Giuseppe Lenzi ne ho trovata una che immortala la collina su cui si trova la Giudecca. A quei tempi la collina senza vegetazione sembrava terrazzata o circondata da resti di mura e quella torre (simile agli altri bastioni della cinta muraria) che ora s’intravede in rovina all’ingresso del paese presso largo Ospedale (nel terreno recintato) era in ottimo stato. Quindi da questa foto e dai pezzi di mura che possiamo notare sparsi su quella collina possiamo ipotizzare come fosse la cittadella medioevale di Bagnoli. Presumibilmente partiva dal castello e abbracciava tutto il colle scendendo giù fino alla via che portava a Montella. Secondo Aulisa quello che oggi è l’arco che conduce alla chiesa madre da via Ospedale era proprio l’ingresso al paese di quell’epoca, quindi i confini della cittadella correvano lungo il perimetro dell’attuale chiesa (che all’epoca era più piccola e di senso opposto). Via Fosso che dalla chiesa conduce ai ruderi, sempre secondo Aulisa, deve il suo nome al fossato che un tempo si trovava lì proprio sotto le mura. Quindi le mura situate nell’odierno centro storico sono state in parte inglobate nella costruzione dell’abitato, mentre quelle che si trovano su questo lato impervio della collina sono ancora visibili e in buono stato. Ripassando per quell’edificio annesso alle mura che s’incontra scendendo dalla Giudecca per le scale adiacenti la chiesa madre ho notato che è stato chiuso essendo inagibile e pericolante. Mentre di fronte a quella che fu la casa D’Asti, in quello che presumibilmente era un ingresso al castello intravediamo da una fessura che una di quelle due porte conduce a delle scale che scendono lungo uno dei bastioni delle mura.

IL SOTTOPASSAGGIO

Subito dopo l’uscita dello scorso articolo mi dissero che esisteva un sottopassaggio che conduceva al rudere, in verità era un apertura sotto una casa pericolante che avevo identificato come uno scantinato e in cui non mi ero mai avventurato. Quest’apertura è situata sulla destra, proprio subito dopo il caratteristico arco che incontriamo salendo sulla Giudecca. Inizialmente bisogna scendere delle scale che conducono a un sottopassaggio su cui si aprono varie porte, pieno di rifiuti di ogni genere e dal soffitto in legno marcio che si regge solo grazie a dei paletti. Il pavimento è in discesa e conduce a un’apertura alta e stretta che si affaccia sul parcheggio dietro la chiesa di San Giuseppe. Da questa apertura per delle ripide scale si scendeva giù e probabilmente lì un percorso (forse all’epoca riparato dalle mura) conduceva al castello che si trova dirimpetto. Al giorno d’oggi non è possibile scenderci a causa dell’erbaccia Questo percorso forse era una via di fuga in caso di pericolo, ma ribadisco che le mie sono solo ipotesi. Dal parcheggio sottostante si può notare facilmente l’uscita del tunnel: dopo la casa adiacente il bed and breakfast ne troviamo una molto stretta e ricoperta d’edera sul cui lato sinistro (rispetto all’osservatore) troviamo l’uscita del sottopassaggio. Di questo sottopassaggio non parla nessun libro della storia bagnolese, ma è un’informazione tramandatasi oralmente fino ai giorni nostri.

Quest’articolo era stato iniziato quasi per caso: riguardo al castello longobardo avevo solo un vago ricordo degli appunti che mi dettavano sulla storia bagnolese alle elementari, ma una mattina di settembre andando a fare una passeggiata con amici lì vicino mi dissero “o viri o castiello” da quel momento iniziai a documentarmi e decisi di farlo conoscere meglio mediante questi due articoli.

Questo lavoro mi ha tenuto impegnato vari pomeriggi per tre mesi e mi ha portato a scattare circa duecento foto (le più belle sono visibili qui http://www.facebook.com/media/set/?set=a.296730347110599.70856.100003209086912&type=3 ), ma personalmente credo ne sia valsa la pena. Un ringraziamento per la collaborazione va a Emanuele Di Capua, i fratelli Miranda, l’editore del giornalino Giulio Tammaro e alla redazione di “Palazzotenta39” che con il suo lavoro rende un buon servizio alla comunità e ha permesso la pubblicazione di questi miei articoli. Alla Prossima!

Le foto

                                                                                                       

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