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Paradossi tipici locali

09.06.2016, Articolo di Federico Lenzi (da “Fuori dalla Rete” – Maggio 2016, Anno X, n. 2)

Paradossi-tipici.localiSono tutti salvatori della patria e dell’agricoltura con i figli degli altri. E’ questo il messaggio di fondo colto monitorando per mesi i commenti sulla pagina “Facebook” dell’associazione, ma può questa tendenza di fondo spiegare il crollo demografico descritto nel numero passato?

Pensiamo alla ferrovia Avellino-Rocchetta: indubbiamente una lodevole battaglia animata da nobili propositi. Un esempio per tutti noi. Nonostante ciò, è nostra intenzione evidenziare come in un territorio dove la mobilità è gestita da autolinee su tracciati lunghi e fatiscenti (una situazione che molto richiama i paesi dell’America latina), la popolazione si sia mobilitata soltanto per questa battaglia. Si è avuta una mobilitazione per riavere un lento treno turistico, su un tracciato costruito più di un secolo fa e con stazioni lontane dai centri abitati. Viviamo un territorio privo di collegamenti ferroviari veloci: la sola “Ofantina-bis” non è sufficiente per le esigenze di mobilità irpine e su gran parte delle provinciali ci risparmiamo d’inveire ulteriormente. In questo disarmante scenario le autolinee in condizioni di quasi-monopolio diventano molto influenti, eppure di cosa si preoccupa l’Irpinia? Di un treno turistico su una ferrovia storica; ribadiamo è una lodevole iniziativa, ma come la mettiamo con la viabilità attuale? E’ l’ennesimo sintomo della malattia storica di una terra non in grado di affrontare le sfide del futuro e ripiegata sul passato. In fin dei conti è più facile affrontare le sfide dei nostri giorni o demonizzarle per ritornare in un idealistico passato? L’evidenza scientifica ci ha provato che non “era meglio quando si stava peggio”. Questo mantra è un contro senso anche nella lingua italiana, oltre ad evidenziare una palese scusante nel non affrontare i reali problemi. Sappiamo tutti quanto sia facile piangere sul latte versato o, meglio, sul brigantaggio represso. Come può la nostalgia di un casato ottocentesco risolvere i problemi economici e sociali della nostra terra?

In secondo luogo, dovremmo passare al modello di sviluppo “tutto e subito” propagandato da questo filone. Sagre, che quasi mai prendono il modello internazionale di fondazioni o fiere (pensiamo a “Vinitaly”), potranno mai risollevare un’economia? Oppure stiamo parlando di un ennesimo escamotage per “tirare avanti” un framework socio-economico fuori luogo? In questi anni la nostra provincia enumera maggiori finanziamenti sulle sagre, rispetto ad investimenti strutturali strategici. In questo modo si polverizzano i finanziamenti su tante piccole spinte campaniliste. Pertanto, stendiamoci un velo pietoso e procediamo nella nostra analisi.

Prendiamo in considerazione le proteste degli ultimi mesi contro le trivelle, l’eolico e l’inquinamento dei siti industriali. Come sempre quando in pericolo è la salute della cittadinanza sono lodevoli iniziative, ma dopo urli ed insulti qual era il progetto alternativo di sviluppo? Nulla, ecco come per un governo è facile far fallire un referendum dinanzi ad una massa scoordinata: incapace di assestarsi su un’ottica costruttiva. Dobbiamo pur sempre sottolineare la presenza di una piccola minoranza che nel tumulto generale ha provato a far prevalere la ragione, ma come poteva non annegare nel “salvinismo” dei nostri tempi? Per di più rivisitato in salsa irpina?

Un’alternativa la cultura dell’”era meglio quando si stava peggio” ce l’ha, ed è il mantra dell’agricoltura e tutta quella bella storiella del suolo natio abbandonato con ingratitudine. E’ un ossimoro vedere questa generazione intenta a vaneggiare i fasti del passato sulle tribune dei social, quando essa stessa ha abbandonato il settore anni or sono. Ricordiamo come in tutto il bacino Mediterraneo siano presenti colture a basso presso e come persino le colture estensive presenti in Italia siano basate sul caporalato. In aggiunta dall’altra parte del globo l’agricoltura si è meccanizzata su immense estensioni: gli aerei provvedono a gettare i trattamenti chimici. L’Irpinia vanta alcune eccellenze agro-alimentari, ma è un settore di qualità e qualità non fa rima con quantità. Il settore offre lauti margini di profitti, ma la competitività necessaria sul mercato impone dimensioni e tecnologie che restringono l’affare a poche famiglie. Basti pensare al sorpasso a inizio millennio della produzione castanicola cinese organizzata in imprese (di cui parlammo in un precedente articolo) su quella ancora a gestione familiare locale e guardare ai nuovi paesi dell’est Europa pronti ad aumentare la concorrenza. Quindi non neghiamo il grande potenziale economico del biologico, ma non si può confidare solo in esso per dar lavoro ad un intero territorio. Insomma, se l’agricoltura poteva essere la nuova industria di massa del XXI secolo come mai nessuno si lancia su questi facili (immaginari) profitti?

Il secondo cavallo di battaglia del movimento “era meglio quando si stava peggio” è il turismo. La mia generazione è cresciuta in una comunità dove si parlava, si parla e si parlerà di un turismo pronto a dare lavoro a tutti. Quindi l’importante è parlarne proprio bene prima di agire, nel frattempo un lavoretto si trova e dopo la soglia dei settanta una pensione sociale ci verrà comunque assegnata. Le aziende come le grandi istituzioni pubbliche internazionali hanno degli obiettivi da raggiungere entro una data prefissata, hanno delle strategie per farlo, hanno delle risorse per raggiungere lo scopo e hanno del personale per perseguirlo. Qui non si è mai capito verso cosa si andrà, chi lo farà, come, quando e perché? Ad esempio da qui al 2030 quali saranno gli obiettivi da raggiungere? Quando una strategia di fondo basata su un accordo bipartisan lascia il posto a interventi fini a se stessi, ecco servita la lunga serie di opere incompiute o inutilizzate del nostro meridione. Ogni paese irpino è per vocazione mistica il centro turistico del mondo, al punto tale che tra tutti questi galli a cantare le glorie delle proprie terre non è mai giunta l’alba di questo sviluppo turistico.

L’atteggiamento dell’Irpinia verso il futuro è simile a quello sul TTIP dell’opinione pubblica. Sappiamo tutti quali sono i vantaggi di mercati più estesi (non a caso UE, Usa e Germania sono nati per questo fine), eppure un atteggiamento intransigente mira a distruggere questi benefici. Ci si oppone a prescindere, negando persino la reale impossibilità burocratica di violare le garanzie presenti nei trattati europei. In aggiunta l’UE, dopo le recenti proteste, sta offrendo la possibilità di pubbliche negoziazioni. Nonostante ciò sappiamo tutti quanto sia più facile far terra bruciata, anziché negoziare. Questo alzare muri nella paura del “forestiero”, di ciò che è nuovo, si riscontra in modo più acuto in Irpinia. L’ atteggiamento in questione sta scavando ulteriormente il divario economico rispetto alle aree più sviluppate. La diffidenza e l’orgogliosa chiusura mentale della nostre comunità sono un ostacolo per lo sviluppo, nel 2016.

Paradossi-tipici.locali-2In fin dei conti non è più tempo neanche di aiuti pubblici, dal piano Giolitti ad oggi abbiamo avuto innumerevoli tentativi di forzare la crescita di queste aree. Qual è stato il risultato? Milioni bruciati in piani industriali fuori luogo o in opere faraoniche nel nulla. Su questi foraggiamenti si è radicato uno dei prodotti tipici nazionali per eccellenza, scoraggiando persino la parte sana dell’economia presente. Questi molteplici piani di aiuto hanno sopito gli “animal spirit” del nostro settore privato, oramai è più facile aspettare fondi piuttosto che assumersi il rischio di un investimento.

Al passaggio del “Giro d’Italia” erano molti gli operai senza stipendio da mesi a protestare. E’ difficile da ammettere, ma nella transizione economica in corso e in un sistema prosperato con la mano pubblica la disoccupazione è inevitabile. A questo punto sarebbe più opportuno creare le basi per quelli che saranno i settori del futuro:

-tecnologie: l’avvento del digitale in tutti gli oggetti della vita quotidiana;

-software: lo sviluppo di nuove applicazioni e piattaforme in un ambito che dall’informatica sfora nell’economia e nel sociale. (pensate ad “Airbnb”)

-robotica e automatizzazione;

-genetica: ad anni dalle scoperte nel settore stiamo ancora aspettando le applicazioni all’industria del mondo del dna.

-ecologia: in un mondo sempre più inquinato saranno necessari prodotti e servizi per invertire le dinamiche in atto, garantendo la salute pubblica.

-internazionalizzazione: oggi i mercati sono sempre più globali e con alcune decine d’euro si raggiunge qualsivoglia città del continente. Pensare a una comunità focalizzata esclusivamente (non stiamo proponendo una sua abolizione!) sul dialetto, significa continuare ad importare risorse dal mondo esportando poco.

Pertanto potenziare la popolazione con corsi di lingua, corsi di programmazione, corsi di formazione per figure professionali utili al territorio, incentivi alla formazione e investimenti nelle infrastrutture chiave possono dare grandi benefici. Pensiamo alla crescita endogena del modello di Solow, dove l’unica variabile in grado di garantire uno sviluppo permanente è il capitale umano. Eppure in Irpinia sembra che si faccia a gara a chi ne abbia di meno, anzi a chi ruba più legna. Il settore pubblico otterrebbe migliori risultati creando le basi per la crescita, rispetto ad investimenti diretti per natura molto complessi.

Non chiamatela “sindrome di Stoccolma”, ma alcune settimane fa l’”Economist” parlava dei cambiamenti occorsi nella capitale svedese durante gli ultimi anni. Si parlava d’investimenti a favore delle start-up innovative, d’investimenti nella fibra ottica e di una rete wi-fi già gratis per l’intera popolazione. Questi sforzi hanno fatto della città un laboratorio per le aziende tech del futuro, tra le tante start-up da oltre un miliardo di dollari basti ricordare “Spotify”. Essendo l’inglese già ampiamente diffuso e parlato dalla popolazione in ogni fascia d’età, ora è in programma l’introduzione di corsi di programmazione nelle scuole. Nel 2016 anche in Irpina siamo consapevoli dell’irreversibilità delle innovazioni tecnologiche in atto: i terminali e le applicazioni sviluppate da imprese nate in pochi anni e divenute leader mondiali fanno già parte nella nostra vita quotidiana. Ovviamente l’abuso o la mancanza di disciplina nel loro uso è un problema universalmente riconosciuto, ma come sopra esposto possono soprattutto essere fonte di sviluppo economico.

Prossimamente nell’area industriale di Bagnoli Irpino aprirà il nuovo stabilimento dell’”Acca software”, un’azienda affermata nell’economia digitale e su cui si puntano le speranze del paese. Naturalmente un’azienda da sola non riuscirà mai ad offrire lavoro all’intera comunità e un indotto non nascerà mai se il territorio non fornirà un’ambiente favorevole. Un ambiente favorevole è quello creato a Stoccolma negli anni passati, ma in Irpinia dove della tecnologia si riescono a vedere solo gli effetti negativi e dove le dinamiche migratorie lasciano una forza lavoro con poche qualifiche in attesa di essere assunta: siamo sicuri che realmente questa nuova impresa cambierà qualcosa? Oppure avremo un’ennesima frattura sociale tra quanti raggiungeranno l’indipendenza economica e la massa di coloro che inevitabilmente andrà avanti alla “giornata”? Una rondine non fa primavera e una sola azienda non fa un’economia.

In questo articolo abbiamo parlato della società irpina, ma abbiamo omesso una delle sue più portentose caratteristiche: non cambierà mai nulla, perché in fin dei conti nessuno avrà voglia di assumersi responsabilità e allora sarà facile trovare qualcuno a cui dare la colpa… e fornire un ulteriore spunto per la nostra lista dei “paradossi tipici locali”.

                                                                                                       

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