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Castagni

04.04.2013, Articolo di Ernesto Dell’Angelo (da “Fuori dalla Rete” – Marzo/Aprile 2013, Anno VII, n.2)

I cipressi che a Bolgheri alti e schietti / van da San Guido in duplice filar / quasi in corsa giganti giovinetti / mi balzarono incontro e mi guardar / ……….. . Questa poesia del Carducci, mi sovviene con puntuale automatismo ogni volta che, di ritorno da Potenza, appena giunto in località Fontigliano  si vedono i primi castagni, e  proprio come succedeva al Poeta, questi giganti  giovinetti sembrano balzarmi incontro, quasi a salutare il mio arrivo.

Già i castagni li vedo proprio così, come dei giganti giovinetti, una sorta di amici  più grandi che hanno accompagnato la mia infanzia come compagni di giochi e che come i cipressi del Carducci anch’ essi ricordano le mie sassate. Ricorderanno ancora, spero senza rancore, gli audaci duelli, ove da provetto spadaccino contro di essi mi scagliavo a levar fendenti con il mio bastone, o le temerarie arrampicate tra i loro rami a scovare nidi di uccelli, ed anche ahimè il muto dolore ad  essi inferto quando armato di coltello li rendevo monchi di qualche ramo, che da buon artiere trasformavo in lance o spade.

Immerso quasi totalmente per un mese (lu mesu r l castagn) in quello spazio agreste (lu castagnitu), tra caldarroste cotte sotto le felci, canti intonati dalle donne che venivano a giornate, l’agognato momento del pranzo in cui si apriva il “camiello”, la mia infanzia ha lasciato il passo alla giovinezza, e sempre quei giganti giovinetti “fedeli amici di un tempo lontano”, anche quando gli spensierati giochi da bambino hanno lasciato il passo alle pulsioni dell’adolescenza e poi al disincanto dell’età adulta mi sono rimasti sempre cari.

Ricordo mio nonno che da un angolo, con sguardo rapito e ammirato ispezionando il  castagneto che aveva ereditato dai suoi avi,  mi diceva in tono solenne “vendere mai”, quasi a rimarcare che questo fosse un elemento intrinseco alla sua famiglia quasi un  testimone da passare alle future generazioni.

Le attività connesse alla coltura del castagno erano diventate una sorta di scansione del tempo a Bagnoli: la piantumazione in gennaio-febbraio, la potatura in marzo-aprile, la falciatura e il  rastrellamento delle felci in agosto e settembre ed infine la raccolta e l’essiccazione della castagna in ottobre e novembre. Il laborioso lavoro di preparazione alla raccolta delle castagne, l’acre odore di felci bruciate che si spargeva nel paese, il brulicante transito di persone e veicoli all’alba, l’ostinata ricerca d’informazioni da parte dei “castagnari” sul “prezzo” delle castagne, e l’altrettanto ostinato cinismo con cui i commercianti lo tenevano nascosto, era ormai diventata una sorta di liturgia, un rituale intorno al quale si riconosceva una intera  comunità.

Il castagno con il suo legno pregiato, i suoi frutti prelibati che sapientemente il paese riesce a magnificare in occasione della rinomata “Sagra della Castagna”, credo sia l’elemento che più di ogni altro caratterizzi l’Irpinia e Bagnoli .  Ad esso dobbiamo molto, non solo riflessioni come le mie, intrise di nostalgico rimpianto di un mondo agreste che forse nei miei ricordi d’infanzia assume una dimensione quasi idilliaca, ma anche e soprattutto i rilevanti guadagni con i quali  produttori e commercianti mettevano in moto l’economia dell’intera comunità bagnolese.

Oggi i nostri castagni sono minacciati da un micidiale killer, il “Cinipide Galligeno del castagno”, un insetto che cagiona la formazione di galle sulla pianta ospite pregiudicandone notevolmente la produzione castanicola. Le galle così formatesi fanno seccare il germoglio, cosicchè la chioma dell’albero diventa spoglia di foglie e ricci, quasi un prologo ad una  futura morte della pianta.

Alla vista di quegli esseri sofferenti, maestosi e bonari,  che con i loro rami spogli e rinsecchiti sembravano implorare aiuto,  ad usar parole care al poeta,  “un affetto sconsolato mi preme”.    Quest’anno a corrermi incontro non ho trovato baldanzosi giganti giovinetti, ma bensì ”neri alberi stanchi che lasciando per terra esili ombre pigre“  fissandomi pareano dirmi non lasciateci morire.

                                                                                                       

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