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In morte del socialismo europeo

16.09.2017, Articolo di Luciano Arciuolo (da “Fuori dalla Rete” – Agosto 2017, Anno XI, n.4)

in-morte-del-socialismo-europeoOra che i partiti che si richiamano al socialismo europeo cominciano a scimmiottare la destra  sull’immigrazione, anche l’ultimo muro è caduto. Esiste ancora un socialismo europeo, quello dei grandi partiti di massa che, negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, hanno fatto dell’Europa la patria dei diritti e dello stato sociale? La risposta è no, quei partiti non esistono più. Non solo sono ridotti a percentuali irrisorie, ma sono assolutamente incapaci di produrre risposte credibili e serie alle sfide del ventunesimo secolo. Non fanno che scimmiottare e inseguire la destra, con risultati peraltro ridicoli.

A testimoniare la loro crisi irreversibile può essere preso ad esempio l’olandese Dijsselbloem, commissario europeo in quota socialista, che qualche mese fa affermò che gli abitanti dei paesi del Sud Europa (Grecia, Italia, Spagna) non sono affidabili perché preferiscono spendere i loro soldi in donne e alcool (l’impagabile Romano Prodi gli rispose che forse parlava per invidia …). O il presidente francese Hollande, sotto la cui presidenza le frontiere di Ventimiglia sono state ermeticamente chiuse.

Il fatto è che, quando hanno governato, i partiti socialisti hanno realizzato politiche di destra e, naturalmente, peggio di come la destra stessa avrebbe fatto.

Invece della internazionalizzazione dei diritti hanno promosso la globalizzazione finanziaria, riuscendo a bypassare persino le raccomandazioni di OCSE e Fondo Monetario Internazionale sui rischi connessi alla finanziarizzazione dell’economia e alla indiscriminata circolazione dei capitali, capaci di mettere in discussione gli stessi sistemi democratici e di approfondire in maniera acuta le disuguaglianze sociali.

Hanno portato avanti politiche di privatizzazione selvaggia di interi pezzi dell’economia dei loro paesi, molto di più di quanto erano riusciti a fare  i governi di destra, con risultati a volte disastrosi (si pensi alle autostrade italiane).

Hanno realizzato forme di precarizzazione del lavoro come mai si erano viste, in Europa, senza per questo riuscire ad incidere in maniera significativa sull’aumento del numero degli occupati e creando, al contrario, intere generazioni di giovani senza futuro e senza alcuna possibilità di costruirselo che, se e quando lavorano, lo fanno per salari indecenti e ai limiti della sopravvivenza.

Una domanda viene allora spontanea: ma perché le persone, e soprattutto i giovani, dovrebbero votare questi partiti? Cosa li distingue da quelli di destra? Non avrebbe più senso la ricerca e la proposta di politiche, economiche e sociali, alternative a quelle classiche della destra liberista e che hanno prodotto la più grave crisi economica degli ultimi secoli?

A me pare che queste domande spieghino tanto anche delle ultime elezioni in grandi paesi occidentali. E spiegano  perché, in Italia, la parabola del renzismo ha imboccato una discesa senza ritorno.

O la sinistra è in grado di tornare a proporre una diversa visione del mondo, capace di dare diritti a chi non ne ha, di ridurre le disuguaglianze e di ridare dignità a chi lavora e a chi vuole lavorare, oppure il mondo occidentale è condannato a dover scegliere, in futuro, tra il fascismo più o meno mascherato e il liberismo fatto in casa alla Macron. In Italia, probabilmente, dovremo scegliere tra due pregiudicati, entrambi contrari alla legge contro l’apologia del fascismo …

In attesa che ci siano segnali in tal senso, e considerando che a sinistra l’alternativa a Renzi ha i “baffetti”, non sarà il caso di starsene in casa a leggere un buon libro?

                                                                                                       

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