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Dall’esperienza lucana al comitato “No Petrolio Alta Irpinia”: Oro nero o morte nera?

17.08.2012, Articolo di Federico Lenzi (da “Fuori dalla Rete” – Agosto 2012 – Anno VI, n.3)

Nella vita si arriva sempre ad un bivio in cui occorre prendere delle scelte radicali ed irreversibili che muteranno per sempre il nostro futuro, proprio in questi mesi l’Irpinia è chiamata a scegliere il suo destino, il futuro della sua gente, l’avvenire della propria prole. Il dilemma è di per sé molto scottante in questi tempi di crisi: scegliere un economia basata sul turismo e sui prodotti locali che da decenni stenta a decollare o buttarsi a capofitto nella temeraria avventura del petrolio che sul lato della medaglia colpito dal sole sembra mostrare tanto benessere, ma sull’altro.. Il destino chiama!

Già da qualche anno circolavano voci su un possibile interesse da parte di grandi multinazionali come Eni e Shell, tuttavia queste idee si erano infrante sull’imponente muro della burocrazia italiana. Eppure la “Italmin Exploration” una giovane azienda con vari permessi di sfruttamento e di ricerca (molti in sospeso) avendo fatto richiesta di carotaggi e estrazioni nel triangolo formato dalla provincia di Avellino, la Val d’Agri (Potenza) e dalla Val di Lauro (Salerno) il 18/07/02 ha ottenuto la concessione nell’ottobre 2010 per 69,85 Kmq in Irpinia ampliati il 25/02/11 a 696 kmq. Quest’area si tratta del cosidetto “Permesso Nusco” rilasciato dal Ministero Per Lo Sviluppo Economico e riguarda i comuni di: Lioni, S.Angelo dei Lombardi, Nusco, Bagnoli Irpino, Cassano, S.Mango sul Calore, Morra de Sanctis,Montemarano, Torella dei Lombardi, Luogosano, S.Angelo all’Esca, Guardia dei Lombardi, Paternopoli, Fontanarosa, Sturno, Gesualdo, Taurasi, Frigento, Mirabella Eclano, Venticano, Grottaminarda, Grottaminarda, Bonito, Villamaina, Flumeri, Castelbaronia, Carife, Vallata, San Sossio Baronia, Carife e alcuni comuni del beneventano. Il permesso di esplorazione scadrà il 21 ottobre 2016. Negli anni 50’ in queste zone si cercò il petrolio, basti ricordare i pozzi attualmente esistenti ma inattivi a S.Angelo dei Lombardi (il più profondo con ben 1360m), a Bisaccia, a Lacedonia, a Rocca San Felice, a Guardia e Montecalvo. Questi giacimenti vennero riesplorati negli anni 70’ ma riabbandonati dopo il sisma o per motivi strategici di matrice politico-economica o per l’esiguità dei giacimenti tale da non sopperire le spese di estrazione. Nel 1997 ricominciò la ricerca dell’oro nero, ma la Texaco bloccò le operazioni di carotaggio giudicando l’area pericolosa per l’ elevato rischio sismico. Al momento oltre alla Italmin aspirano al greggio irpino anche società inglesi e le solite Shell ed Eni. Legambiente è comunque tenuta a stilare un rapporto sui rischi e sull’inquinamento che causeranno futuri centri d’estrazione in questo paesaggio incontaminato, ma si sa in tempo di crisi economica molto spesso la natura passa in secondo piano.. Nella Val di Lauro dovrebbe essere aperto un sito di estrazione anche se la popolazione locale è alquanto ostile. In Val d’Agri si estrae petrolio da un decennio da ben trentanove pozzi con una produzione non ancora a pieno ritmo, ma che si aggira sui 90000 barili al giorno e procura introiti per ben 50/70 milioni alla regione da destinarsi allo sviluppo. Il petrolio lucano sopperisce al 6% del fabbisogno energetico nazionale, occupa 300 addetti Eni e 1400 persone nell’indotto (di cui solo 600 stabilmente). La retribuzione media di un addetto diplomato sulle piattaforme terrestri si aggira sui 3500 euro al mese ( quindici giorni di lavoro e quindici di riposo) per i giovani è di 4500 euro per gli operai esperti. Il problema principale è legato agli ottocento milioni incassati dalla ragione Basilicata in questi anni che non hanno creato sviluppo e nemmeno addetti competenti costringendo l’Eni a cercarli altrove; inoltre per qualità di vita la Lucania rimane sempre una delle regioni più arretrate non solo del Mezzogiorno. Secondo i petrolieri nella valle c’è un controllo dell’ambiente a dir poco cristallino, ma gli abitanti del posto negano di averne mai visti di controlli! Ciò che temono le popolazioni locali è il rilascio nell’ambiente di anidride solforosa e idrogeno solforato dai centri di estrazione e raffinazione. La Regione tuttavia sostiene le compagnie petrolifere negando la presenza d’inquinamento di alcun tipo, ma la responsabile dell’Osservatorio epimediologico lucano sostiene che l’incidenza di tumori maligni abbia avuto una forte impennata. Onde placare la popolazione le compagnie e la regione hanno concesso buoni carburante di cento euro a tutta la popolazione, comunque cifra irrisoria riguardo a quanto regalato alle popolazioni vicine ai pozzi di Alaska, Norvegia e persino dell’ Indonesia! In fin dei conti dopo quindici anni di estrazioni e carotaggi, avendo rinunciato a un economia basata sul turismo che dà ancora lavoro a cinquecento addetti, la Basilicata si ritrova nella miseria di sempre aspettando lo sviluppo promesso per gli anni venturi con l’arrivo di sei miliardi d’investimenti; nel frattempo uno strano aumento dei tumori continua a mietere vittime.

In Irpinia per scongiurare uno scenario simile a quello della Lucania è nato un comitato spontaneo apartitico ed apolitico, sul modello di quello sorto in Val di Lauro, denominato “No Petrolio Alta Irpinia” che sta riscuotendo varie adesioni grazie ai social-network ed è sostenuto ufficialmente solo dal comune di Bagnoli Irpino. Il giorno 30/06/12 ha organizzato a Nusco una manifestazione a scopo divulgativo. Nel convegno si è mostrato come in un piccolo paese si possa raggiungere l’autosufficienza con il fotovoltaico e guadagnare al contempo 2.883.189 euro in venti anni. Molti contadini saranno sfrattati in cambio di compensi irrisori dato la grandezza dell’area concessa all’Italmin.  Alcuni docenti universitari hanno mostrato con vari documenti e presentazioni come l’estrazione e la lavorazione del petrolio causi il rilascio di sostanze tossiche, pertanto in California le compagnie petrolifere sono tenute a rilasciare un comunicato ogni sei mesi in cui dichiarano ufficialmente che il loro operato causa tumori, malformazioni e problemi all’apparato riproduttivo. L’idrogeno solforato rilasciato nelle fiamme che svettano sugli impianti causa malattie respiratorie, circolatorie, visive e alla pelle. Benzene, mercurio, cadmio, cromo e tante altre sostanze usate nella raffinazione sono dannose e/o cancerogene. In caso di rilascio di greggio o di sostanze usate nella lavorazione l’impatto sull’ambiente sarebbe catastrofico specie se entrassero a contatto con le falde acquifere. A proposito di falde acquifere bisogna precisare che l’Irpinia è un territorio in cui abbondano ingenti giacimenti e la vendita di acqua potabile a regioni soggette a siccità mediante acquedotti efficienti renderebbe circa novanta milioni l’anno, ma i pozzi petroliferi metterebbero certamente a repentaglio le falde. Essendo questa una zona ad alto rischio sismico in caso di sciagura gli stabilimenti andrebbero distrutti causando scenari apocalittici e inquinamento per secoli se non migliaia di anni. Al termine del convegno è intervenuto il sindaco di Nusco lamentandosi del fatto che i comuni non siano stati interpellati dalle società petrolifere e proponendo l’ipotesi di un referendum popolare riguardo questa delicatissima questione.

E’ un diritto dovere di ogni irpino prendere atto di questa situazione e scegliere da che parte stare difendendo gli interessi e la salute della propria terra, dei propri cari e di se stesso. Non è tutto oro ciò che luccica, non si può vendere l’anima all’oro nero per un miraggio promesso da petrolieri che di certo mai verranno a vivere nei territori che deturperanno. Nessuno dà nulla in cambio di nulla, se questi impianti non arrecano nessun problema alla popolazione locale perché donare buoni carburante e fondi per opere pubbliche? E come mai negli Usa, prima potenza mondiale, le compagnie petrolifere si ritengono responsabili di tumori e malattie varie, mentre le nostre si reputano innocue? Si sa, l’Italia è paese di santi, poeti e navigatori; ed i nostri petrolieri appartengono alla prima categoria grazie alle loro miracolose raffinerie.

                                                                                                       

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