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Luci della città

25.12.2013, Articolo di Alejandro Di Giovanni (da “Fuori dalla Rete” – Dicembre 2013, Anno VII, n.6)

Un tempo, se ricordo bene, non mi dispiaceva il Natale. Ero un fanciullo innocente e affascinato dalle luci, incuriosito da Babbo Natale, voglioso di giocattoli e dolci, sedotto dalla natività. Sono cresciuto in tutta fretta, e sembrano così trascorsi secoli da allora. I bambini credono in tante cose, in troppe, in tutte: invano attesi tutta la notte del 24 dicembre davanti al camino; leggevo sui cartelli stradali “Dio c’è”, e mi chiedevo “perché lo scrivono, si sa che esiste!”; guardavo dal finestrino dell’auto la luna, ed ero convinto che mi seguisse, che stesse lì per me, e che io avessi scoperto aspetti di essa sconosciuti a tutti.

Dopo qualche anno riponi tutte queste fantasie in un sacco nero dell’immondizia con tutti i giocattoli, e credi a venti anni di rimanere sempre giovane, e di essere immortale, oltre che unico e speciale. Inevitabilmente gli anni passano, e nuove illusioni affiorano. Così ho creduto nella politica, ma la sinistra si estinse; ho creduto nella meritocrazia, ma ho finito per maledire questa nazione; ho creduto nell’ amicizia, ma il tempo cambia le persone, le idee e le abitudini; ho creduto nell’amore, quello trascendentale, ma la stagione avvizzì e raccattai i suoi frutti rinsecchiti, così meglio sperare in immanenti primavere e nei suoi frutti effimeri.

Si diventa uomini, tutti, ma solo i più lucidi e consapevoli  realizzano che tutte le strade conducono ad un unico punto, la disillusione, gli altri sono ambiziosi, quindi eternamente illusi. Alla disillusione ci si arriva solo dopo l’illusione, e allora a che servono tutti questi mercatini della menzogna?

Un tempo, se ricordo bene, tutto incominciò col Natale, la quintessenza del falso. Questo periodo, a ben vedere, inganna la coscienza e abbaglia la vista con le sue mille luci, accecati così da bagliori elettrici, si fa buio nelle stanze della comprensione, che determinano solidarietà, umanità, spinta verso l’uguaglianza. Il vostro Natale andrà bene, alle domande voi risponderete col menù e i regali ricevuti, o con la vanesia esibizione dell’ albero o dell’ultima invenzione commerciale natalizia necessaria per la propria autostima. Poi, se proprio riusciamo a guardarci un po’ dentro, tra capitoni e panettoni, dove risiede un barlume di sostanza non morta che grida al peccato, andiamo alla lavanderia delle coscienze, imbellettati dai più sgargianti indumenti, a chiacchierare con l’orecchio di Dio dal collare bianco, che ci dice che Dio ci perdona ogni volta, quindi perché non continuare?

Stomachevoli poi, in questo periodo, le sfilate davanti ai teatri più importanti d’Italia dell’ alta borghesia impellicciata, ingioiellata e siliconata, mentre le classi meno agiate, vestite di abiti miseri e sobri, rivendicano, dietro transenne che ergono simboli di divisioni di classe, una vita dignitosa e condizioni minime di sopravvivenza, lì dove fino a qualche ora prima un senzatetto tra i suoi averi poteva rivendicare il solo cartone sul quale dormiva.

Io sono cresciuto, ma non posso dire ciò di tutte le persone che non sono più dei bimbi. Questa cosa chiamata Natale, che trasforma i paesi in parco giochi e le persone in bambini, toglie il respiro, tale è la maestosa menzogna. Le amministrazioni gareggiano per le luminarie più belle e per il consenso pubblico di qualche cretino che criticherebbe la mancanza di qualche luce intermittente (che spreco!), i negozi abbelliscono le entrate per catturare l’attenzione dei passanti che, dopo la stella, guarderanno la vetrina, le sue luci e i prodotti che forse compreranno, la chiesa e il suo custode aprono per le laute offerte dei commossi credenti. A me pare che quasi nessuno faccia qualcosa senza ricevere niente in cambio. Il Natale (anzi, tutta la vita), deve misurarsi in atti concreti di solidarietà, in buone azioni da compiere in favore del prossimo, di chi è più sfortunato, il resto è folclore.

Allora, quando ci chiederanno “come è andato il Natale?”  proviamo a rispondere “male!”, se nonostante le grandi abbuffate e bevute, i suppellettili ricevuti in regalo, i familiari ritrovati, non siamo riusciti a compiere una buona azione, anche una carezza ad un cane infreddolito, una parola scambiata con una persona sola, un pasto caldo offerto ad un mendicante, o un’ indignata reazione ad un atto disonesto e corrotto. Facciamo collezione di queste, di ciò possiamo vantarci, non delle cianfrusaglie costose esibite con grottesca smania di protagonismo: la nobiltà non è il tuo abito firmato alla moda, la nobiltà non è il  tuo paio d’ occhiali da sole di duecento euro, la nobiltà non è il tuo ultimo modello di Iphone. La nobiltà è altro, ma quella sì che sembra passata di moda: la nobiltà era Nelson Mandela, non è la regina Elisabetta. Troppe luci nella città, troppo buio negli animi.

                                                                                                       

4 Commenti »

  • corso.giov@tiscali.it scrive:

    Molto bello, complimenti.

  • Posizione scrive:

    come al solito ottimo articolo!!!Spero soltanto tu creda ancora in qualche amicizia,nonostante i cambiamenti.Quello sì che è un sentimento senza ritorno.Per quanto riguarda l’amore……..beh!!Bevici sù!!!

  • Alej scrive:

    Posiziò, ma questa cura me la dai per ogni problema, funziona per ogni male quindi… ma come tu insegni, l’importante è cambiare la pelle (stagione permettendo). Riguardo l’amicizia (e l’amore, la politica e il merito), esistono rare eccezioni, per fortuna.

  • Peppe Caputo scrive:

    Ti posso garantire che un sacco di persone ti stimano per quello che scrivi e per la tua coerenza, chiaramente io sono tra quelli.

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