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La caduta degli Dei

23.04.2013, Articolo di Domenico Cambria (da “Il Corriere”)

Il film è di Luchino Visconti, ma rappresenta le realtà di tanti momenti neri che la società può percorrere. Tra tradimenti, assassini e misfatti di ogni genere, la vicenda narra la caduta di una potente famiglia tedesca (acciaierie Essenbeck), alla fine il suicidio dei suoi maggiori responsabili.

“La caduta degli dei” è un potente affresco della Germania all’avvento del nazismo in cui la tragedia di una famiglia, divorata dalla sete di potere e dal sangue, simboleggia ed esemplifica la dissoluzione di quella società; una società che oramai non distingue più il bene dal male, il vero dal falso e dall’ipocrisia. Il film pertanto identifica nella trasgressione morale il decadimento più vistoso dei valori, tipico di un disordine ed una incertezza più vasta della nazione tedesca.

Il momento più toccante è quello identificato ne “la notte dei lunghi coltelli”, vale a dire il momento della resa dei conti quando tutti vinti dall’euforia e dall’ebbrezza dell’alcol, si scatenano in un bagno comune, infine in atti sessuali tra di essi, sino a quando non arrivano le “SS” per sterminarli. L’arrivo delle “SS” è visto un po’ come l’arrivo del famoso plotone americano a cavallo nella lotta tra europei e indiani nell’attuale America. L’arrivo della “SS” non solo rappresenta la speranza, vista addirittura come una realtà ineluttabile per porre fine a un periodo da vergogna: Hitler!!!

Se i tedeschi sono certamente ancora legati a quel periodo, noi a quello de “La caduta dell’Impero romano”. Roma, divorata oramai dal potere personale e dalla corruzione dilagante, infine cade. Con la sua caduta, decadono tutti i suoi Municipi, la sua stessa civiltà. Orde di barbari provenienti soprattutto dal Nord, di stirpe germanica e franca, incominciano a coalizzarsi ed a marciare su Roma. I più irrequieti sono i Visigoti con a capo Alarico. I Goti, generatisi all’interno di una scissione dei Visigoti, assaltano Roma e la mettono a ferro e a fuoco. Verso il 450 inizia a ser- peggiare il nome famigerato Attila. Ecc. ecc. ecc. Sono i longobardi a riportare l’ordine, nel Meridione d’Italia i Normanni, poi gli aragonesi, i franchi, gli spagnoli ecc. ecc. ecc.Il sud soprattutto in mano a mille popoli, quelli arabi tra i primi, se si pensi che Palermo era simile a Bagdad!!!

Questa in effetti l’Italia di oggi, quella nata dopo la caduta dell’impero romano, un insieme di popoli nati dalla stessa madre terra ma da mille padri. Impietoso Fabrizio Rondolino nel suo testo “L’Italia non esiste”, quando dice: “…L’Italia non è mai stata una nazione, e non lo sarà mai … L’unità d’Italia che pomposamente si festeggia o si dileggia, a seconda delle opportunità politiche, è la più grande catastrofe abbattutasi sulla nostra penisola … I soli ad avvantaggiarsene veramente sono stati i preti, che hanno esteso i confini dello Stato della Chiesa fino a farli coincidere con quelli della penisola.

L’Italia unita è un ipertrofico Stato pontificio, dal quale ha ereditato le sue due caratteristiche principali: la corruzione e l’ipocrisia”. Con queste considerazioni Fabrizio Rondolino inizia un’amara e pungente rilettura della storia italiana, nel centocinquantesimo anniversario dell’unificazione. Alla vigilia di quel processo, la penisola offriva esempi di ottima amministrazione, egli dice. Oggi, invece, l’Italia arranca nelle retrovie di tutte le graduatorie; penultimi al mondo per tasso di crescita nei primi dieci anni del millennio.

Questo inesorabile declino è il punto di arrivo di un’unificazione forzata e innaturale, di centocinquant’anni di politica corrotta, viziata dal trasformismo, chiusa a ogni innovazione. Attraverso una riflessione che passa per Dante e Machiavelli, Leopardi, Manzoni, Prezzolini e molti altri scrittori, l’autore ricostruisce con vivacità la nostra parabola storica. La conclusione è impietosa: l’Italia di oggi, incattivita e piena di rancori, non ha niente da lasciare in eredità ai propri figli, neanche l’allegria e la spensieratezza che un tempo gli stranieri ci invidiavano!

Cosa dire di più? E’ questa la verità sulla nostra nazione e su noi stessi? Probabilmente sì, come tanti figli che pagano (e probabilmente lo pagheremo per sempre) gli errori dei propri genitori, nel nostro caso quello di Roma che volle credesi padrone del mondo, invasa poi dai popoli oppressi che la rasero al suolo. I peccati si pagano, è questa la verità, prima qua poi la… diceva un irpino che girava con dei cartelli alla fermata dei pullman a piazza macello di Avellino negli anni sessanta.

Alla fine della I guerra mondiale, come ora, o forse adesso peggio in quanto l’esperienza avrebbe dovuto insegnarci qualcosa, i liberali ed altri politicanti non furono in grado di segnare un futuro alla nostra nazione, non fosse stato nel 1922 per Mussolini che ridiede un corpo e un’identità a una nazione che vagava nel buio.

E ora? Ora siamo alle solite, l’Italia, vinta dalla corruzione che oramai dilaga ovunque, non è assolutamente in grado di darsi una identità o di segnarsi una strada per uscire dalla sabbie mobili entro le quali è stata portata. Una sola domanda: potrà mai questa Nazione uscire dal pantano entro il quale è stato portato dagli stessi autori del misfatto? Assolutamente no. Le attuali elezioni del Presidente della Repubblica segnano definitivamente e in maniera chiara la delegittimazione di una classe politica oramai giunta al capolinea.

                                                                                                       

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