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La sottile linea rossa

19.11.2014, Articolo di Alejandro Di Giovanni (da “Fuori dalla Rete” – Novembre 2014, Anno VIII, n.5)

 Storia di una mancata evoluzione chiamata società.

Si nasce rossi sotto un dettame d’indole, e per una stratificazione o collocazione sociale ereditata. Col tempo, però, al pettine emergono i nodi sbiaditi e intricati di alternative tendenze che hanno condiviso le medesime radici, che hanno assunto pigmenti ideologici per tragico fato. Si era comunisti per forza maggiore, per selezione ed esclusione non voluta al banchetto lauto del ricevimento.

Più che per indole e naturale predisposizione umana, ho capito che si è comunisti per rabbia e comodità poiché dopo un invito al buffè dei bianchi o dei blu, i rossi scoloriscono fino ad ottenere una gamma variegata da arcobaleno. Un rosso diventerebbe bianco se solo potesse, rimane tale solo perché nessuno è ancora passato ad offrirgli un cambio di tono candido atto a sopprimere la sua esclusione economica e sociale. La natura umana prescinde dai colori, essa ha per congenita predisposizione la spinta all’interesse personale e privato, all’egoismo: tingersi di colori politici nella società equivale ad un mero compiacimento illusorio di sapersi e sentirsi diversi dalla totalità, così i gruppi d’appartenenza si caricano di valori fittizi che corroborano il nostro autoconvincimento ad immaginarci nel giusto e nella ragione più di quanto non lo siano gli altri. Dinanzi ad un banchetto un rosso, un bianco o un nero agiscono nelle medesima maniera, indossano solo pettorine diverse di squadre diverse che per natura perseguono il primario obiettivo di prevalere l’uno sull’altro per raggiungere il proprio personale appagamento. La società non è altro che una giungla ordinata per colori, il nome che diamo alla nostra stupida convinzione di saperci più evoluti degli animali. Ma qualcuno era comunista davvero, si è slegato dal vincolo parentale delle scimmie e dei porci, era disposto a sedere al banchetto solo con tutti gli aventi diritto, avrebbe sputato in faccia ai bianchi e ai neri se l’offerta avesse incluso solo sé e lasciato in piedi i suoi simili. Eravamo così brutti, sporchi e cattivi, indossavamo maglioni demodé e giacche vintage, avevamo l’aria trasandata della noncuranza del corpo, l’aspetto bruto e sferzante sotto la chioma ribelle e l’incolta barba; dismessa la provocante presenza, con camice bianche e impeccabile parvenza d’aspetto rassicurante, schiariamo il colore che fu per farci spazio tra la gente perbene, i colletti bianchi ci ritraggono oramai con attendibile garanzia. Accoglieteci allora borghesi, la sinistra è ora borghese, ci siamo rifatti col vestito nuovo e l’aria da bravi figli dell’epoca nuova, noi siamo diversi ma uguali. Non ci arrabbiamo più, non urliamo più, non sogniamo più. Bianchi, blu, neri, dovrei amarvi più dei rossi scoloriti che assumono striature d’occasione nei periodi dei saldi, avete avuto il coraggio di mostrarvi sempre così per quel che siete: eravate bestie incuranti e ingorde, non vi siete mai illusi di poter diventare altro, di essere migliori. Siamo tutti compagni e compari, oramai mangiamo allo stesso tavolo e lanciamo gli avanzi lontano e con forza affinché gli ultimi e i diversi non si avvicinino troppo a noi a minar l’armoniosa e doviziosa nostra istintività del sopravvivere nell’opulenza. Come i porci de “La fattoria degli animali” di George Orwell che sovvertono l’ordine costituito, raggiunto il potere ci comporteremo proprio come i tanto odiati e crudeli padroni umani spodestati. C’eravamo tanto illusi, compagni rossi, bianchi e blu.

                                                                                                       

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