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Caccia al petrolio in Irpinia, sindaci mobilitati

16.11.2012, Ottopagine (di Christian Masiello)

Decine di Consigli in vista per dire no.

Mentre il Comune di Gesualdo lavora alacremente alla redazione delle osservazioni con le quali sottrarrà il proprio territorio alla richiesta di perforazioni esplorative, intorno alla joint venture Italmin-Cogeid il territorio tenta di fare terra bruciata. Perfino i sindaci dichiaratisi possibilisti fino a pochi giorni fa, a cominciare dal primo cittadino di Nusco (che attraverso l’emittente locale Primativvù ha chiarito ieri la propria posizione a riguardo), iniziano a coltivare l’idea di deliberare un’opposizione formale alle ricerche di idrocarburi.

E mentre la stessa Nusco, Guardia ed altri centri irpini ricadenti nel perimetro di interesse petrolifero sono oggetto di un programma (al momento solo teorico, vedi servizi nella pagina accanto) per lo sfruttamento delle acque incandescenti presenti nel sottosuolo della Mefite, di San Teodoro e nelle viscere del Forcuso (per la produzione geotermica di energia elettrica), si fa strada nelle amministrazioni locali la consapevolezza del rischio che i territori oggi stanno correndo.

I sindaci cominciano a guardare al di là dell’interesse visibile rappresentato dalle società di analisi e ricerca. La joint venture è impegnata dal 2010 nello studio e nella esplorazione di ciò che si trova sotto la superficie, a diversi chilometri di profondità, dove Alta Irpinia, Ufita, Sannio e Basilicata costituiscono un interdipendente e magmatico insieme. Poco importa se i pozzi saranno scavati a Gesualdo, piuttosto che a Nusco, le trivellazioni attingerebbero al mare magnum di un giacimento che non rispetterebbe nel sottosuolo i confini amministrativi stabiliti in superficie.

L’intero territorio sarebbe coinvolto, capiscono tanti amministratori locali. E?nel caso di una effettiva individuazione di giacimenti petroliferi, una volta accertata una o più falde di sufficiente consistenza, verso l’Irpinia si farebbero strada i colossi minerari internazionali, che oggi assediano la Regione Basilicata, per ottenere le concessioni congelate dalla moratoria imposta dal governatore De?Filippo. Accanto all’Eni e alla Shell, attivissime nel?Mezzogiorno (tra Sannio, Basilicata e Cilento), la Total, la Exxon ed altri operatori potrebbero contendersi il sottosuolo dell’Alta Irpinia e dell’Ufita oggi, ma in prospettiva, come ipotizzato da Legambiente in una intervista rilasciata ad Ottopagine dal referente regionale di Calitri Di?Maio, del Formicoso, del Calaggio e dell’Alto Ofanto, zone tanto estese quanto poco densamente abitate, esposte a rischi ambientali pari a quelli che negli ultimi ottanta anni ha sperimentato la Val d’Agri, il più grande giacimento europeo di petrolio e gas.

In queste ore, di fronte alle cifre offerte dal dibattito consiliare di Gesualdo (un pozzo di duemila metri da scavare solo per una esplorazione, con quaranta giorni di lavorazioni continuative, salvo nuovi interventi in caso di esito positivo delle ricerche), i sindaci stanno valutando il vero interesse delle rispettive comunità. La fame di sviluppo economico e lavoro, in una provincia che si segnala per la propensione alla green economy, l’agricoltura multifunzionale e grandi potenzialità turistiche, oltre all’abbondanza di risorse naturali, difficilmente sarà placata dalle trivelle, pensano in molti in questo momento.

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06.11.2012, Ottopagine (di Christian Masiello)

Irpinia:«Petrolio contro la crisi…», sindaci divisi sui “bonus”

La ‘fame di lavoro’ fa vacillare le amministrazioni. Così cambieranno i ‘permessi’

Fa leva sulle prospettive di nuova occupazione ed investimenti di accompagnamento la campagna del governo a favore di una massiccia ripresa delle estrazioni petrolifere in Italia, che dal 2010 interessa anche l’Irpinia e il Sannio. Mentre a Nusco si attende il via libera della Regione alla perforazione esplorativa dell’Alta Irpinia da parte di una joint-venture, che ha individuato un sito strategico nei pressi di Gesualdo, ad Ariano le ricerche potrebbero iniziare a breve. E i sindaci, da sempre riottosi, ora esitano a dire no.

A meno di un semestre dalla fine della Legislatura, il governo accelera su quello che ritiene il settore decisivo per rilanciare la crescita e lo sviluppo del Paese, tagliando nel contempo (con la spesa per gli approvvigionamenti) l’esposizione debitoria nazionale. Il Ministro per lo Sviluppo Economico punta a rendere operativa la sua ‘Strategia Energetica Nazionale’ entro il 2013, finalizzata a raggiungere gli obiettivi stabiliti dall’Unione Europea (il cosiddetto 20-20-20 entro il 2020), ma giocando sulla riduzione degli idrocarburi imposta da Bruxelles (un taglio progressivo del 20 per cento entro otto anni) una partita economica interna. Diminuendo nel mix delle fonti l’apporto di greggio e gas entro i limiti stabiliti dai trattati, prevede una ulteriore riduzione del consumo di idrocarburi acquistati sul mercato internazionale in misura superiore a quella imposta da Bruxelles, a vantaggio di un maggiore impiego del petrolio italiano. Capitalizzando le riserve che gli esperti stimano siano presenti nel sottosuolo nazionale (700 milioni di ‘tonnellate equivalenti di petrolio’, in gran parte nel Mezzogiorno peraltro), si mira ad acquistare il 20 per cento in meno di energia da fonti fossili, compensando con gas e olio italiani. Questo sarà possibile, sostiene il governo, se si saprà e potrà attingere alle riserve nazionali, oggi utilizzate per il 10 per cento dei giacimenti accertati, ma addirittura per un sessantesimo di quanto gli esperti calcolano sia effettivamente estraibile nelle viscere del Belpaese.

Passera si propone di alleggerire la spesa energetica nazionale, ridisegnando il mix delle fonti a svantaggio delle importazioni di gas e greggio, facendo leva su riserve destinate a non esaurirsi, perché disponibili in abbondanza rispetto all’attuale consumo annuale interno di olio e gas. Secondo le tabelle fornite, raddoppiando la produzione l’Italia estrarrebbe a pieno ritmo per circa trent’anni, lasso temporale ritenuto congruo perché nel frattempo ‘green e white economy’ (rinnovabili e risparmio energetico) giungano a guarire la dipendenza dalle fonti fossili del Paese, a vantaggio delle fonti pulite. Tutto questo, osservano ambientalisti e analisti, sul piano economico offre l’opportunità di mettere in moto investimenti, favorendo occasioni di crescita, ma presenta un conto ambientale da pagare su territori tradizionalmente coltivati, ricche di risorse naturali, in particolare di falde acquifere e vocazioni turistiche. Il programma di riorganizzazione delle fonti energetiche, osservano in particolare le organizzazioni ecologiste, deve fare i conti con l’impatto che le trivelle e, soprattutto l’olio derivato dalle profondità del sottosuolo, avrà sull’ecosistema.

Nell’Alta Irpinia e nell’Ufita, zone oggetto di forti interessi da parte delle compagnie nazionali e internazionali, come Ottopagine sta documentando quotidianamente, questo scotto è stato già segnalato dai sindaci di Luogosano nel 2008 e di Bagnoli nel 2012, che si sono opposti anche alle sole ricerche preliminari. Ma molti altri restano alla finestra, in attesa della conferenza dei servizi sulle perforazioni esplorative. Tuttavia anche le prerogative di opposizione degli enti locali potrebbero essere soggette a limitazioni (dai prossimi mesi…).

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30.10.2012, Ottopagine (di Christian Masiello)

Trivellazioni in Irpinia … rischio Val d’Agri: nessun beneficio economico e danni rilevanti

In Basilicata è attivo un giacimento di 39 pozzi petroliferi, che ogni giorno assicura all’Italia 90mila barili di greggio e 3,5 milioni di metri cubi di gas, contribuendo per l’80 per cento alla produzione energetica nazionale. Il problema del Ministro per lo Sviluppo Passera, convinto assertore della cosiddetta old-economy, cioé di uno sviluppo industriale ed economico basato sull’energia prodotta da fonti fossili, è quantitativo. La Basilicata è ancora lontana dagli accordi del ‘98 che imponevano alla Val d’Agri l’estrazione di 130mila barili al giorno.

L’intera produzione attuale di quei giacimenti copre solo il 6 per cento dei consumi nel Belpaese. E allora, non solo Passera chiede al territorio nazionale, prevalentemente al Sud (oltre a Basilicata e Sicilia), di raddoppiare la percentuale di greggio estratta oggi (che globalmente vale il 10 per cento del fabbisogno), ma il ministro punta anche ad aumentare di conseguenza il gettito che dagli idrocarburi tricolori arriva nlle casse centrali statali, cristallizzando l’attuale modello in vigore in Basilicata. A due passi dal confine con l’Irpinia, il giacimento su terra ferma più grande d’Europa garantisce (secondo le stime) allo Stato il 60 per cento dei proventi complessivi raccolti dalla piattaforma petrolifera, a fronte dei quali il governo riconosce al sistema degli enti locali circa un sesto delle risorse finanziarie introitate.

Mentre le organizzazioni sindacali lamentano lo scarso impatto sull’occupazione locale, accusando Eni e gli altri operatori di fare ricorso spesso a manodopera non locale (ed in misura peraltro contenuta, anche tenendo presente l’indotto), la stessa giunta regionale della Basilicata per ora frena sulle nuove concessioni, in attesa di capire se le aperture giunte dal governo (evidentemente per spianare la strada sui permessi di nuove perforazioni) si trasformerà in royalties tangibili. Per ora i frutti derivanti dall’estrazione e dalla commercializzazione della risorsa naturale di origine fossile nella sostanza sono appannaggio dell’erario e delle compagnie petrolifere, mentre ai Comuni e alla Regione restano i problemi ambientali da gestire, spesso reinvestendo in opere di risanamento quel poco che le casse pubbliche locali racimolano dalle royalties. Su questo lo scontro tra Basilicata e governo è in corso al più alto livello.

A scatenarlo è stata la moratoria imposta dalla Giunta regionale della Basilicata, impugnata all’inizio di questo mese dal governo davanti alla Consulta, su richiesta del ministro per lo Sviluppo Economico, che accusa l’esecutivo De Filippo di ostacolare il piano nazionale per l’energia (che prevede l’aumento della produzione petrolifera nazionale fino al 20 per cento della domanda, nuovi metanodotti, col taglio agli incentivi sulle rinnovabili e una semplificazione amministrativa per le perforazioni petrolifere). La Basilicata ha bloccato l’istanza di permesso di ricerca a Grotta del Salice (della Shell) e a Frusci (dell’Eni). A fronte del 6 per cento del fabbisogno nazionale garantito extra-importazioni, la Basilicata incassa per ora solo un centinaio di milioni di euro di royalties all’anno, poche centinaia di posti di lavoro ed un indotto considerato modesto, se paragonato all’impatto ambientale.

La partita in corso tra il governatore De Filippo e il governo è sui numeri. La Basilicata vuol dire la sua nei contratti e ottenere garanzie scritte circa le promesse fatte dal ministro nei mesi scorsi (cioé 6 miliardi di euro in vent’anni). L’esempio della Val d’Agri, non lontano dai confini irpini, offre spunti di riflessione alle istituzioni e alle forze sociali in provincia di Avellino, oltre che ai cittadini oggi preda delle conseguenze di una crisi economica senza precedenti. Al bivio tra lo sviluppo della green economy (che vede qui eccellenze nazionali come Bisaccia e Lacedonia) e il ripiego sullo sfruttamento delle fonti tradizionali fossili, l’Irpinia si troverà a dover scegliere la strada da percorrere (e in fretta…).

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«L’Irpinia non finisca come la Basilicata…» Sindaci già mobilitati

di Elisa Forte

Gli amministratori locali temono che le future trattative tra compagnie petrolifere e territorio possano giocarsi su tavoli separati, cioé al di fuori di un cartello unitario degli enti locali. Il caso di Gesualdo, il primo Comune ad essere interessato dalle richieste di perforazioni esplorative (atti depositati alla Regione, attraverso la Provincia) mentre gli altri sindaci erano all’oscuro di tutto, preoccupa soprattutto in Alta Irpinia, dove le esplorazioni per mezzo di carotaggi sono attese all’inizio dell’anno. Nonostante la notizia dei primi sondaggi nel Comune di Gesualdo, definito dal sindaco di Nusco Giuseppe De Mita “non centrale” nel perimetro di ‘ricerca a terra’ concesso dal Mise, i sindaci rafforzano l’idea di aprire un canale informativo ad uso della pubblica opinione per fare chiarezza, in particolare sullo scenario che si aprirebbe in caso di trivellazioni. L’esempio che sarà approfondito nelle prossime settimane è quello della Val d’Agri (vedi servizio a lato). “Il petrolio rappresenta una potenziale risorsa, ma bisogna evitare la colonizzazione delle grandi compagnie”, è la metrica adottata dal comitato di sindaci, pronti a compattarsi e a esprimere un’univoca strategia difensiva. A commentare i passi recenti compiuti dagli amministratori in tal senso, il sindaco Giuseppe De Mita, rappresentante di un Comune “cuore” dell’area individuata per le ricerche, fortemente preoccupato per l’atteggiamento tenuto dai Comuni della valle dell’Ufita inclusi nel perimetro delle ricerche, finora assenti nelle assemblee pubbliche organizzate sull’argomento. “La posizione di Gesualdo non ci è piaciuta, per due motivazioni: la prima è che il Comune ha disertato l’ invito a Nusco, e poi perché ha evitato comunicazioni con il fronte altirpino” spiega De Mita. “Per quanto ci riguarda, è iniziata la mobilitazione fra i sindaci e la verifica dell’individuazione di altri siti, oltre a Gesualdo. Così come è stato interpellato anche l’assessore provinciale all’ambiente Domenico Gambacorta, che ha confermato la sinergia con i sindaci, smorzando i timori di un’accelerazione nelle trivellazioni”. Resta molto probabile il deposito di ulteriori richieste di perforazione nel bacino autorizzato dal governo. “L’organizzazione di un convegno informativo in questo momento è necessaria per sgomberare il campo da equivoci e imprecisioni”, aggiunge De Mita. “Non possono arrivare da noi e fare ciò che vogliono, mi riferisco a compagnie e operatori, ma nemmeno noi possiamo restare a guardare”. Per il sindaco di Nusco gli enti locali hanno la responsabilità di tenere unito il territorio in vista di una trattativa difficile e complessa. “Questa è la scelta più importante a cui è chiamato il comprensorio, e se gestita bene ci porterà dei vantaggi, altrimenti ci consegnerà alla situazione della Basilicata, dove quel poco che viene introitato serve a risanare l’ impatto ambientale”. Tra il polo turistico, le risorse naturali, l’agricoltura e una industria manifatturiera da difendere, spiega De Mita, un “petrolio non gestito” oggi potrebbe mettere in discussione dalle fondamenta l’identità dell’intera provincia.

L A TRACCIA

                                                                                                       

1 Commento »

  • mimmobattista scrive:

    Spero proprio che tutto questo non accada.Lo spero soprattutto per i mie figli e per tutti coloro che a questa terra D’Irpinia tengono e amano.
    In nome di questo dannato progresso c’è il rischio che si commettano degli errori ai quali sarà poi difficile rimediare.
    Ma si andiamo al Sud, in Irpinia, facciamo un po di buchi qua e la, chi se ne frega basta che facciamo quadrare un po di conti,l’importante è riempire di soldi le casse dello Stato e le tasche dei petrolieri.
    Possiamo stare tranquilli che è quello che succederà,di sicuro non porteranno lavoro, la benzina costerà uguale e cosa ancora più sicura ci porteranno morte e distruzione.Qualcuno potrà dire si ma tanto che cambia lo stanno già facendo a pochi chilometri da noi. Appunto e se ne vedono i risultati,persone che si ammalano, animali che muoiono e falde acquifere inquinate. Prego Dio che illumini le menti dei Sindaci Irpini,che siano tutti uniti a non permettere lo scempio di questa nostra amata terra.

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