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Dalla raccolta delle castagne all’arrivo della vernata

08.10.2013, Articolo di Aniello Russo (da “Il Corriere”)

Ottobre, il mese delle castagne.

L’antico nome del mese di ottobre, il decimo fratello dell’anno, in dialetto bagnolese era attrùfu. Con tale termine si indicava il tempo in cui, completata la raccolta delle castagne, il contadino interrompeva i lavori nei campi e si preparava al lungo riposo invernale. Il vocabolo diffuso in Alta Irpinia e nel Cilento, ha conservato il nesso osco sannitico -fr-, ricusando il nesso latino -br- (attrufru, invece di octobrem).

La leggenda delle castagne

L’Irpinia con ottobre realizza la raccolta di tre frutti assai rinomati sia per la quantità sia per la qualità: l’uva, la castagna e la nocciola. Avellino trae origine dal nome latino della nocciola: nux Avellana; meno certa è l’origine del nome Bagnoli, nel cui territorio si produce una delle migliori qualità di castagna, dal greco bàlanos, che significa appunto castagna. Negli anni Cinquanta la castagna del comprensorio del Termino-Cervialto fu scelta dall’industria Motta per i suoi marrons glacés, dopo un’attenta selezione di tutte le qualità prodotte in Italia. E la castagna è stato il nutrimento base nell’alimentazione degli irpini:

Cu castagne e patanieddi
criscìmu creatùre e purciéddi.

Così un detto bagnolese. Sulla castagna, frutto dei nostri boschi, un tempo correva questa leggenda.

Anticamente gli uomini che abitavano l’Irpinia non sapevano come nutrirsi: quello che trovavano, bacche more porcini, lo portavano alla bocca, proprio come fanno i bambini. Una volta un uomo di quei tempi, nell’addentrarsi nei boschi in cerca di funghi, notò al suolo i ricci delle castagne e ne raccolse uno; ma nello stringerlo nel pugno fu punto dagli aculei e lo gettò via, ignorando la bontà del frutto che c’è nell’involucro spinoso. D’inverno gli uomini pativano la fame e i piccoli rischiavano di morire, sicché il Padreterno decise di scendere sulla terra travestito da viandante; si presentò alla nostra gente, aprì un riccio e ne mostrò il frutto. Indicò pure il modo di conservarlo fresco, interrandolo nella stessa terra di castagno; infine, perché mangiandola tutti i giorni la castagna non venisse a noia, insegnò pure i tanti modi con cui può essere cotta. Prima di andare via, chiese ai contadini di interrompere la raccolta a partire dal giorno dei Morti, per consentire ai poveri di farsi una provvista per il lungo inverno.

Il clima del mese

Secondo l’immaginario collettivo il mese ha ben tre nodi di tempesta o di freddo, che cadono nei giorni contenenti il numero sette: lunedì 7, giovedì 17, domenica 27; il numero sette rivela la sua sacralità nelle operazioni di magia. Nella giornata del ventisette in genere si verifica un calo della temperatura che prepara la caduta della prima neve: A San Simone e Giura, la nev’è già ngimm’a re mmura; cioè, il 28 di ottobre, la neve cade ma non attecchisce ancora al suolo.

Con il 4 ottobre, detto lo sparti-stagione. finiva l’estate e cominciava l’invernata (Anna Russo):

A l’arrivu r’ San Francisu
funisce re ccàvuru e accummènza re ffriscu.

Se dal quattro ottobre il freddo comincia a farsi sentire, dal giorno ventidue, con San Donato l’inverno è già bello e cominciato: A Santu Runàtu // viernu è già natu (Giuseppe Chieffo).

La semina del frumento era generalmente effettuate sotto lo sguardo di S. Francesco. Il contadino devoto accompagnava l’operazione della semina ripetendo tre volte (fonte: Giulia Ciletti):

P’ l’amore r’ S. Franciscu,
o pigli o sicchi! (Per amore di San Francesco o attecchisci o secchi!)”.

Ricorrenze festive

Con la fine della buona stagione diminuiscono sensibilmente le ricorrenze festive. In ottobre cadono le festività di due santi, San Francesco d’Assisi (venerdì 4), e San Gerardo Maiella (mercoledì 16), che in un modo o nell’altro hanno amato l’Irpinia. San Francesco venne con alcuni discepoli a fondare un suo convento a Folloni, nella pianura ai confini tra Nusco, Montella e Bagnoli. San Gerardo appartenne all’ordine monastico di Materdomini di Caposele, dove spirò appunto il 16 di ottobre. Il Santuario è stato meta di milioni di pellegrini provenienti da ogni parte del Meridione. Come la prima domenica di settembre, pure in questo mese, nella giornata di mercoledì sedici, anniversario della morte del Santo dei poveri, si realizzava il pellegrinaggio: gruppi di devoti, con in testa la piccola nicchia partivano a piedi alla volta di Caposele. Chi era più distante partiva il giorno prima e pernottava nell’Albergo del Pellegrino.

Il convento francescano di Folloni è stato per secoli un centro di grande cultura religiosa, soprattutto nell’Alta Valle del Calore. Per scongiurare il Nemico di Dio che insidia ogni creatura, si invocava San Francesco con questa preghiera (Concetta Cipriano):

San Franciscu, mònucu r’ Cristu,
mittet’a llatu e nun t’addurmìsci:
si lu Nimìcu me ven’a ttentà,
san Franciscu me pozz’aiutà.

                                                                                                       

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