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L’Irpinia e la scomparsa del focolare domestico

08.12.2013, Articolo di Aniello Russo

Sono trascorsi solo pochi decenni da quando l’antica civiltà agro-pastorale ha ceduto il posto alla civiltà industriale, e sembrano già mille anni. L’elemento più rappresentativo di quella civiltà era il focolare domestico; scomparso da tempo dalle nostre case, il focolare sopravvive ormai nella memoria di pochi anziani. E soltanto pochi sono rimasti a sentirne la mancanza, non senza rimpianto. 

Nello stesso tempo si è passati dalla famiglia patriarcale, che era pluricellulare, a quella odierna, che è monocellulare. A sua volta la famiglia monocellulare ha subito una contrazione dei suoi componenti, passando da una famiglia mediamente composta da due genitori e quattro figli (ne erano prova la batteria dei piatti di sei pezzi, la serie dei tovaglioli di sei elementi, il corredo della sposa composto di sei pezzi o di un multiplo di sei), a una famiglia mediamente formata da tre persone: padre, madre e un solo figlio.

Scomparso il focolare, perduto un elemento essenziale della sua unità, la casa ha subito un danno come dall’abbattimento delle fondamenta di un edificio millenario. È come se dal corpo di un individuo sia stato estirpato un organo essenziale, quale il cuore, che pulsando sempre gli permette di continuare a vivere.

Per essere più chiaro soprattutto con le nuove generazioni che non hanno conosciuto il calore umano del focolare, occorre ricordare che attorno a esso si raccoglievano i componenti dell’intera famiglia patriarcale (i nonni, i figli ammogliati e i nipoti), attorno a esso pulsava la vita della casa, attorno a esso si vivevano insieme tutte le emozioni dal primo vagito di una nuova vita all’ultimo respiro del vecchio che aveva concluso il suo ciclo vitale.

La vita in comune

Con il fenomeno dell’urbanizzazione aveva avuto inizio l’abbandono del microcosmo sociale che era stata per secoli la famiglia. In Irpinia ha dato una spinta definitiva alla fine della sacralità del focolare l’evento traumatico del terremoto del 1980, il quale ha disperso le famiglie strappandole dal loro focolare.

Nella società contadina tradizionale l’individuo non aveva né spazio né valore alcuno, ma aveva la sua ragione d’essere nella comunità a cui apparteneva. Però, fuori dal recinto della comunità, costituita in casale o in villaggio, l’individuo non aveva possibilità di sopravvivere. All’interno della stessa collettività, chiunque trasgrediva dalle norme del vivere collettivo era considerato alla stregua di un estraneo; e la diversità era ritenuta una forma di demenza o di bizzarria o di pazzia, e in questo caso tollerata nel seno della comunità.

Quando nel corso della storia si dilata lo spazio della vita sociale, l’uomo nel disancorarsi dalla natura presume di essere una entità autonoma, svincolata dai legami che lo impacciano. Pur ritenendosi indipendente, comunque sente il bisogno di conservare il rapporto con i suoi simili. È in quel momento storico che la casa realizza l’esigenza di creare una propria famiglia e di conseguenza un proprio focolare.

Il recupero del passato

Nessuno più, credo, culla nel cuore l’illusione del ritorno di quei tempi. Ma è possibile, anzi lo ritengo un debito da saldare con il passato, pensare a una rivalutazione dei valori più alti che connotarono quell’epoca; non solo. I valori del passato potrebbero ispirare un progetto nuovo e nello stesso tempo tradizionale per designare il nostro futuro.
Il contadino di una volta non inquinava il rigagnolo che scendeva nel fondo del vicino il quale attingeva l’acqua anche per bere. Il cittadino di oggi si preoccupa di non inquinare il suo spazio, ma non ha nessuna remora nel devastare o contaminare lo spazio altrui.

La civiltà rurale aveva tra i tanti valori quello della solidarietà. Un evento di morte non solo arrecava agitazione in grembo alla famiglia luttuata, ma rompeva anche l’armonia esistenziale all’interno della comunità. La partecipazione al cordoglio era quasi totale, perché il funerale, come il matrimonio, nella comunità era un momento cardine nei rapporti umani. Il momento rituale costituiva una prova della saldezza dei legami con i parenti, con i compari, con i vicini, con la comunità tutta. Il lutto della collettività allora durava una settimana; oggi, invece, il trasporto avviene in fretta e furia, quasi di nascosto; e la famiglia in lutto viene presto lasciata sola al suo dolore.

Dal confronto emerge certamente un complesso di motivi a favore della civiltà industriale. La civiltà odierna consente un tenore di vita migliore, un livello culturale superiore, un habitat più decoroso. Ma all’inverso, queste conquiste hanno comportato una diminuzione della solidarietà, un individualismo esasperato, una disgregazione della comunità. La società odierna non deve di certo rinunziare al progresso tecnologico che assicura una migliore qualità della vita, ma nello stesso tempo non deve rinnegare quanto di buono aveva conquistato la società rurale.

L’uomo odierno agogna la pace e la calma, ricerca il silenzio e la tranquillità; ma è frastornato dai rumori delle automobili, e pure in casa è infastidito dal ronzio della lavatrice e dell’aspirapolvere; ma soprattutto dal frastuono della televisione a alto volume, che prepotentemente impedisce qualsiasi dialogo tra i componenti della famiglia. Poi, l’esigenza di seguire ognuno un canale diverso ha sparpagliato nelle varie stanze ogni familiare, negando così l’ultima occasione di seguire insieme lo stesso programma in comune.

Come siamo lontani dalla funzione che esercitava il focolare nella famiglia e nel vicinato. A quei tempi mancava la cultura scolastica, è così. A sopperire c’era l’esperienza, che era ritenuta maestra di vita; essa forniva delle regole che erano appena utili ad affrontare i piccoli problemi quotidiani e a risolvere le questioni lievi nei rapporti sociali.

Queste norme furono codificate in migliaia di proverbi e detti popolari, i quali offrivano consigli pratici sul modo di vivere in comunità e di rapportarsi con il prossimo.

La civiltà industriale però ha frantumato una cultura non di breve respiro; questa cultura, quella contadina intendo, discendeva da un’epoca lontana, durata secoli.

Essa era l’ultima propaggine della cultura medievale. Ho avuto ultimamente tra le mani un antico manoscritto; si tratta del prontuario di un medico irpino del 1300 che riporta i rimedi di un centinaio di malattie.

Ebbene, quelle cure empiriche sono le stesse che praticavano le curatrici contadine fino a qualche decennio addietro. Cure basate sulle erbe che non avrebbero avuto effetto se non erano accompagnate da formule magiche e da preghiere rituali.

La cultura popolare, è vero, era piena di contraddizioni (i proverbi, che rappresentano la summa della saggezza popolare, ne annoverano parecchi che si smentiscono l’un l’altro), di credenze inattendibili (come quella secondo cui chi addita l’arcobaleno viene colpito dall’itterizia), di dicerie prive di fondamenti reali (come quella che uno storpio era stato da bambino vittima della cattiveria di una ianàra).

Spento il focolare, spenta una civiltà

Un tempo il fuoco del camino era tenuto spento solo in due momenti rituali, tutt’e due dettati dal rispetto per i defunti. Il primo momento si realizzava quando veniva a mancare uno della famiglia; allora il fuoco veniva spento nel camino e non si accendeva per sette giorni. Questa era la settimana del lutto stretto, come se la vita comune si fermasse, in opposizione alla settimana della fresca figliata, evento che comportava un continuo daffare attorno al focolare, per salutare una nuova vita.

Varie leggende raccontano dell’ininterrotto contatto dei morti con il focolare; e questo è il secondo momento. Le anime dei defunti per tre volte (le notti del 2 novembre, del 31 dicembre e del 6 gennaio) fanno ritorno alla loro casa. In tali occasioni i familiari viventi tengono spento il camino forse perché i defunti non si struggano di nostalgia alla vista del fuoco, che è simbolo di vita, o perché il focolare non ravvivato dalle fiamme meglio si addice alla nuova condizione di ombre, così come i carboni spenti.

La scomparsa del focolare e dei riti nati attorno a esso impietosamente ci documenta che si è spento un mondo il quale bene o male aveva organizzato la comunità in maniera armonica e costruito un rapporto con il prossimo caratterizzato dalla solidarietà e con la natura ispirato al rispetto dell’habitat.

Quel mondo, che è la civiltà rurale, praticava la distruzione di alcuni rifiuti bruciandoli nel camino e di altri smaltendoli con il riciclaggio, come i residui organici e il letame, trasformati in fertilizzanti; e tale concimazione era compatibile con la nostra salute.

                                                                                                       

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