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“Un paese ci vuole …”

02.01.2013, Articolo di Aniello Chieffo, sindaco di Bagnoli (da “Fuori dalla Rete” – Dicembre 2012, Anno VI, n.5)

La ricerca di una soluzione all’attuale crisi socio-politica appare oggi quanto mai difficile e complicata, le previsioni di un crollo economico imminente sono state colpevolmente ignorate da una classe dirigente aliena a qualsiasi confronto, espressione di un sistema elettorale con “il pilota automatico inserito” che non prevede obbligo di rendiconto.

Soprattutto al Sud, come diciamo da tempo, vi è la necessità di un “disegno” nuovo che persegua la linea del rinnovamento e della discontinuità, che abbandoni una volta per tutte la vocazione autoreferenziale e si misuri davvero con la terribile contingenza economica e morale che avvolge la nazione. La rappresentanza politica deve essere selezionata attraverso le “proposte” e le “risposte” e non solo per la capacità o meno di esercitare un “potere” ormai non più legittimo e che appare ogni giorno di più come mera usurpazione di una delega solo abusata e non più restituita ad un cittadino smarrito e defraudato.

Un sistema che qui, al Sud, più che altrove, mostra evidenti limiti politici ed organizzativi che portano con sé il seme di un sostanziale immobilismo, causa di una paurosa perdita di fiducia che coinvolge le coscienze ed ogni altro riferimento morale. Il rimedio a tale condizione di insostenibile abuso non può essere solo le “primarie” ma una nuova legge elettorale che restituisca all’elettore il diritto di giudicare e di scegliere il proprio rappresentante al parlamento consentendo di escludere coloro i quali si siano dimostrati indegni della fiducia riposta, e ciò a prescindere dalle appartenenze.

Occorre, come si è detto in altre occasioni, “ricostruire i luoghi del confronto e delle decisioni, partecipare alla vita amministrativa, elaborare proposte condivise per praticare politiche pubbliche trasparenti ed efficaci” – tornare alla politica per riappropriarci del nostro destino.

Una svolta forte e dirompente per interrompere una inevitabile continuità e ritrovare le ragioni di un nuovo patto per l’Irpinia, su cui coinvolgere le giovani generazioni e con esse aprire una nuova stagione di impegno civile, e, quindi, ritrovare l’esigenza di nuovi traguardi per reggere il confronto con una emergenza straordinaria, quale quella attuale, che rischia di travolgere ogni riparo, persino il futuro dei nostri figli. Ma nel caos che ne deriva l’unico “elemento regolatore” che conosciamo è la “politica”, l’ultimo “strumento” con cui coltivare la “speranza” di modificare una condizione di disagio, e il sogno del domani.

Certo, dobbiamo pure dirlo, “non potremo più stare controvento ma dalla parte del cambiamento”. Non possiamo più restare avvinghiati al nostro “particolare” nascosti nel nostro egoismo, ma bisogna uscire “fuori” per partecipare e per “fare politica” perché il nostro impegno possa contribuire alla soluzione delle difficoltà di tutti, senza dimenticare che la nostra dedizione va riferita, prima di noi stessi, a chi vive nella disperazione di un domani senza certezze. Se saremo capaci di mettere a disposizione degli altri il nostro tempo, le nostre capacità e le nostre conoscenze potremo dire di aver dato un senso alla nostra storia personale e collettiva, la soluzione della crisi è rimessa unicamente alle nostre coscienze e non può che passare attraverso la “politica”, unico luogo di incontro del processo democratico.

A noi spetta il compito, attraverso l’esempio, di convincere la componente giovanile, parte essenziale di ogni proposta, ad assumere il comando delle operazioni, la guida politica delle scelte, noi che abbiamo subito la deriva di una politica non più guida ma ostacolo del cambiamento abbiamo il dovere di trasferire ai nostri giovani l’idea di una “politica” che sia luogo del pensiero e della proposta che sia l’elemento regolatore del divenire di una società liberale e progressista ove essi possano coltivare le loro aspirazioni e le proprie proposte.

Se restiamo ancora fermi ai nostri egoismi, il sogno di una società più giusta potrebbe dissolversi e con essa il destino di chi è dopo di noi. In questa prospettiva, il dovere di conservare il nostro straordinario territorio per trasferirlo intatto a chi dopo di noi, rappresenta la misura attraverso cui riscattare i nostri errori.

Convincersi del momento drammatico ma al tempo stesso del tempo delle scelte e del coraggio perché è in tale contesto che si creano le condizioni della risposta alla crisi.

La consapevolezza del disagio infonde forza alle idee del riscatto.

L’impegno, il lavoro, il senso del dovere costituiscono l’antidoto alla disperazione per un mondo che si dissolve. Questo è il tempo, adesso il cambiamento, la svolta, non possono più i nostri ragazzi delegare ad altri il loro destino, non possono più restare dietro la porta del presunto “politico di turno” ad aspettare l’osso di un lavoro che non c’è.

Noi!? Dobbiamo essere capaci di trasferire il sogno di un mondo migliore di quello che abbiamo avuto se non vogliamo fallire. Non si può guidare il governo delle cose pensando alla propria permanenza al comando ma guardando al futuro delle nuove generazioni, così l’insegnamento di uno dei Padri della Repubblica, Alcide De Gasperi.

Ritorneremo presto su queste pagine anche per ribadire e rendere il conto del nostro impegno per il paese, e per ripetere a noi stessi e ai nostri figli che, al di là di ogni incomprensione o disagio “un paese ci vuole …”:

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“Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”. (C. Pavese).

                                                                                                       

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