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“K”

05.12.2010 – Racconto breve di Martin Di Lucia (Premio Letterario “Il Tartufo ‘d’Oro” 2010 – Terzo classificato)

Zero – Eccolo, il maiale. Rannicchiato e tremante come una pecora. Lo colpisco con un calcio in faccia, forte, come se colpissi un pallone da far volare lontano. La sua testa va indietro con uno scatto e si riporta lentamente in avanti, come un meccanismo automatico.

La faccia è una maschera di sangue, il naso è aperto e diversi denti mancano all’appello.

Le mie dita sono avvinghiate al manico della vanga.


Uno

Incontro K. davanti al solito bar.

“Preso già il caffe?”.

Offre lui, come sempre.

Accenno un’espressione di protesta, come se il fatto che paghi sempre lui mi dia noia, ma in realtà non mi dispiace affatto.

Conosco K. da tutta la vita. È sempre stato un tipo. Non gliene è mai fregato niente di quello che pensa la gente ed è sempre riuscito ad avere tutto ciò che voleva.

Mi è capitato di trascorrere qualche sera con K. e il suo giro.

Non ricordo che stronzate a fiumi e io che me ne vado dopo un po’.

È quasi ora di pranzo e ci salutiamo; dice che mi chiama oggi, che ci vediamo.

Si, certo, perchè no.

E mentre ci allontaniamo sappiamo entrambi che non ci sentiremo né vedremo nel pomeriggio.

Ma i rituali sono questo in fondo, no?


Due

Un messaggio sul cellulare.

“Stasera ti fai vedere? K.”

Esco che sono passate le 22.

Lui è già li con un whisky in una mano e una sigaretta nell’altra.

Poca gente stasera. È infrasettimanale. È normale.

K. parla al cellulare con un accento italiano tutto suo.

“Che dici, andiamo a fare un giro?”

“Non so… guarda… non vorrei fare tardi…” rispondo.

K. mi assicura che nemmeno lui vuol fare tardi e che quindi possiamo andare con una sola macchina. La mia.

Incontriamo i suoi amici fuori paese.

Per raggiungere il posto percorriamo una stradina secondaria.

Parcheggiamo in un vigneto, o qualcosa del genere.

Una nebbiolina spettrale avvolge gli alberi e sorvola i prati.

La luna è bianchissima e il suo bagliore illumina tutta la campagna intorno.

Dobbiamo camminare a piedi qualche decina di metri nell’erba umida

prima di arrivare all’ingresso posteriore di una cascina.

Bussiamo e la porta si apre come per magia.

Un ragazzo biondo ci invita ad entrare come se chiunque lì fosse il benvenuto.

C’è un’unica grande sala.

Qualcuno è in piedi, altri seduti su un piccolo divano davanti a un caminetto acceso.

Uno che non conosco mi dice che sul tavolo c’è una cassa di birra

da cui posso servirmi liberamente.

Mi servo.

Sulla cucina sono ammassate stoviglie sporche e incrostate.

Deve esserci stata una cena prima del nostro arrivo.

K. è già sparito chissà dove.

Mi parcheggio in un angolo, accendo una sigaretta

e attivo lo sguardo diffidente e scrutatore che penso mi dia un atteggiamento.

Ad un tratto noto un tipo in un angolo insieme a una ragazza bionda più alta di lui.

Lo riconosco. E’ M.

E’ un po’ che non lo vedo e quasi meccanicamente mi avvicino con l’intenzione di salutarlo, o forse solo per non restarmene lì appoggiato al muro.

Se la ridono tra loro e sembrano abbastanza fatti.

Lei oscilla ed è sul punto di cadere ogni volta che M. non la tiene a sé.

Non appena mi riconosce mi chiama per nome e mi saluta come fossimo grandi amici.

Mi presenta subito la sua amica.

“Piacere, S”.

S. ha la voce rauca, dura, di una che ne ha viste di cose, e fatte anche di più.

Senza che glielo chieda mi dice che prima di venire qui hanno trascorso l’intera serata in un locale a sbronzarsi.

Finalmente arriva K., si avvicina e saluta M. ignorando completamente la ragazza.

“Allora, come siamo messi?”

M. caccia una mano nel tascapane che ha a tracolla e tira fuori un grosso bossolo di carta stagnola.

Comincia a scartarla lasciando il braccio di S. che va giù come un sacco di patate.

Attonita e innervosita lancia uno sguardo di disappunto verso il vuoto,

si rialza aggrappandosi al piede di un tavolo, ci dice di fotterci e si allontana, entrando in una porta che prima non avevo notato.

L’eccitazione di M. per ciò che vuole mostrarci sostituisce immediatamente il divertito imbarazzo per aver provocato la caduta della sua amica.

Invita K. ad uscire fuori.

K. si gira verso di me e mi fa cenno di uscire con loro.


Tre

Andiamo dietro la cascina.

M. scarta il bossolo di carta argentata e un odore fortissimo si dipana nell’aria fredda e umida.

Tartufi!

“Ma che cazzo ci devi fare?” chiedo accennando un ghigno.

Tira fuori dalla tasca un coltellino svizzero e ne intacca uno.

“Questi sai come si chiamano?”

“No, come si chiamano?” rispondo io serio.

“Queste sono Pietre Filosofali”.

“Come quella di Harry Potter, ti fa vedere le magie” fa M. ridendo e senza staccare gli occhi dalla pallina nera e porosa.

“Ho provato i tampanensis e gli atlantis e non mi sono piaciuti.

Cioè, gli effetti visivi erano pari a zero, ma il trip era abbastanza forte.

Molto da isolamento, non riesci a comunicare con gli altri, ad altra gente invece danno un effetto esilarante”.

“Secondo me sono molto più interessanti dei funghetti classici, tipo i messicani,

ma nemmeno lontanamente paragonabili agli hawaiiani. E nemmeno ai cartoni.” replica K.

Sono completamente estromesso dalla conversazione.

“….a basso contenuto di psilocina e psilocibina, mentre è più elevata la beocistina…….”

Trattengo la sorpresa e il timore, assumendo l’aria di capire di cosa si sta parlando.

L’odore terribile è conteso tra l’aria gelida che tenta di scacciarlo

e l’umidità che lo trattiene con forza.

M. frantuma col coltellino delle schegge dal tartufo portandosele alla bocca.

“Hanno un sapore di merda, ma mi piacciono!

La maggior parte della gente non li trova granchè.

Non capiscono un cazzo!”

M. passa a K. la sfera frantumata e maleodorante e il coltellino.

“Questi non sono legali nemmeno più in Olanda” continua M.

“Ma S. è riuscita a recuperarmi qualcosa. Tu, non assaggi?” rivolgendosi a me.

Declino con la testa e un sorriso maldestro.

Mi accendo una sigaretta, per confermare il mio rifiuto a provare quei cosi.

K. insiste “Dai, assaggia!”

E io: “No, non mi interessa.”

Voglio andarmene. Sono già pentito di essere venuto.

D’altronde con K. finisce sempre cosi, non è certo la prima volta.

All’improvviso compare da dietro l’angolo S. insieme ad un altro ragazzo.

“State banchettando da soli?” esclama con tono cinico di chi non è stato invitato ad un party.

M. prende un altro tartufo dalla carta, e di nuovo l’odore nauseante invade l’aria fredda.

Ne stacca un grosso pezzo e lo dà al ragazzo che l’ha accompagnata.

“Dove li fate crescere?” chiede il ragazzo con buffo tono da intenditore.

“Ora vuoi sapere troppo” anticipa S., mandando giù la fetta che aveva in mano a mo’ di ostia.

“A me non sta facendo niente!” lamenta il ragazzo, “Non sarà mica una ‘sola’?”

“Aspetta….aspetta….” fa M. tra l’ironico e compiaciuto.

“Ci vuole tempo…..devi digerirlo prima…..” approfondisce K.

“A te sta facendo effetto?” mi chiede S., rivolgendomi la parola per la prima volta da quando siamo stati presentati.

“Veramente non l’ho preso” rispondo. “Non mi piace”.

“Ma lo hai mai provato?”

“No, mai”.

“E come fai a dire che non ti piace se non l’hai mai assaggiato?”

Scrollo le spalle senza rispondere e sorrido.

“Dai, sei con noi e devi mangiare con noi!” mi dice con tono apprensivo.

K. mi fa un occhiolino, che può significare qualsiasi cosa.

“No, guarda” rispondo “devo anche guidare, e poi non mi va….”

S. assume un’espressione contrariata che si trasforma in indifferenza in un battito di ciglia, si gira verso il suo amico, lo abbraccia e cominciano a dirsi qualcosa sottovoce.

Voglio andarmene. Dico a K. che sono stanco. Lui mi guarda con gli occhi appesi e comincia a parlare in un modo che mi stupisce. Farfuglia intere frasi senza senso e comincio a preoccuparmi di essere capitato lì con lui.

“Io voglio andare via…. Davvero…. sono un po’ scocciato….Se vuoi restare…..”

Mi interrompo perchè temo che non mi stia seguendo.

Lo prendo per le spalle e faccio in modo che mi guardi quando parlo.

“Io vado via. Fatti riaccompagnare da loro, ok?”

Esco dalla casa come se non ci fossi mai stato, ed effettivamente nessuno se lo ricorderà.

L’aria è fredda e l’umidità la si può quasi toccare.

Avevo dimenticato quanto fosse lontana la macchina e non vedevo l’ora di arrivarci.

Una fitta fortissima dietro la nuca.

Buio.


Quattro

Sono nel bosco.

Sto scappando ma loro sanno dove sono.

Mi inseguono feroci e spietati.

Vogliono me.

Mi nascondo ma loro sanno dove trovarmi.

Eccoli, arrivano.

I lupi dagli occhi infuocati.

Ovunque guardo ce ne sono.


Cinque

Apro gli occhi.

Vertigini.

Un odore penetrante da cui non c’è scampo.

Sento la tempia sinistra bagnata e pulsante.

Non capisco se i miei occhi siano aperti o chiusi.

L’odore è fortissimo e maledettamente riconoscibile.

Tartufi!

Sento una voce d’uomo indistinta, non riesco a capire da dove provenga.

Dei calcetti sulle gambe ridestano il mio senso d’orientamento e capisco di trovarmi seduto a terra appoggiato contro una parete, e un uomo con la giacca marrone chiaro è sopra di me.

“Li hai ammazzati tu???”

Tra lo stordimento e la forte vertigine accenno con voce incrostata: “Ma…cosa…..”.

“I cani brutto stronzo! Me li hai ammazzati tu!!!”

“Quali cani …..” non riesco a finire la frase che sento l’interno della guancia squarciarsi contro i denti e le ossa della cervicale scrocchiare sotto le nocche dell’uomo con la giacca marrone chiaro.

Riesco a metterlo meglio a fuoco ora.

Capelli neri, barba di qualche giorno, occhi chiari e tratti marcati. Non molto alto, ma con le spalle larghe.

Mi afferra il viso con una mano e mi parla da vicino.

Sento il suo alito marcio di tabacco talmente forte da stordirmi ancora di più.

Cerco di rimanere in apnea più che posso, pregando che si allontani da me prima possibile.

“Allora stronzo, si può sapere dove stanno gli altri amici tuoi?”

Lo stordimento sta passando e inizio ad avere paura.

“Quali amici?… io non c’entro niente… di cosa sta parlando?”

Ha tutta l’aria di non voler sentire balle e tira il fiato allontanandosi.

Il fatto è che non sto raccontando nessuna balla.

Cosa ci faccio qui? Come ci sono arrivato?

Chi sono questi uomini?

Sono due….. solo ora riesco a farci caso.

L’altro è appoggiato all’entrata. Ha una giacca di pelle nera.

C’è puzza di fieno e letame.

Sono in una stalla.

L’uomo dall’alito pestilenziale torna da me con una vanga.

“Adesso ti ammazzo!!!”

Mi colpisce di piatto sul braccio.

Emetto un urlo e comincio a mugolare “Vi prego! Non so di cosa state parlando! Avete sbagliato persona!”

Mi colpisce di nuovo nello stesso punto.

Mi rendo conto anche nel terrore che non è il tipo con cui poter ragionare.

“Sei finito!” mi urla, e si allontana verso l’altro uomo che fino a quel momento è rimasto in silenzio sull’entrata.

Parlano di qualcosa, ma non riesco a distinguere nessuna parola.

La porta si chiude sbattendo.

Buio.


Sei

Sono alla stazione degli autobus.

I lupi avanzano verso di me.

Mi circondano.

Voglio correre ma un’inerzia invisibile mi trattiene e mi muovo come a rallentatore.

Sono in una casa.

È abbandonata.

Giro per le stanze cercando un bagno.

Sto per pisciarmi addosso.

Una sirena in lontananza.

Si avvicina.


Sette

Apro gli occhi.

E’ tutto nero.

Muoio di freddo.

Comincio a piangere sperando che sia solo un brutto sogno.

Mi hanno lasciato qui.

Un mucchio di cani abbaiano poco lontano.

So che è notte.

L’abbaiare dei cani si fa sempre più vicino e intenso, come se in un concerto tutti i musicisti suonassero la stessa nota ma con tempi diversi.

Sono paralizzato e indebolito, a stento riesco ad alzare la testa dal pavimento.

Ho le braccia anestetizzate dal freddo e dall’immobilità.

E’ completamente buio.

Cerco di sollevarmi, ma una fitta violenta mi attraversa il braccio.

Urlo.

D’un tratto tornano alla mente le vangate e gli schiaffi.

Devo uscire da questa situazione. Devo tornare a casa mia.

Voglio tornare a casa.

Piango.


Otto

E’ l’alba.

Ho sete.

Sottili raggi di luce passano attraverso le fessure delle pareti illuminando appena il centro dell’ambiente.

Mi trascino pieno di dolori verso la porta, spingendomi con i piedi

e il braccio destro che riesco ancora a muovere.

Il pavimento è cosparso di fieno, lo sento strisciandoci sopra.

La puzza di tartufi è densa ed insopportabile.

Arrivo ai piedi di un tavolo di legno, mi alzo in piedi aggrappandomi al piano.

All’esterno un cane comincia ad abbaiare.

Mi guardo intorno, ma la luce è ancora troppo poca.

Con l’udito seguo il rumore del cane per capire quanto possa essere vicino all’uscita.

Il motore di una macchina. No!

Una scossa di terrore mi attraversa per intero.

Sono tornati!

Non so cosa fare. Resto immobile come una statua e combatto contro il cuore che galoppa.

Una voce si rivolge ai cani.

Mi muovo lentamente all’indietro seguendo il contorno del tavolo con la mano.

Tocco qualcosa , un istante dopo il rumore di una mazza di scopa che cade a terra mi scarica

un brivido di terrore violento che mi soffoca.

Rumore di passi veloci.

Oh no!

Afferro qualcosa e nello stesso istante si spalanca la porta.

L’uomo con la giacca marrone chiaro mi guarda sorpreso.

“Che cazzo fa…” la domanda è interrotta dal rumore di un badile che gli batte in testa.

Arretra di qualche passo. Mi guarda più sorpreso che stordito e fa per avvicinarsi nervosamente.

Emette un urlo secco.

Il taglio della pala gli intacca una spalla.

Sento dolore alla mano che stringe forte il manico di un attrezzo.

Un terzo colpo di piatto dritto sulla faccia e va a terra.

Il badile mi scivola dal palmo dolorante della mano che non riesce più a tenerlo.

Eccolo, il maiale…


Nove

Mugula dolorante, non riesce a parlare.

Gli occhi bianchi, rivolti all’indietro.

Tenta di alzare un braccio ma non ne ha la forza.

Comincio a colpirgli forte la testa, come una noce di cocco che non vuole rompersi.

Non si muove più.

Il corpo immobile sul pavimento impedisce l’apertura della porta.

Tento di farlo rotolare spingendolo con i piedi, come un sacco di castagne.

E’ pesantissimo.

Esco fuori alla luce coprendomi gli occhi.

La mia macchina! Lì accanto un cane a chiazze bianche e marroni dal respiro affannoso.

Eri tu che facevi il gradasso eh? Penso rivolgendomi al cane.

Non fai più il cattivo?

Ѐ la metà di come l’avevo immaginato, con uno sguardo stupido da bastardello.

Mi avvicino all’auto senza alcun timore.

Una puzza tremenda di tartufo mista a fumo e pelo di cane.

Metto in moto. Vado in retromarcia e dallo specchietto retrovisore vedo tre, quattro cani correre verso di me.

Alcuni si fiondano sui lati abbaiando, altri si avvicinano alla baracca.

A costo di investirli accelero. Devo andare via.

La strada è poco lontana.


Dieci

Solo ora comincio a realizzare del tempo trascorso.

In realtà solo una notte, ma è sembrato molto di più.

Scendo per qualche chilometro. Guido stremato con un solo braccio.

Il paesaggio non mi è familiare, ma non posso essere lontano.

Finalmente un ristorante sulla strada.

Macchine parcheggiate fuori già a quest’ora.

Sono di alcuni pastori a giudicare da come sono sporche.

In auto ci sono il mio cellulare, il portafogli e le chiavi di casa.

I coglioni non li hanno visti.

Entro nel bar chiedendo del bagno. I pastori mi fissano.

Entro nel bagno. Mi guardo allo specchio.

Pensavo peggio.

Un livido sotto l’occhio, e la maglia tutta sporca di terra.

Il braccio fa malissimo, non riesco a piegarlo.

Torno in sala chiedendo un cappuccino e dei cornetti.

I pastori parlano tra loro a voce alta e gesticolano;

qualcuno fa colazione con la birra, altri con un amaro.

Ascolto inevitabilmente le loro conversazioni.

“quattro cani avvelenati…………poi dicono che non fanno bene ad ammazzarli ‘sti farabutti………”

D’un tratto mi assale un’ansia terribile.

K.!…. I tartufi allucinogeni….i cani morti…..

Cerco di mettere insieme i pezzi.

Pago ed esco dal bar. Alcuni pastori seguono con lo sguardo la mia uscita.

Provo a chiamare K. ma non è raggiungibile.

Testa di cazzo!

Guido pianissimo.

Adesso voglio solo arrivare a casa.


                                                                                                       

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