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Scuola e disagio sociale: le prove invalsi

13.02.2018, Articolo di Luciano Arciuolo (da “Il Quotidiano del Sud”)

Studenti-1Gli esami di Stato delle Scuole Superiori prevedono giustamente le stesse tracce in tutta Italia: un diploma, per avere uguale valore, da Bolzano a Pantelleria, deve essere conseguito affrontando le stesse difficoltà. Ma la Scuola è, a sua volta, la stessa in tutta la penisola? Svolge la stessa missione, ha le stesse difficoltà e gli stessi mezzi, da Nord a Sud?

Per capirci: l’esplosione senza precedenti di violenza, a Napoli e in tutta la nostra regione, che coinvolge adolescenti e addirittura bambini chiama in causa, in qualche misura, la  responsabilità della Scuola? E una Scuola che assiste a questo spettacolo di morte, causata da ragazzini, quali priorità deve darsi? E dove deve prendere i fondi, per rispondere all’emergenza?

Pasolini affermava che l’unica strada che porta al prevalere della parola sulla violenza è la strada della cultura. Allora, sì, la cultura e quindi la Scuola c’entra eccome, nelle storie terribili di pestaggi e di morte.

Per capire come, partiamo dalle prove INVALSI, le famigerate, odiate, boicottate ma oramai imprescindibili (per la nostra classe politica) prove INVALSI.

Ebbene: se si sovrappongono la mappa che illustra i risultati di queste prove con la mappa del disagio sociale in Italia, si scopre che esse sono praticamente identiche. Dove le famiglie sono in difficoltà, dove la miseria e la delinquenza la fanno da padrone, dove lo Stato ha più difficoltà a farsi vedere e riconoscere, là gli alunni di tutti gli ordini di scuola ottengono i risultati INVALSI peggiori. E questo vale sia quando si osservano dati nazionali, sia quando si entra nello specifico delle varie zone. Nella città di  Napoli, ad esempio, i quartieri popolari e disagiati sono quelli dove si hanno i risultati più bassi. Ma una cosa analoga si può osservare guardando i dati  relativi a Roma o a Milano.

Non solo. Le mappe dei risultati delle prove standardizzate  sono sovrapponibili anche a quelle del tempo-scuola. Le classi a tempo pieno e a tempo prolungato sono, infatti, quasi il 50% del totale nel centro-nord, mentre in Campania esse superano di poco il 10%.

Una considerazione analoga si può fare, ad esempio, per l’abbandono scolastico. In Campania e Sicilia i ragazzi che abbandonano la Scuola sono il doppio di quelli che lo fanno al Nord o nel Centro Italia. Non a caso la nostra regione, prima per percentuale di abbandono dei banchi di scuola,  è ultima nei risultati forniti dall’INVALSI. Eppure, è giusto dirlo, molti docenti campani fanno i salti mortali per portare i ragazzi a scuola, sostituendosi spesso a famiglie praticamente inesistenti o, peggio ancora, che hanno una influenza completamente negativa sui loro figli (ma questa è una storia, interessantissima, che va raccontata in maniera più dettagliata).

Le prove standardizzate, insomma, evidenziano esattamente quello che Pasolini affermava. C’è bisogno di più cultura, di più scuola per vincere il disagio sociale e la violenza. Questo dicono le prove.

La domanda allora è: cosa si aspetta a investire  nel mantenere le scuole aperte il più possibile, soprattutto in certe realtà? Cosa si aspetta, alla luce delle emergenze attuali, a modificare i criteri di finanziamento voluti dalla Lega? Davvero qualcuno crede che 100 militari in più eviteranno che la violenza continui ad imperversare, nella nostra regione?

                                                                                                       

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