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L’iride e la disputa feroce tra Leonardo Di Capua e Domenico D’Aulisio

26.08.2013, Articolo di Rocco Dell’Osso (da “Fuori dalla Rete” – Agosto 2013, Anno VII, n.4)

Un tributo a tutti quelli che, guardando un arcobaleno, ancora si emozionano

L’arcobaleno, uno degli spettacoli più emozionanti della natura, da sempre simbolo di rinascita e di speranza, sintesi scientifica di ottica e meteorologia, nei secoli scorsi è stato oggetto di una disputa epocale tra due dei più grandi ingegni Bagnolesi: Leonardo Di Capua e Domenico d’Aulisio.

Correva l’anno 1676  e in una delle sue lezioni, Leonardo di Capua, ragionando con i suoi scolari “di molte, e molte delle naturali cose” parlò dell’iride ossia dell’arcobaleno; di come si forma e, contrariamente all’opinione comune, di come possa vedersi intera e compiuta come un cerchio.

Leonardo rafforzò tale opinione anche all’inizio dell’ottavo ragionamento del suo “Parere”, dove ribadisce “Adunque perche crederem noi, che l’arco celeste non possa maggior d’un mezzo cerchio apparere; ……? Anzi io l’ho pur riguardato, che non sol maggiore di un mezzo cerchio apparir soglia, ma talvolta ancora in un cerchio compiuto, ed intero, dove il sol sia alto, e l’uom da qualche monte assai rilevato il riguardi”.

I discepoli di Leonardo, dopo aver ben’intese le ragioni, e colpiti dall’aver appreso una cosa sì nuova e contraria a quanto fino a quel momento creduta, comunicarono la novità ai loro amici e “d’un’in un altro la novità passando, giunse all’orecchie di molti letterati; ed a quelle del mentovato Domenico d’Aulisio”.

Al d’Aulisio parve così astrusa ed erronea tale asserzione, che cercò di dimostrare con ragioni fisiche e matematiche, non potersi vedere l’iride in forma di circolo compiuto ed intero, e deridendo l’affermazione del Di Capua diede alle stampe il seguente epigramma, seguito da un commento denominato Crivello, dove in sostanza asserisce che il Di Capua, ubriacatosi con i suoi discepoli, aveva visto da una montagna, dove con loro era salito, l’Arcobaleno come circolo intero.

Capua facundo perfusus pectora vino,
Montis conscendit culmina summa celer.
Tempus erat; medio quo Sol discedit ab axe,
Pendebat dubiis horridus imber aquis,
Iris mille trahens adverso Sole colores
Orbem completum pingere non poterat:
Invidia terra vetat, quin partem occultat Horison,
Depictique arcus cornua summa rapit.
Capua sed lippus de celso vertice montis
Clamat: Io cyclum discolor Iris habet;
Credite, nam video clamat, Nos risimus omnes;
Mordaci quidam sic sale perfricuit:
Mira refers; in cyclum si tibi vertitur orbis,
Non sic res geminas ebria turba videt.

 

Non l’avesse mai fatto!

Questo epigramma gli tirò sul capo una terribile tempesta; Leonardo Di Capua, giustamente offeso di vedersi deriso e oltraggiato da chi meno te lo aspetti perché amico, concittadino, ed affine (Domenico d’Aulisio era suo nipote) e per di più di vedere posta in pubblico ludibrio un’affermazione fondata su personale e diretta osservazione; si scagliò a briglia sciolta contro l’Aulisio, con tutta la schiera dei suoi sostenitori con satire sferzanti, come quella data alle stampe dal titolo “La coda del Cacamusone epigrammatico “.

In realtà parlare di satire sferzanti è un eufemismo.

Di seguito due stralci delle “satire” estratte da “La coda del Cacamusone Epigrammatico” dove gli aggettivi usati per apostrofare il d’Aulisio sono a dir poco iperbolici:

In Pezzum d’Asinum

(e già il titolo è tutto un programma)

Hic, qui Cyclopus sembrat cæcatus in antro,
Tonda sputans, parlans Toscua verba, quis est?
Hic, qui se dicit multum studiasse cacando,
Cui nota est libri sola coperta, quis est?
Hic Gnorantonus, Villanus, Tammarus, Anchion,
Qui vult cum Saviis se numerare, quis est?
Hic, qui ragliat, uti Ciuccius codutus, et audet
Personas doctas vernachiare, quis est?
Bestia, Coglionus, Scarabæus stercorenatus,
……..
Bruttus Petazzus, vilis, và pascere corvos,
Và Pezzu d’Asinu, Và Pecorone, BE’,BE’.

E poi ancora:

LAMENTATIO CACAMUSONIS

………
Và CACAMUSO CACA, và te ficcare latrinæ.
Nonne fatis fuerat castagnas vendere alessas,
Aut aliqua piattos lordos nettare taberna,
Cogliere mondezzas, Foglias, aut vendere Alices?
Imbardare mulos, aut defraudare procaccium,
Nonne satis guardare boves, quam prendere brigas?
Và CACAMUSO CACA, và te ficcare latrinæ.
Quæ me Bestialitas, quæ me ignorantia cepit?
……

Le prime 32 pagine de “La coda del Cacamusone Epigrammatico” sono tutte su questa falsariga, laddove il povero Domenico d’Aulisio, “chiamato da’nostri paesani Minghino degli Aulisi”, viene strapazzato in tutte le salse ed in tutte le forme.

La lunga sequela di “satire” si chiude con l’epilogo:

“E questa è la coda, che per hora n’è paruto di dovere appiccare al Cacamusone, la quale tratto tratto gli s’anderà allungando secondo ne verrà a uopo; ma le scempiezze del suo Epigramma, e’l poco valore della sua difesa sieno appartatamente dimostrate da M. Crivello: e somigliantemente i luoghi del Galateo rapportati, e dal Cacamusone pessimamente intesi, minutamente agli Studiosi Napoletani, appresso si spianeranno”.

Dové per necessità rispondere l’Aulisio, ed alcuni della sua scuola fecer I’istesso, difendendo lo schernito maestro che oppugnava tale dottrina in omaggio ai principi Aristotelici.

La polemica tra i due eminenti Bagnolesi durò parecchio tempo ed appassionò tutta Napoli, sì per l’arditezza dei contraddittori, sì per le male parole che si scambiavano, e si invelenì a tal modo da compromettere l’ordine pubblico.

Il Vicerè del tempo fu costretto a proibire che la contesa andasse più innanzi, minacciando pene gravi contro chiunque avesse pubblicato satire e libelli sull’ argomento.

Il rischio concreto era, come scrive l’Amenta, che “si sarebbe senza dubbio lasciata la penna, e venuto perciò all’arme”.

La seconda parte de “La coda del Cacamusone Epigrammatico” (33 pagine), semplicemente ignorata dai molteplici autori che si sono occupati di Leonardo Di Capua, sono dal punto di vista scientifico molto più interessanti e trattano di ottica e geometria, con dimostrazioni e dissertazioni scritte sotto la forma di dialogo tra diversi personaggi (Rettore, D. Stefano, A…, B…; oppure Lionardo Di Capoa e S…), laddove, come evidenziato, in uno di questi compare Leonardo stesso.

Scritte presumibilmente da vari autori a supporto della tesi sostenuta da Leonardo; lo stile è quello utilizzato da Galileo nel “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo”.

L’illustrazione di questi ragionamenti è tale che necessitano di uno studio specifico; per il momento mi limito a riportare solo una delle molteplici dimostrazioni riportate a sostegno di quanto sostenuto da Leonardo Di Capua.

Tale dimostrazione sintetizza mirabilmente come la differente posizione dell’osservatore (sul piano o in cima ad un monte) e la distanza della nube con le goccioline d’acqua, possa far vedere l’iride come parte di un cerchio o come cerchio intero.

E’ superfluo a questo punto ribadire che l’opinione di Leonardo Di Capua era più che vera e dimostrata scientificamente già ai suoi tempi.

Nella realtà, Cartesio prima e Newton dopo, avevano già chiarito e dimostrato la genesi del fenomeno (vedi paragrafo nel riquadro).

Tutto ciò con rigore scientifico ed in memoria di Leonardo di Capua che tanto ha dovuto battersi per liberare il pensiero scientifico dal giogo aristotelico e sostenere il metodo sperimentale in tutto il Regno di Napoli, e non solo.

Ma il razionale ragionamento scientifico, nulla toglie alla bellezza e alla magnificenza di un arcobaleno.

Ancora oggi alla sua vista mi fermo  ad ammirarlo, rimanendo incantato nella contemplazione di questa meraviglia del creato.

–    Appr. su web http://arcobaleno.wikispaces.com

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L’arcobaleno scaturisce dalla radiazione del sole che si rifrange sulla superficie delle singole goccioline, entra nel loro interno, si riflette sul fondo delle gocce stesse e ne esce lungo una direzione determinata.

Cartesio pubblicò la legge della rifrazione nel 1637 e tra le altre cose osservò che quando si ha una sola riflessione all’interno della goccia, il fascio emergente forma col fascio incidente un angolo di circa 42°. Analogamente dimostrò anche che, se la radiazione all’interno della goccia compie una seconda riflessione, emerge poi con un’inclinazione di circa 51° rispetto alla direzione di incidenza. Questo genera  la formazione di un secondo arco, esterno e concentrico a quello dovuto alla riflessione singola, coi colori invertiti. Naturalmente il secondo arco è molto meno luminoso del primo e non sempre è visibile.

Cartesio però non aveva alcuna idea circa la dispersione e la natura dei colori; fu Isaac Newton nel 1704 che spiegò la dispersione e quindi la formazione dei colori dello spettro solare mediante variazioni dell’indice di rifrazione.

Con questo il fenomeno era quindi sostanzialmente spiegato. Ogni gocciolina di acqua sospesa nell’aria rimanda il fascio di radiazione che riceve dal sole, prevalentemente,  in due coni di 42° e di 51° di semiapertura. L’osservatore riceve la radiazione da tante goccioline come se provenisse da un arco circolare (o da due archi) dell’apertura suddetta.

                                                                                                       

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