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La rivalità tra Montella e Bagnoli

31.08.2013, Articolo di Aniello Russo (da “Fuori dalla Rete” – Agosto 2013, Anno VII, n.4)

Al tempo della civiltà contadina ogni paese era un piccolo mondo. Un montellese o un cassanese o un nuscano era facilmente riconoscibile sia dalla foggia degli abiti sia dall’aspetto fisico, sia soprattutto dalla parlata. Il possesso di un’identità linguistica innalzava ogni cittadino al di sopra dei cittadini degli altri paesi e lo rendeva orgoglioso di appartenere alla propria comunità.

Oltre che dal dialetto, i cittadini del medesimo comune erano stretti da costumi e concezioni tramandati sin dal Medioevo. Risaltava pure una certa autonomia nella devozione del santo Patrono, che i fedeli legavano indissolubilmente al territorio con leggende e miracoli. Siccome ogni paesano difendeva il suo campanile, quando si incontravano due persone di paesi vicini, facilmente nascevano le occasioni di scontro.

Una ruggine tenace esisteva tra coppie di comuni limitrofi: tra Nusco e S. Angelo, tra Castelfranci e Paternopoli, tra Bagnoli e Montella. La gente di Bagnoli affibbiò a quella di Montella vari nomignoli ingiuriosi (antropologicamente definiti: blasoni popolari): traritùri (infidi, sleali), faccistuorti (voltafaccia; dallo sguardo bieco), menangìni (armati d’un bastone uncinato).

Ma pure i montellesi non furono teneri con noi di Bagnoli, attribuendoci tra gli altri questi epiteti di scherno: culiscìsi (dalle gambe corte), ciaciàri (parolai), pisciaporte. Ma soprattutto ci additavano come spilorci, discendenti degli ebrei che nel passato si insediarono sulla collina che per questo ebbe il nome di Giudecca.

Il sentimento civico, questa forma di patriottismo, era il risultato delle ostilità fra i paesi e si espandeva spontaneamente, di proposito alimentato da una complessa letteratura popolare. Fino ad alcuni decenni addietro, oltre ai nomignoli e alle filastrocche burlesche, si tramandavano pure diversi aneddoti canzonatori che erano il parto dell’antagonismo tra gli abitanti di comuni vicini. Tra le storielle che si sentivano raccontare qui a Bagnoli sul conto dei montellesi, ve ne erano alcune che testimoniano la capacità creativa e il senso dell’ironia dei nostri narratori popolari.

Sentite questo aneddoto che mi fu raccontato da una grande narratrice popolare, Giulia Ciletti, scomparsa di recente. E sia questo un pubblico riconoscimento a questa donna di Bagnoli che ha lasciato alle nuove generazioni circa un centinaio di cunti (alcuni sono nelle Fiabe Campane, a cura di R. De Simone, edite da Einaudi), decine di canti popolari, centinaia di proverbi e soprattutto le norme che a Bagnoli erano alla base del vivere in comunità al tempo della civiltà rurale.

Il SS. Salvatore patrono di Montella

Quando il Padreterno creò il mondo, creò pure le città e i paesi. Compiuta l’opera, disse: – E adesso tutte le comunità di fedeli abbiano un Santo protettore!

I Santi obbedirono e ognuno si scelse un paese: San Lorenzo si prese Bagnoli, Sant’Amato volle Nusco, San Sebastiano Cassano, San Rocco Lioni … Ma nessuno osò indicare Montella.

– Possibile – esclamò Gesù – che tra tutti voi non c’è un Santo che si proponga come patrono! – I Santi finsero di nulla. Allora Gesù pregò l’Immacolata: – Mamma, perché non ti offri tu come protettrice di Montella?

– No, no! Io voglio per me Bagnoli!

– L’ha scelto già San Lorenzo.

– E che fa? Saremo in due i patroni di Bagnoli – rispose la Madonna; e aggiunse – Se Montella ti sta tanto a cuore, perché non lo fai tu il patrono? – E fu così che il Salvatore a malincuore divenne protettore di Montella.

– Però, a una condizione – ci tenne a precisare Gesù – La mia casa la voglio in cima a quella montagna! – ed è ancora lì.

I bagnolesi così commentavano: “Tantu so’ mala ggente li muntuddìsi ca puru lu Salvatoru se vòse uardà a ra loru!”

                                                                                                       

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