Articoli

Raccolta di articoli, opinioni, commenti, denunce, aneddoti e racconti, rilevati da diverse fonti informative.

Avvisi e Notizie

Calendario degli avvenimenti; agenda delle attività; episodi di cronaca, notizie ed informazioni varie.

Galleria

Scatti “amatoriali” per ricordare gli eventi più significativi. In risalto volti, paesaggi, panorami e monumenti.

Iniziative

Le attività in campo sociale, culturale e ricreativo ideate e realizzate dal Circolo “Palazzo Tenta 39” (e non solo).

Rubrica Meteo

Previsioni del tempo, ultim’ora meteo, articoli di curiosità ed approfondimento (a cura di Michele Gatta)

Home » Articoli

Sud, aree interne e memoria contadina

23.09.2013, Articolo di Maria Varricchio (da “Il Corriere”)

Come si può combattere la marginalizzazione delle aree interne? Con la cultura innanzitutto, o me glio con la riscoperta dell’ unicità del nostro patrimonio culturale, in termini storici, linguistici, paesaggistici. Aniello Russo lo ha fatto nella maniera che gli riesce meglio: il recupero delle memorie collettive di una società contadina che non c’è più, ma che è stata l’ humus su cui sono cresciuti i protagonisti del passaggio epocale da un mondo chiuso, sempre uguale a se stesso, a un altro che ha rappresentato, almeno in apparenza, il riscatto da una vita spesso di stenti, condannata a ripetersi secondo una medesima dinamica.

Mi riferisco soprattutto alla sua ultima fatica, Irpinia magica, un libro che si muove tra ricerca etnografica e suggestione narrativa. Russo è un veterano della ricostruzione dei costumi e della lingua di questa terra sempre ai margini, non tanto geografici quanto piuttosto economici e culturali, della Campania. A quale prezzo il riscatto sarà la storia a dirlo e in parte lo vediamo anche noi: spopolamento, calo demografico, depressione economia, adozione di modelli di sviluppo del tutto inadeguati rispetto alle specificità del nostro territorio. Ma questa è un’ altra storia.

Proprio da questi e altri spunti di riflessione offerti dal libro del Prof. Russo, però, si può comprendere la fecondità di opere come queste che, attraverso una rigorosa metodologia di raccolta delle fonti orali, preservano memorie che altrimenti andrebbero perdute. Quella storia locale tanto cara alle indicazioni ministeriali per i programmi scolastici ma che nessun libro scolastico può narrare viene restituia ai lettori moderni con una freschezza e intensità che solo i racconti orali sono in grado di far sentire.

L’amarcord di felliniana memoria che ci aiuta a comprendere come eravamo, però, non è e non può essere un generico rimpianto di un passato che non può più tornare. La spinta evolutiva della storia ha determinato, nel bene e nel male, quello che siamo oggi. Alcune conquiste sociali, soprattutto quelle legate all’emancipazione delle donne sono irrinunciabili, ma nel dialogo costante con il passato possiamo individuare le distorsioni del presente, le contraddizioni di quello che noi chiamiamo progresso e che ci pone degli interrogativi che non possiamo evitare.

Il libro di Aniello Russo ci restituisce un ritratto aspro e veritiero di una società “ ruvida ” ma dal carattere coeso e fortemente identitario. L’ Irpinia contadina non è l’Arcadia di Sannazaro, né un luogo dello spirito dove albergava una felicità preclusa a noi uomini “ civilizzati ”. Tutt’altro. Era dura e per certi versi spietata nelle dinamiche relazionali per le quali ciò che contava era la salvaguardia di valori collettivi piuttosto che la libertà degli individui. E non poteva essere diversamente. La libertà del singolo avrebbe potuto compromettere l’esistenza stessa di quel mondo che per sopravvivere doveva necessariamente fare affidamento sulla coesione interna dei membri della comunità. La società contadina doveva difendere se stessa dalla natura, dala vita e dalla morte; per questo nel corso del tempo si sono sedimentati una serie di codici di comportamento che accompagnavano tutti i momenti dell’ esistenza umana dal concepimento alla morte.

Quelli che gli etnologi definiscono riti di passaggio per la civiltà rurale rivestivano un’ importanza fondamentale ed erano accompagnati da un complesso cerimoniale che si tramandava di generazione in generazione insieme alle “ frasi rituali ” che possono essere considerate alla stregua di formule magiche dal carattere apotropaico in un periodo storico in cui ben poche erano le difese che i contadini potevano tentare rispetto alla violenza delle storia e alla durezza della natura. Parole e gesti sempre uguali scandivano la transizione da una fase della vita all’ altra, dando a tutti i membri della comunità il senso dello scorrere del tempo, la consapevolezza che tutto ha un inizio e una fine.

Questo si traduceva in un atteggiamento mentale e culturale di rassegnazione rispetto agli eventi ineluttabili, ma anche di tenacia nel rafforzare i vincoli comunitari, come garanzia di sopravvivenza di quel mondo al di là della sopravvivenza dei singoli. Una lettura in chiave antropologica del libro, dunque, ci conduce a scoprire il modello di uomo contadino (che è geograficamente collocabile in Irpinia ma che culturalmente è trasversale a molte società).

Chi è dunque quest ’ uomo? Non è un individuo, ma è il membro di una comunità di cui accetta i codici di comportamento ed è egli stesso lo strumento di trasmissione di questo patrimonio valoriale collettivo. La comunità invade la vita del singolo e si erge a garante del rispetto dei valori codificati attraerso il tempo; ma contestualmente offre ai suoi componenti il conforto per affrontare le difficoltà dell ’esistenza, l’abbraccio nei momenti di gioia, il sostegno nel dolore. L’emozione, qualunque sia la sua natura, non è un fatto privato; tutto viene vissuto in chiave sociale e comunitaria. In questo senso la società contadina è aperta al suo interno, pur nella rigidità degli schemi di comportamento.

La distanza temporale, un cinquantennio circa, che ci separa da quel mondo è davvero poca cosa rispetto alla distanza nel modo di sentire moderno, soprattutto per ciò che concerne il concetto di emozione e senso della libertà individuale.

Al di là delle riflessioni che la lettura di “ Irpinia magica ” stimola, c’è indubbiamente un altro approccio possibile rispetto alle pagine del libro ed è quello che è prevalso nel mio personale incontro con questa realtà “ altra ” rispetto a tutto ciò che ha caratterizzato l’esistenza della mia generazione: lasciarsi sorprendere dalla riscoperta di parole e gesti depositati da qualche parte nella nostra memoria. A noi, ascoltatori distratti di racconti di un tempo lontano, e ancor più ai nostri figli, nativi digitali in un mondo dove le differenze culturali, intese come ricchezza e non come fattori di discriminazione, tendono ad attenuarsi sempre più, serve riscoprire proprio questo: il racconto di ciò che eravamo per capire quello che siamo diventati. Addentrandomi nelle pagine del libro mi è capitato di dire a me stessa: “ Questo mia madre me l’ ha raccontato” , oppure “Ecco il perché di questa tradizione o di questa espressione” . Altre cose, con grande gioia, ho potuto riviverle perché ne ho fatto esperienza in prima persona (i giochi sociali della mia infanzia, ad esempio). Si tratta, però, sempre di memorie sparse che ciascuno di noi conserva come qualcosa di personale e non di un patrimonio comune che, se condiviso e tramandato, può concorrere alla delineazione di un ’ epoca storica e di una civiltà.

Per questo il libro di Aniello Russo non è solo una raccolta accurata di fonti orali di grande interesse etnografico, ma è una strada da seguire, un prezioso tassello per il recupero delle memorie irpine, che vivono soprattutto nel nostro dialetto, custode di esperienze, emozioni e sapienza popolare, stratificate nel tempo e aggredite dal tempo, il nostro: troppo veloce, troppo distratto.

Il Libro “Irpinia magica” di Aniello Russo

                                                                                                       

Lascia un commento!

Devi essere logged in per lasciare un commento.