Articoli

Raccolta di articoli, opinioni, commenti, denunce, aneddoti e racconti, rilevati da diverse fonti informative.

Avvisi e Notizie

Calendario degli avvenimenti; agenda delle attività; episodi di cronaca, notizie ed informazioni varie.

Galleria

Scatti “amatoriali” per ricordare gli eventi più significativi. In risalto volti, paesaggi, panorami e monumenti.

Iniziative

Le attività in campo sociale, culturale e ricreativo ideate e realizzate dal Circolo “Palazzo Tenta 39” (e non solo).

Rubrica Meteo

Previsioni del tempo, ultim’ora meteo, articoli di curiosità ed approfondimento (a cura di Michele Gatta)

Home » Articoli

La ferrovia Avellino Ponte S. Venere nelle parole di Michele Capozzi

21.03.2015, Articolo di Vincenzo Garofalo (da Fuori dalla Rete – Marzo 2015, Anno IX, n.2)

Correva l’anno 1872, Michele Capozzi tentò, in ogni modo possibile, di far partire i lavori per la tratta ferroviaria che avrebbe congiunto l’Irpinia (Avellino e tanti comuni della sua provincia) alla rete ferroviaria italiana. Proviamo a ricostruire un po’ la storia.

Il parlamentare irpino, Capozzi, si battè su numerosi fronti affinchè l’opera ferroviaria vedesse la luce: Signori, Nell’ordine intellettuale, come in quello economico quante volte alcune idee od alcuni fatti, lentamente ma prepotenti, s’impongono alla coscienza d’un paese, ne appassionano gli animi, ne formano una condizione necessaria di benessere, anzi ne creano un indispensabile elemento di vita e di progresso, è allora supremo dovere per i preposti all’amministrazione della cosa pubblica di portare ogni studio, e non tralasciare mezzo e cura, perché si provvedesse alla pronta soluzione degli importati problemi che vi si connettano (…) Così esordì, rivolto al Consiglio Provinciale, ponendo l’accento sulle necessità, sui problemi e sulle possibili soluzioni che la politica locale, ma anche nazionale, avrebbe avuto da proporre all’elettorato irpino. Passaggio importante, quello che segue: (… ) Nello sviluppo della vita intellettiva e materiale di tutte le Provincie d’Italia, essendochè il progresso nell’ordine delle idee e quello nell’ordine dei fatti, è talmente intimo che si attirano e si completano scambievolmente, e le conquiste sociali ed intellettuali sono in rapporto stretto ed immediato, voi non restate inoperosi, e con quel senno pratico che tanto contraddistingue le nostre popolazioni, con quella costanza che per raggiungere lo scopo non trascura anche i difficili mezzi, con con cura perspicace precede le occasioni e le attende con pazienza, studiare i bisogni della provincia, e, per quanto i tempi e le nostre forze il permettevano, tutti cercammo di non fermarci scoraggiati, od essere gli ultimi in questa via di progresso. (…) Però non ostante la tenacità de’ nostri sforzi e delle nostre cure, in questo movimento industriale, in cui i principi economici, per quella prepotenza delle idee che rende irresistibile la forza de’ fatti, trionfavano, (…) noi vedevamo abbandonate le nostre antiche vie di transito, e per fatali errori, tagliati fuori dal movimento degli affari. (…)L’Irpinia, pian piano, già nella seconda metà dell’800 si trovava in situazioni di disagio economico, e come conseguenza ovvia, anche in situazioni d’indigenza sociale. Le vie del traffico commerciale erano cambiate nel tempo, non si percorreva più la via Appia per raggiungere le Puglie e l’economia locale languiva. Infatti, come testimoniano discorsi e documenti di quegli anni, già nel 1865 si profilava all’orizzonte, tra i politici irpini, l’idea di una ferrovia che attraversasse la nostra provincia. L’idea, in origine, era sembrata a tanti osservatori un’azzardo, quasi solo concettuale. Fu creata, infatti, anche una Commissione che si occupasse del progetto: bisognava congiungere Avellino a Ponte Santa Venere (nei pressi di Rocchetta Sant’Antonio).Aveva davvero, in se, questa ferrovia ancora in fase embrionale, caratteristiche tali da essere considerata una risorsa necessaria per l’Irpinia? Lo vedremo tra poco.

Ancora oggi, nel 2015 (ormai), si parla di logistica e infrastrutture come bisogno della nazione, ma Michele Capozzi già sollevò il problema nell’800.

(…) Una delle prime necessità per l’Italia ridivenuta nazione era di costruire senza indugio una rete di strade ferrate (…). L’Italia è mal configurata, diceva Napoleone a Sant’Elena, essa è troppo lunga per la sua larghezza. A questo difetto di configurazione (…) ci sforzammo d’un tratto di rimediare con le strade di ferro e con le linee di battelli a vapore. (…) In questo rapido sviluppo ed estensione del sistema generale della rete italiana, non si tenne a base un concetto economico, ma quello solo della naturale configurazione della penisola. Piacenza da una parte, Bologna dall’altra erano le due teste di linea alle quali terminava la linea settentrionale; due linee parallele si fecero partire da queste due città, prolungandole l’una per il Tirreno, l’altra per l’Adriatico. (…)

Ma tra di loro, queste due perpendicolari ferroviarie, non avevano alcun collegamento. Come congiungere, infatti, Tirreno e Adriatico, naturalmente separati dagli Appennini? Capozzi, nelle sue relazioni, evidenzia come, sì, la costruzione di una ferrovia fosse un ingente costo per lo Stato, ma pone in evidenza anche come, completata la rete settentrionale, essa producesse abbastanza entrate da non gravare più sul bilancio dello Stato. Stessa cosa stava accadendo nell’Italia centrale, ovviamente c’era da aspettarsi che analogo fosse il processo in quella meridionale. Il dibattito che s’aprì sulla costruzione della ferrovia vide su due diversi fronti personaggi intenzionati a veder concretizzare il progetto, ma anche tanti che, invece, preferivano non investire in tale struttura. Si iniziò, quindi, a disquisire sulla tipologia di ferrovia necessaria, sui costi, sulla forma del progetto, sulla struttura del territorio… Si parlava di Ferrovia Ordinaria, che poteva avere uno o due binari, ma legata a certe specifiche condizioni:

  • vi era una specifica distanza tra i binari, pari a 1,50 metri fra asse ed asse di regolo;
  • poteva avere una pendenza massima delle rampe inferiore al 25 per 1000;
  • il raggio minimo di curva non era mai inferiore a 300 metri;

Questa tipologia di elementi era fondamentalmente la discriminante per la definizione di una ferrovia economica, ciò avrebbe comportato anche altre prescrizioni:

  • tutte le opere per superare valli o fiumi dovevano essere in muratura o in struttura metallica. Non si poteva usare in alcun modo il legname;
  • piattaforma, banchina, fondo della ferrovia dovevano avere dimensioni specifiche;
  • le gallerie dovevano essere in pietra o laterizi;
  • le stazioni dovevano essere disposte all’incirca a una distanza media di 1.200 metri, ma sempre tenendo conto delle necessita delle popolazioni servite;
  • locomotive e materiale mobile in quantità tale da ottemperare i bisogni dell’esercizio.

Tutto ciò, ovviamente, comportava degli oneri per l’ente finanziatore. Come si deduce, logicamente, costruire ponti, gallerie, comperare locomotive, impiantare i binari (costruirli, comperarli, installarli) e attivare le stazioni aveva un costo, variabile, a seconda della lunghezza, della pendenza, dei “salti”. A valido supporto, Capozzi, (non staremo qui a citare tutti i dati e tutti i calcoli effettuati allora) pone sul tavolo le valutazioni dell’ingegner Biglia, che si era già occupato di lavori in campo ferroviario.Il punto su cui vogliamo porre l’accento è l’Economia nelle Stazioni.

Scrisse Michele Capozzi: “(…) L’economia nelle stazioni in quanto al numero è contrastata dall’interesse delle popolazioni, e specialmente nell’Italia Meridionale è poco discutibile, perché sono Provincie popolose (…)”, soffermandosi sui dati dall’ingegnere citati nei suoi lavori. Si poneva, infatti, come base di valutazione la ferrovia Scozzese, nelle cui aree periferiche e rurali l’antropizzazione era di molto inferiore rispetto all’Italia. Altro punto importate è quello riguardante la tipologia di strutture adottate nei paesi nordici. Lì, per abbondanza di materia prima, la costruzione in legno aveva la sua economicità, mentre a Mezzogiorno la costruzione con pietra e laterizi era economicamente più vantaggiosa. Di fatti, come qualcuno avrà potuto notare, era fatto anche obbligo, in Italia, adoperare elementi diversi dal legno per le opere ferroviarie. Anche se in tanti si opposero al progetto, dobbiamo ammettere che, per le tecnologie dell’epoca, per le conoscenze d’ingegneria, la ferrovia irpina doveva essere qualcosa di piuttosto ambizioso. La quantità di monti che attraversa l’Irpinia, di fiumi e di valli era evidente e pensare a locomotive su pendenze eccessive era alquanto “nuovo”. Si palesò l’idea di sviluppare un progetto ferroviario, di tipo a scartamento ridotto. Ma poteva proporsi un progetto di questo tipo? Secondo il Capozzi era impossibile. Per sviluppare una ferrovia con scartamento inferiore a un metro e dieci era necessario che i binari fossero posti su un terreno diverso. Tra l’altro, tale limite poneva in dubbio l’effettiva completa fruibilità del sistema irpino: si poteva sviluppare una ferrovia con bacino d’utenza limitato, a stento utile a soddisfare le necessità locali. Ovviamente il problema relativo al finanziamento non era risolto. L’una o l’altra soluzione, quale più conveniente per un motivo, quale per un altro, non prevedevano economie particolarmente floride una volta che la ferrovia fosse in funzione. Accorgimenti particolari in fase progettuale avrebbero potuto portare riduzioni dei costi iniziali, penalizzando la dimensione del traffico possibile. La ferrovia non avrebbe potuto avere una vita propria! (…) La ferrovia in parola si stacca ad Avellino dalla linea delle Romane che, muovendo da Napoli per Cancello, Sanseverino, Laura, Solofra, raggiunge questa città, e va ad innestarsi a Ponte Santa Venere all’altra linea delle Meridionali (…), quindi col suo percorso di circa 130 chilometri rannoda due linee importanti, diramazioni di altre linee ancora di maggiore importanza, tutte di costruzione ordinaria (…). Capozzi pensava a una ferrovia che collegasse l’asse adriatico a quello tirrenico: collegata a Benevento, avrebbe poi potuto raggiungere le ferrovie Calabro-Potentine, e perché no, quelle dello Jonio. (…) La sede di questa linea posa su quattro valli quante altre mai popolose e fertili, cioè le valli del Sabato, del Calore, del Freddano e dell’Ofanto. (…) Traversato il Sabato, la linea à per obietto il passaggio della sella Appenninica nella montuosa barriera che divide la valle del Sabato da quella del Calore, (…) il suo andamento altimetrico obbliga a spingere le pendenze, per quanto il consente una beninteso economia e la locale condizione (…). Il problema fondamentale era quello di collegare le esigenze ingegneristiche e quelle delle popolazioni locali. La tipologia del terreno, altamente franoso, obbligava a non aumentare le pendenze, quindi sembrava quasi necessario sviluppare un percorso nei pressi dei fiumi, andando però a rendere obbligatorio accrescere il numero di ponti e viadotti. (…) Dalla valle del Calore, profittando della valle traversa del Freddano, si deve passare in quella dell’Ofanto. E qui di nuovo le pendenze bisogna che raggiungano limiti per quanto si può sforzati (…) per cavalcare la catena Appeninica che divide le acque fluenti nel Calore da quelle fluenti nell’Ofanto (…). Si pensò, quindi di seguire il corso dell’Ofanto: questa ferrovia doveva essere caratterizzata dal tracciato totalmente determinato dall’andamento delle valli, e quindi anche dalle necessità delle popolazioni servite. Lo sviluppo di una ferrovia, tornando ai risultati economici possibili, avrebbe incentivato nuovamente l’attività industriale. (…) Queste località sono ricche di importanti minerali, fra i quali principalmente lo zolfo, il sale gemma, l’argilla refrattaria, il gesso, la lignite. (…) Il commercio dei legnami à quanto si occorre per isvilupparsi su vasta scala (…). Collegare la strada ferrata alla rete stradale irpina avrebbe accresciuto il potenziale della prima, ma anche della seconda. L’idea di Capozzi era piuttosto ambiziosa: la ferrovia irpina avrebbe dovuto svolgere un ruolo importantissimo, ovvero essere una sorta di mini HUB per smistare treni provenienti da direzioni differenti, sia verso sud, sia verso nord, sia verso est. Anche l’onorevole Ministro De Vincenzi si occupò della ferrovia: “Fortunatamente pare che altri e gravi interessi si uniscano al desiderio della continuazione di quella ferrovia [parla della linea Foggia-Candela]. Gli interessati nel bosco di Monticchio ànno fatto pratiche presso il Ministero perché si concedesse loro questa strada ferrara à larghezza ridotta, cioè a rotaie ravvicinate (…). Io mi sono opposto (…), se intendevano di fare una strada ferrata in continuazione del tronco di Candela, colla stessa larghezza di rotaie, come sulle strade ferrate a sistema ordinario (…) io era disposto ad incoraggiarli in tutt’i modi, altrimenti no (…). E’ in mia fede che (…) un giorno si possa spingere più oltre quella strada (…)”. Anche il Deputato Bonghi volle informarsi sul progetto, di fatti domandò di conoscere le intenzioni del Ministero sulla ferrovia Avellino-Ponte Santa Venere, e tutto ciò si tradusse in risposte poco attente e a mostrare quanto poco si era posto sotto esame il progetto. Fu lo stesso ministro, infatti, a porre i primi dubbi di fattibilità: quante spese bisognava sostenere? Chi avrebbe avuto la concessione? Quanto era difficile realizzare l’opera? Fu così che Capozzi si rivolse, per vincere la sua battaglia, ad altri possibili alleati.(…) Confido che i Consigli Provinciali di Salerno e Foggia, (…) quello di Basilicata (…) vorranno deliberare per un serio concorso a questa opera di comune beneficio. (…) Dopo il compimento della linea Laura-Solfora-Avellino (…) incoraggiando[ne] la costruzione con un sussidio fisso a fondo perduto. (…) La Provincia deve ora assolutamente prendere questo impegno, in nome di un principio eminentemente morale: (…) come per i diversi centri di popolazione sono uguali gli oneri in questi fatti di generale interesse, debbono essere del pari i benefici; e se la sola preferenza in questa graduatoria di spese, è quella ch’è dovuta all’importanza di ciascuna opera (…). Bisognava superare i limiti finora considerati invalicabili, l’economia, il commercio, avrebbero dovuto essere più rilevanti dei dilemmi amministrativi. Utilizziamo ancora una volta le parole di Capozzi. (…) La nostra Provincia, per mettersi nella condizione di lottare con le altre nel grande rivolgimento che si è sviluppato in Italia, à bisogno di continuare per altro tempo nella via dei sacrifizi che produrranno a noi stessi, ai figli nostri, larga vena di prosperi casi (…). Sacrifici necessari, sacrifici fatti in funzione di un futuro roseo: creare infrastruttura per sviluppare l’economia. Sviluppare l’economia per incentivare la crescita sociale, incrementare l’industria, accrescere la dimensione occupazionale, sviluppare quindi l’aspetto culturale di un territorio, far si che esso progredisca. La storia ci ha risposto: Michele Capozzi vinse la sua battaglia, la ferrovia nacque. Di quello che, però, egli pensava potesse nascere da quei binari, ad oggi, poco abbiamo. Il Capozzi sperava in una redenzione irpina, una forza inarrestabile avrebbe travolto tutto, portando al progresso assoluto le nostre contrade, eppure, nel 2014, abbiamo avanti agli occhi un’Irpinia ancora non evoluta. La ferrovia, figlia di tante battaglie, è scomparsa, lasciata ai rovi. L’industria e l’economia non hanno mai decollato, la cultura e la qualità della vita hanno seguito una parabola discendente. Ci restano le parole di quell’uomo che in tante sedi istituzionali tanti si battè affinché oggi, nei suoi desideri, si potesse parlare di un’Irpinia forte, ricca e colta.(…) Quando avremo consacrato il nostro tempo, la nostra energia, la nostra vita in servizio di questo paese, la nostra ricompensa non sarà quella di avere soddisfatta una sterile ambizione di potere, ma di aver compiuto un sacro dovere, e tramandare a’ figli un nome legato ad una grande opera di civiltà.

Correva l’anno 1872.

                                                                                                       

Lascia un commento!

Devi essere logged in per lasciare un commento.