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Un progetto per la verde Irpinia: il “Contratto Ofanto”

22.01.2015, Articolo di Paolo Saggese (da Fuori dalla Rete – Gennaio 2015, Anno IX, n.1)

Ci sono delle sfide che devono essere sostenute con forza per il loro valore non solo presente, ma soprattutto per quello futuro. Una di queste sfide è la difesa e la valorizzazione della natura dell’Alta Irpinia, che ancora conserva un suo fascino selvaggio, dalle vette dei Monti Picentini, dove ancora nidificano le aquile e dove si conservano serbatoi idrici inestimabili, alle colline del Formicoso ai fiumi (Ofanto, Calore, Sele), che solcano le strette pianure e uniscono da millenni le civiltà di Oriente e Occidente dalla Puglia all’antica Paestum.

In questo contesto ideale di prospettiva e sviluppo, anche economico, si inserisce il “Contratto di Fiume dell’Alto Ofanto”, un protocollo d’intesa promosso dal GAL CILSI, e che è stato presentato il 30 dicembre, alle ore 9.30, ad Avellino, presso la “Casina del Principe”, e a cui hanno preso parte i rappresentanti degli Assessorati all’Ambiente e all’Agricoltura della Regione Campania, dell’Amministrazione provinciale di Avellino, i tecnici e i collaboratori del GAL, i delegati e gli esponenti dei soggetti pubblici e privati, soci del GAL, sottoscrittori e promotori del protocollo d’intesa. Il progetto, in particolare, si propone di valorizzare la risorsa acqua e i relativi bacini attraverso la partecipazione e il coinvolgimento delle comunità locali, secondo modalità di sviluppo dal basso inaugurate da Lorenzo Barbera e Danilo Dolci negli anni ormai lontani anteriori e successivi al terremoto del Belice.

In questo contesto, anche la letteratura e la cultura in generale possono dare una mano, in quanto l’Ofanto è da sempre un luogo letterario e perciò può divenire luogo dell’anima sia per gli abitanti del territorio sia per i turisti del verde, che potranno fruire dei progetti futuri del “Contratto”.

Grazie al poeta latino Orazio, infatti, l’Ofanto è entrato presto nella storia letteraria universale. Oltre che dal poeta di Venosa, il suo corso è stato descritto da Virgilio, Lucano, Silio Italico, e nel mondo greco da Polibio a Strabone, e poi ancora da Tito Livio e Plinio il Vecchio. Ma l’Ofanto resterà per sempre legato, in modo indissolubile, al nome di Orazio, che lo ricorda “violens”, “acer”, “sonans”, simbolo di una terra arcaica, vigorosa, rigogliosa e incontaminata, specchio dei suoi forti e austeri abitanti. E così, nel congedo del III libro delle “Odi”, dopo aver esclamato il famosissimo “Exegi monumentum aere perennius”, Orazio penserà alla sua terra lontana, alla fama del suo nome che arriverà sino al Vulture, all’onore che gli sarà tributato: “E dove suona l’Aufido imperioso, / e fu re Dauno, povero d’acqua, / tra i popoli dei campi, / anch’io sarò un signore, / anche di me si parlerà: ‘Fu il primo / che portò qui tra i popoli d’Italia / la poesia dell’Etolia!’ …” (traduzione di Enzo Mandruzzato).

Con chiare allusioni ad Orazio, ad esempio, anche un poeta irpino, Camillo Miele (Andretta, 1819 – Montella, 1892), dedicando un ampio componimento al fiume (“L’Ofanto”), ne sottolinea la violenza, l’impetuosità, i boati, che produce durante l’inverno, cui si contrappone, d’estate, un quadro completamente diverso, quello di un ‘locus amoenus’ amabile e inaspettato. Analoga descrizione è offerta da Giovanni Malleone (Trevico, 1778 – 1851) in una lirica appunto dal titolo “Ameno spettacolo”.

Molti altri, del resto, hanno amato questo fiume. Famosa è, ad esempio, la descrizione, dal gustoso “sapore” anche letterario, che Giustino Fortunato fornisce in un suo libretto su “L’alta Valle dell’Ofanto”. Qui, il grande meridionalista proponeva un’immagine puntuale del fiume, propria di chi descriveva i luoghi per averli visitati realmente e con attenzione. E già Fortunato, comunque, nel confrontare la descrizione di Strabone con la realtà del suo tempo, contrapponeva la grandezza del fiume antico alla scarsità d’acque come gli appariva nel lontano 1896, e che conferma nuovamente il carattere selvaggio del luogo. Anche ad Ugo Piscopo, nel suo fortunato “Irpinia, sette universi, cento campanili” (Napoli, 1998), la valle dell’Ofanto appare come un luogo inaspettatamente arcaico, primitivo, fascinoso, ‘pittoresco’.

E descrizioni umbratili della valle si ritrovano anche nel ‘viaggio elettorale’ desanctisiano.

Anche attraverso e grazie a questi poeti e intellettuali, dunque, può essere riscoperta la bellezza dell’Ofanto.

                                                                                                       

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