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Se dici ONG…

07.07.2017, Articolo di Paola Gerola (da “Fuori dalla Rete” – Giugno 2017, Anno XI, n.3)

Migrants_saveIl Financial Times, il quotidiano britannico, nel dicembre del 2016 pubblica un articolo relativo ad un fascicolo che conteneva un rapporto riservato di Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere esterne, che denunciava dei presunti legami tra i trafficanti di esseri umani e le imbarcazioni delle organizzazioni umanitarie.

In seguito, i sospetti di Frontex sono stati accolti dalla procura di Catania, città in cui ha sede l’agenzia europea per il controllo delle frontiere, che a sua volta ha aperto un’indagine conoscitiva sull’origine dei finanziamenti che permettono alle ONG (Organizzazioni Non Governative) di sostenere le loro attività di ricerca e soccorso in mare.

Carmelo Zuccaro in un’intervista dice testualmente: “Tra il settembre e l’ottobre 2015 nascono numerose ONG, cinque tedesche, una spagnola e una maltese, che quindi nascono dal nulla e che dimostrano di avere subito disponibilità di denari per il noleggio delle navi, per l’acquisto di droni ad alta tecnologia e per la gestione delle missioni, che sembra molto strano che possano aver acquisito senza avere un ritorno economico”. Quindi la domanda che la procura di Catania si pone è: chi paga le missioni? Il Procuratore apre un fascicolo conoscitivo, senza indagati né capi di accusa, su sette ONG che, con tredici navi, salvano migranti nel Mediterraneo.

“Sono ipotesi – ha concluso il procuratore di Catania – devo fare degli accertamenti e devono essere fatte distinzioni”.

Le accuse più diffuse contro le Organizzazioni Non Governative impegnate nei soccorsi (Proactiva open arms, Medici senza frontiere, Sos Méditerranée, Moas, Save the children, Jugend Rettet, Sea watch, Sea eye e Life boat) sono quattro: le navi delle ONG si spingono troppo vicino alle coste libiche e rappresentano un fattore di attrazione per i migranti, le missioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo hanno determinato un aumento delle morti e dei naufragi, le ONG si finanziano in maniera opaca e potrebbero essere in collegamento con i trafficanti, le ONG portano i migranti in Italia perché vogliono alimentare il business dell’accoglienza.

I mezzi di Frontex, che non si spingono a sud di Malta, impiegano dieci ore a raggiungere la zona dei naufragi e per questo, il 40% dei salvataggi in mare negli ultimi mesi del 2016 è stato effettuato dalle navi delle Organizzazioni Non Governative. Nonostante ciò le autorità europee non sembrano entusiaste dell’attività di questi mezzi e qualcosa è cambiato anche nell’opinione pubblica europea.

Le ONG nel respingere le accuse di Frontex e della procura italiana affermano di essere al centro di un processo di criminalizzazione, volto a ostacolare il lavoro di organizzazioni indipendenti che controllano quello che sta succedendo in Libia e nel Mediterraneo centrale, soprattutto dopo il memorandum d’intesa stipulato da Roma e Tripoli con l’appoggio dell’Unione europea.

L’accordo prevede che la guardia costiera libica intercetti le imbarcazioni dei migranti, le blocchi e le rimandi indietro, incarcerando i migranti nelle prigioni e nei centri di detenzione libici.

Questo memorandum ha suscitato polemiche e rimostranze da parte del mondo della cultura e dell’informazione libica e dubbi sulla sua legittimità sono stati sollevati anche in Italia dal professore di diritto costituzionale Paolo Bonetti. Il memorandum non rispetta l’art. 80 della nostra costituzione, che prescrive la ratifica da parte del parlamento dei trattati internazionali che sono di natura politica e che implicano oneri finanziari da parte dello stato. Inoltre, ricorda Bonetti, l’accordo viola la Convenzione Europea sui diritti dell’uomo, che è inderogabile per gli stati membri dell’Unione.

Frontex, inoltre, ha definito le ONG “pull factor” cioè fattore di attrazione per i migranti. Ma se cerchiamo di analizzare il problema, vediamo che nei mesi successivi all’interruzione di Mare Nostrum cioè dopo il 2014, c’è stato un aumento delle partenze, nonostante non ci fossero mezzi pronti al soccorso. Infatti fino al 2014 erano le navi della Marina militare italiana a pattugliare il Mediterraneo centrale, arrivando spesso molto lontano dalle coste italiane.

Quindi l’intervento delle ONG oggi, si deve in parte al fatto che le navi di soccorso militare si sono ritirate dal Mediterraneo centrale e operano principalmente a ridosso delle acque territoriali italiane (navi che fanno parte dell’operazione Triton, a cui sovrintende Frontex).

Oggi, sono diversi i fattori che determinano l’impennata di arrivi, ma in ogni caso prevale comunque il fattore di spinta (push factor) rispetto al fattore di attrazione (pull factor), cioè sono le ragioni per cui fuggono che spingono queste persone a mettersi in mare non certo la possibilità – che non è certezza – di essere salvati.

Molti si chiedono “ma perché in Italia?” Perché non nei porti fisicamente più vicini?

La risposta è semplice: perché l’Italia è il porto più sicuro, perché chi fugge dalla Libia o dalla Tunisia non può tornare in Libia o in Tunisia. Intanto perché la Libia non ha ratificato la Convenzione di Ginevra sui Rifugiati, la guardia costiera del paese non risponde alle chiamate di soccorso e per questo la responsabilità del soccorso spetta a chi ha ricevuto la richiesta di aiuto, quindi all’Italia.  Inoltre “nei soccorsi in mare”, viene applicata la convenzione di Amburgo del 1979 secondo la quale il soccorso spetta al porto sicuro più vicino. “Porto sicuro” non è semplicemente un luogo che sia terraferma, ma sicuro anche e soprattutto per la garanzia dei diritti delle persone che si trovano in mare.  Quindi per le autorità italiane intervenire non è una scelta è un obbligo dettato dalle leggi internazionali. Perché se è illegale favorire l’immigrazione clandestina è altrettanto illegale non prestare soccorso in mare. Le ONG agiscono dove altri non arrivano e mai senza il via libera delle autorità competenti.

Questo è il motivo per cui le navi delle ONG Proactiva open arms, Medici senza frontiere, Sos Méditerranée, Moas, Save the Children, Jugend Rettet, Sea watch, Sea eye e Life boat si trovano anche vicino alle coste libiche perché è lì che serve la loro presenza allo scopo di salvare vite.

Ma viene mossa loro un’altra accusa: si fa riferimento alla distanza tra le imbarcazioni delle ONG che effettuano salvataggi in mare e la costa: “Perché quelle navi si trovavano così vicino alle coste? Perché a 12 miglia?”. Non si dice però che è lecito avvicinarsi fino a 12 miglia nautiche se serve per salvare vite umane. Medici Senza Frontiere, per esempio, dichiara che nel 2016 in cinque occasioni ha prestato soccorso a circa 11.5 miglia dalla costa dopo aver avuto l’ok delle autorità libiche.

E il governo italiano? Se guardiamo la politica interna, al di là della illazioni dei Pentastellati e le parole vuote e di circostanza del Partito Democratico, sembra che la questione migranti sia alquanto marginale e, rilevante solo, per obiettivi puramente elettorali.

Ma ci basta raccogliere informazioni e guardare i numeri per capire che se le ONG fossero spazzate via, se si interrompesse il sostegno economico privato, diminuirebbe sicuramente il numero di migranti che arriverebbero in Italia, ma non perché ne partirebbero di meno, perché morirebbero in mare, seppelliti nelle “nostre” acque.

Vediamo quindi questi numeri: nel 2016 su 178.415 migranti salvati nel Mediterraneo,

  • le ONG ne hanno salvati 46.796,
  • 875 sono stati salvati dalla Guardia Costiera,
  • 084 salvati dalla Marina Italiana,
  • 616 salvati da Frontex

(dati della Guardia Costiera Italiana).

Le ONG non si sono messe a fare un “servizio taxi” per i migranti (testualmente riportato dal Blog di 5 Stelle) di punto in bianco, ma riempiono un vuoto umanitario lasciato dalle istituzioni europee.

                                                                                                       

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