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Luglio ovvero Metuglio

13.07.2013, Articolo di Aniello Russo (da “Il Corriere”)

Adesso bisogna affrettarsi affinché il frumento, dopo la trebbiatura, sia frettolosamente depositato nel granaio: A lugliu cu li sacchi e cu lu staru // porta l’àcene a lu granàiu, per scongiurare l’improvviso scoppio di un temporale. Guai a rinviare la mietitura; conferma un altro detto popolare: Chi a lugliu nu’ mmète // a settembre se respèra (Chi a luglio non falcia il grano, a settembre si dispera per il mancato raccolto).

La maggior parte dei bimbi, durante la civiltà agricola, veniva al mondo nel mese di luglio; e questo perché erano concepiti a novembre, quando i lavori nella campagna giungevano al termine e il contadino andava a letto non più stanco morto. Si realizzava così quella stretta simbiosi tra l’uomo e la sua terra, tra il seme del grano e il liquido seminale dell’uomo. La terra era vista alla stregua di un corpo femminile: come l’uomo semina il grano a novembre e lo miete a luglio dopo nove mesi, così insemina il ventre della moglie la quale, come la terra con il grano, porta a compimento la formazione della creatura pur’essa nell’arco di nove mesi.

Fatiche e raccolti

Ora è anche il tempo in cui sulle piante maturano le prugne, i fichi, le albicocche, le pesche… Frotte di uagliunàstri battono la campagna e per spogliare gli alberi dei frutti, spezzano i rami nella fretta. I padroni dei campi, i più generosi, commentavano: “Se la vernata è na matréa, la state è na mamma p’ li poveri e p’ re criature” (se per i poveri e i piccoli l’invernata è come una matrigna, l’estate è benevola come una madre premurosa).

Il mese però richiede pure un impegno continuo e quasi ininterrotto dall’agricoltore, che dovrà andare a letto tardi e levarsi prima dell’alba. Ammonisce un detto: Chi stai a spassu a llugliu r’ viernu stai riunu (chi nel mese di luglio se ne sta con le mani in mano, durante l’inverno soffrirà la fame).

Se a giugno i nostri contadini, falce in spalle, partivano a piedi per la Puglia in cerca di lavoro, a luglio i contadini pugliesi salivano verso le nostre colline per essere assoldati nella stessa fatica.

Raccontano i vecchi che mentre i proprietari terrieri pugliesi offrivano ai nostri mietitori per pasto pane e cipolla, i nostri contadini offrivano ai mietitori che venivano dalla Puglia pasta e carne, e vino in abbondanza. Noi Irpini eravamo sì miseri e lo sapevamo, ma non miserabili!

Luglio appiccia fuoco

Con luglio finalmente la calura estiva. In terra d’Irpinia, mentre agosto già registreranno e le prime precipitazioni provocando un abbassamento della temperatura, luglio è il mese della canicola con il cielo costantemente senza nuvole e senza piogge. E’ il mese della controra nei pomeriggi caldi e afosi, da trascorrere in casa con le imposte appannate. Solo al crepuscolo un tempo avresti potuto vedere animarsi il paese: nella piazzetta le ragazzine, dopo aver lanciato una scaglia di coccio, saltavano sui sette rettangoli disegnati col gesso; e nella via i fanciulli giocare a guardie e ladri in rumorose fughe e veloci inseguimenti.

Il traffico quasi inesistente, solo qualche asino rientrava dai campi, consentiva i giochi a tutta strada.
A lugliu // nun chiuvésse mancu uogliu, invoca il contadino alle prese con la mietitura. Bisogna approfittare della mancanza di precipitazioni per portare a termine le fatiche nei campi, trascurando anche i pasti. Per calmare i morsi della fame basta pane e prosciutto: Lugliu assùttu //, pan’e prusùttu.

Non è il momento di cibi elaborati né ora è richiesta una bevanda delicata come il vino bianco: Vino janco e capùni // a luglio non so’ bbuone.

Per la nostra Irpinia, terra dell’interno, lontana dalle brezze marine, luglio non fa che attizzare il fuoco segnando le temperature più alte. Se nella prima parte dell’anno i tre fratelli invernali, gennaio febbraio e marzo, recano vento e gelo, ora i tre fratelli estivi, giugno luglio e agosto, sono temuti per l’afa e la calura; i primi tre perniciosi per un verso, gli altri tre per il verso opposto:

Innàru, frevàru e marzu:
vientu, ghiacciu e acqua;
giugnu, lugliu e aùstu:
méttene lu munnu arrùstu.

Luglio, insomma si porta sempre asciutto; con una sola eccezione: la precipitazione piovosa nella giornata di martedì due; questa pioggia nel giorno dedicato alla Madonna delle Grazie, patrona di Castelvetere e di Salza, giunge come una benedizione del cielo: Si chiove a la Grazia //, mantène tuttu lu munnu saziu.

Se in tempo di mietitura si radunavano le nuvole e scoppiava na trubbéa, cioè un temporale, addio fatica di un anno! Peggio, se a cadere era la grandine; in coro allora le donne pregavano: Santa Vàrvara e santa Lisabètta //, lìbberaci ra li tuoni e ra re saétte. Dopo raccoglievano un chicco e con un coltello lo tagliavano a metà per scongiurare la grandinata. Oppure mettevano il chicco in bocca al loro ultimo nato: come si scioglieva il chicco nell’arco della bocca di quest’anima innocente, così si scioglieva la nera nuvolaglia nell’arco celeste.

Festività del mese

Si infittiscono le feste e le sagre, parecchie delle quali conservano gli aspetti inconfondibili degli antichi riti agricoli. Assai diffusa in Irpinia è la festa della Madonna del Carmine o del Carmelo, che cade il 16; una festa dei fiori e dei frutti, come indica il nome Carmelo che in antico ebraico mi pare che designi un giardino fiorito. La festività in onore di Santa Felicita a Rocca, che cade il 9 e il 10 di luglio, si dice che sia stata istituita in sostituzione della festa in onore della dea Mefite, venerata negli stessi giorni da nostri antenati pagani.

Si suppone che, abbattuto l’antico tempio dedicato alla Dea nera, sia stato eretto su quei ruderi il piccolo santuario dedicato a Santa Felicita. E qui San Guglielmo amava raccogliersi in preghiera. La strada che conduce al santuario prese il nome di Strada dei miracoli, perché un giorno lungo quella via il patrono dell’Irpinia trascinò un sarcofago che altri non erano riusciti a smuovere neppure con l’aiuto di dieci buoi.

Ecco, poi, altre due feste all’insegna della femminilità: la prima, Santa Maria Maddalena, si festeggia il 22; la seconda, Sant’Anna, il 26. Maddalena era invocata nelle preghiere serali contro il diavolo tentatore: Ment’iu rormu, Matalèna mia //, te prèhu, fa fuje lu Nemìcu r’ Diu (intanto che io sono immerso nel sonno, ti supplico, S. Maddalena mia, metti in fuga il Nemico di Dio!).

Sant’Anna, patrona di Savignano e di Zungoli, pare che abbia ereditato le funzioni della Grande Madre, antica divinità pagana. Essa protegge le donne che vogliono diventare madri. La madre della Madonna era sterile e solo grazie al Signore riuscì a restare incinta in età avanzata, partorendo la Vergine. Quando avvertiva le prime avvisagli delle doglie, la partoriente invocava la Santa, ripetendo per nove volte la preghiera di rito:

S. Anna benerétta,
vieni ca t’aspetto,
vieni co’ Maria,
ca sape la via re casa mia.

Quando si compiva il nono mese, la donna gravida coglieva un bocciolo di rosa; e ai primi dolori del parto, metteva il bocciolo in un bicchiere d’acqua: a mano a mano che i petali si aprivano, così si apriva nello stesso tempo la strada per il neonato. Non è peregrino ritenere che nelle piccole comunità d’Irpinia vigeva (e vige) il matriarcato. Lo testimoniano pure altri indizi.

La Madonna, più di ogni altro Santo, è di gran lunga la più venerata nei paesi della nostra provincia; elevata a Patrona dalle comunità di Bagnoli, Castelvetere, Fontanarosa, Pratola, Salza, Venticano ecc.

E ancora: nelle fiabe della nostra tradizione non esiste il mago o la fata che soccorre il protagonista nei momenti più tragici della vicenda; esiste bensì la vecchietta, tenera e saggia, che con il consiglio e con l’offerta di un oggetto magico porge l’aiuto a chi si trova in difficoltà. Sempre nella fiabistica irpina sopravvivono le tracce di antiche divinità femminili, rappresentate con immagini di animali di genere femminile: la Gatta Cenerentola, la Gallina lavandaia, la Janàra, metà uccello e metà donna …

                                                                                                       

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