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Nucleare in Italia, Berlusconi: «Inizio lavori entro tre anni» 26/4/2010

10.01.2011, di Ernesto Di Mauro (articolo tratto da “Fuori dalla Rete”, anno IV n.1)

Con la Legge 23.07.2009 n. 99 e con il Decreto legislativo 15.02.2010 n. 31 l’Italia ha aperto la strada ad un nuovo programma nucleare: le norme emanate dal Parlamento definiscono nuove regole per la localizzazione, l’autorizzazione, la costruzione e l’esercizio degli impianti nucleari e per la sistemazione dei rifiuti radioattivi.

Questo nuovo programma nucleare, definito piuttosto “sbrigativo”, prevedeva inizialmente di assegnare a società private le centrali già presenti in Italia.

Tuttavia, parte dei decreti legislativi 2009-2010 sono stati oggetto di obiezioni da parte della Corte Costituzionale. Infatti, dapprima sono stati bocciati decreti della  legge del 23 luglio 2009, che sancivano la riapertura delle vecchie centrali; successivamente, è stato anche cancellato l’articolo 4, con il quale si proponeva il massiccio ricorso a capitali privati (secondo la legge originale lo stato avrebbe potuto nominare solo dei commissari straordinari per determinare l’ubicazione delle centrali e dei siti di stoccaggio delle scorie).

Le motivazioni di tale scelta sembrano importantissime: “Trattandosi di iniziative di rilievo strategico, ogni motivo d’urgenza dovrebbe comportare l’assunzione diretta, da parte dello Stato, della realizzazione delle opere medesime”.

Quindi, dopo un’impennata iniziale, la programmazione del ritorno al nucleare sembra subire una brusca frenata perché da un lato le vecchie centrali italiane non vertono in condizioni che consentono la riapertura (la più moderna, la centrale di Caorso, è stata realizzata con tecnologie vecchie di oltre 40 anni), d’altro canto non può considerarsi priva di pericoli la totale gestione privata del ciclo produttivo.

Ma perché nel 2010 un governo decide di avventurarsi nel nucleare?

In Italia la produzione di energia elettrica da fonti nucleari cominciò nei primi anni sessanta, allorché americani ed inglesi proposero al governo italiano la collaborazione per un piano nucleare. I reattori che furono realizzati erano innovativi rispetto a quelli già funzionanti in tutto il mondo tanto da poter essere considerarsi “prototipi” costruiti all’estero da americani ed inglesi per sperimentare altrove nuove filiere.

A quei tempi il consenso politico ed economico sull’uso dell’energia nucleare era dettato da due importanti motivi: in primis la speranza di usufruire di energia più economica rispetto alle fonti energetiche convenzionali; successivamente la necessità di diventare indipendenti da stati produttori di combustibili fossili (vedi l’effetto della crisi del petrolio del 1973 sulle politiche energetiche).

Oggi, alla luce di decenni di esperienza, siamo consapevoli che:

1) l’utilizzo del nucleare non rende indipendenti per la necessità di importare uranio dai paesi produttori. Anche lo stesso fabbisogno di energia elettrica, non potrà essere soddisfatto dal nucleare; ad esempio ogni inverno nazioni come la Francia (76% del fabbisogno energetico interno, con 59 reattori) sono costrette ad importare grandi quantità di energia elettrica dai paesi confinanti per sopperire alle proprie esigenze di picco. Ciò accade anche perché le riparazioni di una centrale sono estremamente lente e ciò riduce significativamente i tempi in cui queste sono operanti.

2) Analizzando l’aspetto economico ci si accorge che in passato l’energia ottenuta dalle 4 centrali italiane ha provveduto solamente al 3-4% annuo del fabbisogno nazionale. Questo scarso rendimento è stato il magro risultato di enormi finanziamenti, notevoli sforzi tecnologici nonché il rischio di tecnologie poco conosciute e pericolose.

Dopo l’entusiasmo iniziale, già dagli anni 80-90 il nucleare è stato definito un modo di produrre energia non conveniente.

Secondo diversi studi, l’energia nucleare è economicamente svantaggiosa in quanto gli enormi capitali necessari per la costruzione dell’impianto e la gestione completa del ciclo del combustibile, non possono essere compensati dalla produzione di energia. Il nobel Carlo Rubbia, intervistato da Repubblica: «Inutile insistere su una tecnologia che crea solo problemi e ha bisogno di troppo tempo per dare risultati».

Da vent’anni, infatti, nessun paese europeo ha pensato alla costruzione di nuove centrali nucleari (tranne la Finlandia) e tutti gli sforzi tecnologici sono volti a prolungare la vita dei reattori già presenti.

In tutto il mondo solo i paesi interessati da una incalzante crescita industriale (India, Cina) hanno provveduto a creare un’importante produzione nucleare. Ciò sembra essere la diretta conseguenza di ostacoli all’approvvigionamento di combustibili convenzionali, messi in atto da paesi industrializzati allo scopo di limitare la concorrenza asiatica.

Allo stato attuale le centrali nucleari nel mondo producono complessivamente 370 gigawatt, pari al 16% della produzione globale di energia. Si annoverano 440 reattori nucleari. I paesi che soddisfano il proprio fabbisogno energetico interno tramite l’energia nucleare sono i seguenti:

  • Francia 76% del fabbisogno energetico interno, con 59 reattori
  • USA 20% con 104 reattori
  • Gran Bretagna 22% con 23 reattori
  • Germania 33% con 18 reattori
  • Svezia 45% con 11 reattori
  • Spagna 33% con 9 reattori
  • Belgio 55% con 7 reattori
  • Rep. Ceca 33% con 6 reattori
  • Slovacchia 55% con 6 reattori
  • Svizzera 40% con 5 reattori
  • Finlandia 27% con 4 reattori
  • Giappone 30% con 53 reattori in generale:
  • Paesi dell’Europa dell’Est: 40-50% (le cui centrali nucleari obsolete identificano una pericolosa eredità del precedente regime sovietico)
  • Unione europea: 35%
  • Paesi OCSE: 25%

Nel conteggio dei costi economici devono essere presi in considerazione:

  • costi di costruzione della centrale nucleare – sono richiesti enormi capitali per realizzare una struttura molto complessa, vicina a corsi d’acqua a flusso costante, siti di stoccaggio a lungo termine, resistente ad ogni tipo di calamità naturale, attentati, etc..
  • costi di gestione – è necessario molto tempo per preparare personale specializzato
  • spese militari per la sicurezza – l’Italia ha 15 missioni militari in paesi ad alto rischio di terrorismo e le centrali saranno obbiettivi sensibili
  • costi di smantellamento della centrale
  • costi di stoccaggio delle scorie radioattive – il decadimento avviene in decine di migliaia di anni per questo molti considerano il costo inestimabile perché richiede una manutenzione estremamente lunga, un vero fardello per le prossime generazioni!!

Numerose inchieste, tuttavia, hanno evidenziato che ad oggi non si sono ancora trovate sufficienti risposte a problemi fondamentali come:

1.  rendere innocue le scorie e tutte le sostanze contaminate – non esiste al mondo un sito che risponda alle caratteristiche ideali. Es: in Germania si è dapprima proceduto allo stoccaggio in una miniera di potassa e, in pochi anni, il sito è stato infiltrato dall’acqua causando la dispersione irreversibile di radionuclidi fino alla contaminazione della falda sottostante! Il costo di tale imprevisto è stato ingentissimo, oltre ai miliardi già spesi per la realizzazione, ora ne sono richiesti molti altri per organizzare lo spostamento, lo stoccaggio provvisorio e molti si spenderanno per la realizzazione di un nuovo sito.

Non è sconcertante che il mondo scientifico fosse convinto che un sito durasse decine di migliaia di anni quando questo ha resistito meno di un decennio?

Nel nostro caso, abitando in un paese quasi interamente zona con elevata attività sismica (primato in Europa per questi fenomeni) e ad alto rischio idrogeologico non sarebbero nemmeno ipotizzabili stoccaggi di decine di migliaia di anni.

2.  costi dell’ uranio – una centrale nucleare “media” da 1000 MWe consuma all’anno di circa di 30 tonnellate di uranio arricchito, per averlo è necessaria l’estrazione di 6 milioni di tonnellate di roccia contenente il minerale, l’uso 1.050.000 tonnellate di acqua e l’uso di 16.500 tonnellate di acido solforico). Durante l’estrazione si liberano gas radioattivi quindi le miniere richiedono particolari misure di sicurezza (la particolare forma di cancro al polmone riscontrata nei minatori fa intendere che la contaminazione è, comunque, molto difficile da scongiurare).

La speculazione finanziaria, conseguente alla crescente domanda di uranio da parte dei paesi che si stanno affacciando al nucleare, ha portato ad un’impennata del prezzo; se fino agli anni ’90 il costo del combustibile incideva per il 5-7% sul totale dei costi riguardanti la produzione di energia nucleare oggi questo incide per circa il 40%.

3.  assenza di trasparenza e di conferme epidemiologiche sull’effettiva possibilità di scongiurare pericoli all’ambiente e alla salute – spesso, nelle zone limitrofe alle centrali, si possono riscontrare valori di radioattività superiori alla norma nonché l’incremento di tumori in età infantile.

Da paesi definiti “non democratici” non pervengono informazioni dell’attività nucleare, tanto che sono necessarie manovre di spionaggio per seguirne l’attività.

In Italia, la scelleratezza delle organizzazioni criminali si è spinta fino a nascondere rifiuti nucleari in paesi del terzo mondo e nel territorio nazionale (nel cemento di strade, argini, porti, nonché in navi affondate a poche miglia dalla costa). È triste ammettere che, ancora oggi, gli sforzi finalizzati a far chiarezza su queste vicende trovano, oltre ad ostacoli criminali anche freni politici e burocratici.

Se le ragioni del referendum potevano sembrare contestabili all’epoca (chiudere centrali parzialmente funzionanti, una da poco completata!) oggi sarebbe una follia pensare il contrario. Perché avviare costosissimi nuovi progetti se non si sanno ancora gestire i problemi creati in passato?

Tanta disorganizzazione eppure si annuncia l’inizio dei lavori, un vizio tutto italiano che contrasta in pieno la volontà popolare espressa, in modo deciso (oltre l’80% degli italiani), con il referendum abrogativo nel 1987 che “ha sancito l’abbandono, da parte dell’Italia, del nucleare come forma di approvvigionamento energetico”.

Sul nucleare oggi si punta con lo stesso spirito con cui siamo abituati ad affrontare una campagna elettorale: promesse impossibili, nessuna autocritica e poca trasparenza.

Promesse impossibili perché sarà impossibile avere un importante risparmio: Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente <<I politici oggi favorevoli al nucleare parlano sempre dei vantaggi che il nucleare porterebbe sui costi della bolletta. Bugia! Oggi già si conoscono gli aspetti su cui intervenire per abbassare la bolletta ma Enel Conti ha pubblicamente richiesto, nell’estate del 2009, “una soglia minima garantita” nelle tariffe di vendita dell’energia, per rassicurare gli investitori. Le bollette, quindi, non scenderanno sicuramente per effetto del nucleare perché il contributo sarebbe al massimo del 5%, i costi di produzione possono solo crescere e sono troppe le speculazioni sul mercato dell’energia>>.

Quando si parla di risparmio sui costi della bolletta si fa riferimento solo ai costi di produzione di energia nucleare (il costo dell’energia è sensibilmente più basso, ad oggi costa quasi la metà rispetto alle altre fonti), ma non si contano le spese che lo stato affronta per costruire e mantenere le centrali, nonché per assicurare uno stoccaggio delle scorie che resista per almeno 10000 anni!

Per il cittadino, quindi, si cela una meschina truffa: l’esiguo risparmio sulla bolletta si accompagna ad un inevitabile aggravio fiscale.

Nessuna autocritica perché non si è avuto nessuno scrupolo ad “annullare” l’importanza di un referendum popolare (sul quale non credo di aver letto “da consumarsi preferibilmente entro 20 anni”!!)

Poca trasparenza perché su temi come appalti di grandi opere, correttezza (e libertà) di informazione, gestione di rifiuti tossici/radioattivi, etc, chi viene a dirci che c’è la sufficiente trasparenza o è un cretino o è in profonda malafede.

                                                                                                       

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