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Lo spasmo anelante del poeta

28.05.2015, La lettura (di Giuseppe Marano)

C’è una poesia di Sturchio che nella sua secchezza tironiana ci rappresenta a tutto tundo la sua poetica da un punto di vista esistenziale, e per la sua penetranza ricorda un colpo di fucile a pallettoni che trafigge i ceppi che imprigionano l’esistere in un inviolabile enigma…Empito iconoclasta ma perdente il suo! Perchè come vedremo non arriva alla soluzione del male dell’essere, della sua feroce antinomia. Versi che riecheggiano per la succosa brevità il meglio dell’ermetismo:

« Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di Sole:
ed è subito sera. »

o per altri versi il

“Mi illumino di immenso” di Ungaretti.

La dizione è ermetica decisamente.

Ha il tono di un epigramma che poi trascorre nello stillicidio di lacrime autentiche di un epicedio, o trenodia greca! Gli echi abissali si rincorrono e si disperdono…Punta dì un iceberg immenso perduto alla deriva delle notti…o come un esilissimo frammento di diamante che da solo ti può accendere la notte in quanto sottende l’immensa stella da cui è schizzato via per eccesso di turgore vitale…quel turgore d’amore che strazia l’esistenza in quanto imprigiona nel carcere umano indissolubile l’aereo desiderio ch’è spirituale. Ed alla ricerca spasmodica di questo afflato pervasivo di vita va inesausto il poeta pur consapevole della inanità del suo conato metafisico. Ed ecco esplodere in una fiammata vulcanica piroclastica l’antinomia repressa del poeta una fossilizzazione di fiamma compressa al punto da scatenarsi fuori con la forza piezoelettrica della scintilla che si perde nella guizzante peregrinazione prima di arrivare all’immensa polveriera del cosmo: la mancata conflagrazione purtroppo, l’epirosi sospirata! Lo spasmo anelante del poeta si dibatte tutto qui nei suoi due chiari termini antinomici: nell’impossibilità imposta da un fato maligno di suggere l’anima dalla carne: che è il fallimento della vita che affonda nell’abisso della sconoscenza e della desolazione! Il poeta cerca l’anima non il corpo, ma la fanciulla si presenta con la veste calda del corpo che va dolcemente ma indispensabilmente dischiusa per raggiungere la scintilla che dà senso alla vita e che attiva i due cuori che sentono il palpito all’unisono ma crudelmente vietato da una ferrigna Citta di Dite. Sul filo brillante di caduta di stelle il poeta intesse la nota dell’inferno della vita del male del vivere, dell’ostacolo assurdo che preclude al condannato all’eterna cecità il lieve barlume di luce. Perchè quella carne che palpita non svela il mistero della vita nella sua riduzione spirituale ad anima. Lo stillicidio d’un’anima, la sua analitica vivisenzione non poteva essere resa meglio di questo singultato palpito di parole distanziate quasi in uno spelling demolitivo del fuoco attinto nel profondo

TESTO:

SE L’ ANIMA NON ESPLODE

Tu sei fatta di carne…

Io cerco l’anima che è in te!!!

                                                                                                       

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